La figura epica di Giuliano Vassalli

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Una vicenda della lotta contro il fascismo che rimase scolpita nella memoria fu sicuramente quello che coinvolse Giuliano Vassalli che ,a ragion veduta per questi fatti, meritò di essere definito un padre della Patria. Non si tratta di un’espressione retorica perché fu proprio lui, giovanissimo avvocato e già grande studioso del diritto, che riuscì niente meno che a salvare la vita a Saragat e a Pertini, ovverosia a due uomini che sarebbero divenuti nel regime democratico  presidenti della Repubblica. Infatti Vassalli fu l’ideatore e l’organizzatore di un’incredibile  evasione dal famoso VI braccio del carcere di Regina Coeli, cella numero 306.

All’inizio del 1944 ci fu l’occupazione nazista che assunse i connotati della repressione feroce con gli ultimi colpi mortali agli oppositori del nazifascismo e, quindi, in quei mesi drammatici Vassalli e dei partigiani socialisti pensarono e organizzarono questa fuga dal carcere ,intestando timbri e carte false consegnandole  al  Comando militare germanico e riuscendo a fare liberare ,o meglio a tirare fuori di galera, ben sette prigionieri come succede soltanto nei film d’azione. Proprio quattro mesi dopo quell’azione Vassalli, che gli valse la medaglia d’ argento, fu proprio il grande giurista a finire tra le mani della Ss in via Tasso e Pietro Nenni scrisse nei Diari dell’aprile del 1944: «Sulla sorte di Giuliano non è possibile farsi illusioni…».  Nenni fu molto addolorato di questo evento  e affermò pensando che non tornasse vivo che Vassalli era “…il migliore dei giovani intellettuali venuto al socialismo dalle organizzazioni fasciste”. Il leader del socialismo italiano descrisse  in tal modo puntuale la natura di Vassalli: «Severo, apparentemente freddo, silenzioso, c’era in lui una febbre d’ olocausto, quasi un bisogno fisico e morale di espiazione. Appunto perché aveva negli anni giovanili creduto nel fascismo… si sentiva in dovere di riscattarsi agli occhi suoi. E nel partito aveva scelto gli incarichi più ardui, i più anonimi, i più difficili».

Lo stesso Vassalli scrisse di quei momenti terribili vissuti quando fu portato in Via Tasso che potevano segnare la sua fine : «Ero già cieco dalle botte subite nel tragitto, rimasi con i grumi di sangue negli occhi per 20 giorni, ero talmente ferito che mi avvolsero in una coperta e cacciarono via tutti i civili che si erano fermati davanti al portone, nessuno doveva vedere in che stato mi avevano ridotto. Sapevo cosa voleva dire entrare a via Tasso dieci giorni dopo la strage delle Fosse Ardeatine». Arrivato in cella  gli legarono le mani dietro con i ferri a scatto e fu costretto a mangiare in una ciotola come un cane. Una condizione avvilente che durò per due mesi.

Ma il destino non l’abbandonò ad una morte quasi sicura e fu liberato per le pressioni di Pio XII e della famiglia Agnelli, in special modo di Virginia, la mamma dell’ Avvocato. Tutto ciò avvenne per l’enorme stima e l’alta considerazione negli ambienti più disparati il giovane Giuliano. Nel dopoguerra il talento e la preparazione di Giuliano Vassalli emerse in tutta la sua grandezza e iniziò un lungo cammino fatto di riconoscimenti anche politici, amicizie privilegiate, onori accademici, benessere economico, seggi in Parlamento. Ma lui non volle mai trascurare la sua passione come avvocato che ne hanno fatto uno dei primi penalisti d’ Italia. «Professorone di grande e meritata fama», lo definì sempre Nenni negli anni colmi di aspettative del   primo centrosinistra. Autorevole, sobrio e mite ma assai determinato nel difendere la sua laicità che fu il culto della tolleranza, del dialogo  e del ragionamento.  Fu giudice costituzionale e poi presidente della Consulta.

Tra il 1987 e il 1991 è stato ministro della Giustizia. Da via Arenula fu il maggiore propugnatore del nuovo codice di procedura penale e portò il suo nome anche una legge sulla droga. Dotato di grande cultura non solo giuridica fu un uomo dedito allo studio e riservato, seppe rappresentare bene anche il ruolo di un perfetto consigliere ricercato per risolvere e dipanare  suggerimenti sulle faccende più spinose e delicate, dallo scandalo Sifar alla trattativa sul caso Moro. Il segretario socialista Bettino Craxi per  due volte, nel 1978 e poi nel 1992, l’ ha proposto al Quirinale. Ma i  comunisti  si opposero nel 1978 , perché non gli perdonavano di aver difeso un faccendiere dello scandalo Lockheed, ma, anche,  soprattutto l’ atteggiamento sul caso Moro, e, successivamente, poi i pidiessini l’hanno bloccato una seconda volta nel 1992.  Eppure questo giurista, eroe della resistenza avrebbe meritato più di chiunque altro la massima carica dello Stato.

Rosario Sorace.

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