Ci sono fatti seppelliti dalla storia che sono stati dimenticati da tutti, tranne dalle comunità che le hanno vissute segnando il futuro della società locale. A tal proposito un fatto vorrei ricordare un fatto che accadde ad inizio secolo a Grammichele. Il 16 Agosto 1905 rimase per decenni scolpito nella memoria di tutti i cittadini di questo comune del calatino e questa tragedia non è stata mai dimenticata. Fu, infatti, un giorno di sangue con fatto che vennero riportati su tutti i giornali della nazione per il clamore che suscitarono e che è ancora oggi restano vicende pervase da misteri, ingiustizie e verità nascoste.
I contadini e i piccoli coltivatori, ovvero la maggior parte del popolo grammichelese, oltre ad essere molto povera , furono vittime degli usurai e dei “padroni”, i proprietari terrieri, che ottenevano prestazioni agricole a prezzi bassi e li sfruttavano a da loro servilismo e sottomissione.Nella famosa inchiesta di Franchetti e Sonnino (1876), gli usurai succhiavano il sangue ai poveri e rendevono impossibile la vita alla maggior parte dei cittadini siciliani, i quali erano sempre indebitati nei confronti del padrone o verso gli usurai.
L’agricoltura siciliana, inoltre, visse una grave crisi depressiva anche perché il modo di coltivare la terra fu arretrato, poi, vi fu il protezionismo dello Stato regio , aggravato dalla nota Legge del 1885 che aumentò i dazi doganali sull’importazione di frumento estero. A peggiorare le cose vi fu un’insopportabile e continua pressione fiscale e un sistema elettorale che favorì l’ élite e i ricchi, che furono le classi dominanti della società italiana e nel mezzogiorno spadroneggiarono.
Nei Comuni il potere politico, quindi, fu saldamente in mano alla classe dei cosiddetti galantuomini, signorotti e baroni che operarono una pressione fiscale solo su alcune classi povere e diseredate. Lo storico Rosario Villari descrisse con chiarezza questo stato di cose: «Così noi troveremo generalmente imposta in modo gravissimo la tassa sulle bestie da tiro e soma, ossia principalmente sui muli e sui cavalli che sono la proprietà maggiore dei contadini, e invece raramente e in proporzioni minime la tassa vera sul bestiame, ossia sulle vacche e sui bovi, perché questi sono posseduti dai proprietari». Poi ogni proprietario generalmente fu sempre legato strettamente al politico di turno.
Il sistema elettorale che si introdusse con la Legge De Pretis del 1882 consentì quali eleggibili ed elettori solo coloro che avessero 21 anni di età, che sapessero leggere e scrivere, che pagassero annualmente una imposta diretta abbastanza salata e che fossero affittuari o proprietari di fondi e terreni, mentre, come ben si sa, le donne furono totalmente escluse dal voto. La popolazione siciliana fu in quello squarcio di inizio secolo in maggioranza appunto povera, senza nessun patrimonio e totalmente analfabeta.
Non ebbe, quindi, nessun diritto ad essere eletta e ad eleggere, ma divenne, persino, sottomessa ad sparuta minoranza di un ceto ricco, privilegiato e potente. I poveri furono disperati e colmi di rabbia e così ebbe inizio un’emigrazione fra la fine dell’800 e l’inizio del 900 che fu il periodo in cui circa un 1 milione e mezzo di siciliani abbandonarono l’isola per andare negli Stati Uniti o nei paesi sudamericani. Si creò un profondo e immenso squilibrio demografico che sottrasse la maggior parte delle braccia al lavoro dei campi. Cosicché venendo ai fatti nel Comune di Grammichele si celebrò il 16 agosto del 1905 la festa di San Rocco che è venerato da sempre come protettore dal terribile flagello della peste, ma, soprattutto, del mondo contadino, degli animali, delle grandi catastrofi come i terremoti, delle epidemie e malattie gravissime.
Appunto nel giorno dei fatti tragici partì un corteo pacifico organizzato dalla Camera del Lavoro, la Lega di Resistenza e la Società dei militari in congedo “Umberto I”, che percorrendo la centrale Piazza Carlo Maria Carafa, transitano in Corso Vittorio Emanuele fino alla Stazione, per poi tornare indietro. A questo punto proprio quando il corteo stava per sciogliersi, arrivato nella piazza centrale, però, pare che un contadino di 48anni tale Lorenzo Grosso, detto “Piriddu”, infiammo’ la folla, secondo le testimonianze, con queste frasi : “Compagni noi dobbiamo unirci contro i civili, contro i cappeddi. Abbasso le tasse , abbasso i cappeddi”.
La folla aizzata e inferocita si diresse verso il Casino dei civili, situato a piano terra del Palazzo Comunale e ci fu un assalto, tutto venne dato alle fiamme. Tuttavia il vero scopo del popolo furono le cartelle esattoriali che vennero distrutte e così i grammichelesi avrebbero finalmente consumato una vendetta contro l’oppressione fiscale che li immiseriva. Giunsero 10 carabinieri e 18 soldati in qualità di forze dell’ordine che cercarono di calmare i contadini infuriati,ma la situazione degenerò, sfuggì di mano, un sottotenente diede ordine ai soldati di mettersi in posizione sulle scali antistanti la Chiesa Madre e sotto una forte pressione di chi coordino’ le operazioni si fece fatto fuoco sui dimostranti. Morirono sul colpo 7 persone fra di loro un bambino di 10 anni, altre 6 morirono in seguito alle ferite. Si procedette anche all’arresto di 41 persone nei giorni che seguirono all’ecciduo che furono incarcerati. Ci furono tre inchieste per accertare i fatti: una governativa, una politica e una militare.
L’inchiesta governativa fu condotta dall’ispettore della Pubblica Sicurezza. Mentre l’inchiesta politica condotta dall’Onorevole De Felice-Giuffrida, fece emergere il ruolo ambiguo di chi diresse le operazioni di polizia e dell’autorità politico amministrativa. Infine l’inchiesta si in maniera simile a quella governativa.
Poi il presidente del tribunale penale di Caltagirone, nell’udienza del 5 settembre 1906 emise diverse condanne che furono abbastanza miti con l’ eccezione dei principali imputati. A tutt’oggi l’unico ricordo della strage di San Rocco è una via, nel quartiere dello Spirito Santo, intitolata alla data del “Ferragosto di sangue”. Mentre non vi è nessun monumento, nessuna lapide, nessun ricordo dei morti, dei feriti, di chi ha vissuto quella strage e che fu a fianco di chi morì per lottare contro l’oppressione.Una storia della nostra terra che non si deve dimenticare e che mostra che non ci fu in Sicilia un popolo rassegnato allo sfruttamento.
Rosario Sorace.