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La mafia teme ancora Pippo Fava: fatti sparire fiori e corona dalla lapide dedicata al giornalista assassinato nel 1984
Pubblicato il 07 Gennaio 2012
di Fabio Cantarella, iena antimafia
Pippo Fava fa paura alla mafia anche da morto. Forse da morto ancora di più perché il suo ricordo, ancora molto intenso, scuote le coscienze e contribuisce ad affermare la cultura della legalità che è una cosa che la mafia teme più dei processi. Così, qualcuno ha fatto sparire la corona e i fiori che erano stati deposti, solo l’altro ieri, nel luogo in cui, nel lontano 5 gennaio 1984, il direttore responsabile de “I Siciliani” venne ucciso con cinque colpi di arma da fuoco dalla mafia. Il giornalista aveva appena parcheggiato la sua autovettura, una Renault 5, davanti al Teatro Stabile dove avrebbe dovuto assistere alla recita di una nipotina. Quando aprì lo sportello un killer gli sparò, come dicevamo, ben cinque proiettili calibro 7,65 che lo raggiunsero al collo e alla testa, lasciandolo privo di vita.
La notizia del furto è stata diffusa dalla fondazione che prende il nome dello scrittore assassinato. A quanto pare sia la corona che i fiori sarebbero scomparsi ieri pomeriggio. “Ora basta, questo succede ogni anno – è stato il commento di Elena Fava, figlia del giornalista catanese – ma ora ho deciso di dire la mia: vergognatevi! Ma quanto fastidio continua a dare quest’uomo a questa città?”
Occorre sottolineare come la corona fosse stata posta ai piedi della lapide insieme ad alcuni mazzi di fiori. Uno di questi, invece, era stato collocato direttamente sopra la lapide, quindi ad una considerevole altezza da terra.
Giuseppe Fava, giornalista e scrittore, aveva condotto importanti e delicate inchieste antimafia che toccavano anche rapporti tra Cosa nostra, politica e affari. Per l’omicidio, con sentenza passato in giudicato, sono stati condannati come mandanti il capomafia Benedetto Santapaola e il nipote del boss, Aldo Ercolano. Sono stati invece assolti Marcello D’Agata, Francesco Giammuso e Vincenzo Santapaola, presunti esecutori del delitto, che in primo grado erano stati invece ritenuti colpevoli.
Chissà se i mandanti principali non siano ancora a piede libero! Noi, avendo avuto più volte contezza dei rapporti tra politica, imprenditoria e mafia che storicamente contraddistinguono Catania e, più in genarale la nostra amata Isola, non ci stupiremmo oltremodo se un giorno dovesse essere dimostrato che qualche altro mandante ai tempi indossasse il colletto bianco.
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