di iena “senza Dna Giusto” Marco Benanti.
“Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi il dovere di reprimere! La repressione è il nostro vaccino. Repressione e civiltà”: diceva così il commissario della “omicidi” in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.
A Catania non passa giorno che l’amministrazione comunale non dimostri la stessa cultura, la stessa mentalità tutta “legge e ordine” (naturalmente per i poveracci), mentre sulla città si fanno spericolate operazioni in nome di “viva il privato”, grazie anche al silenzio di tante “persone perbene”, in particolare i soliti “antifascisti” che perdono la lingua (e il ditino con cui durante l’anno indicano i “cattivi e i buoni”) di fronte alle cose serie che capitano sotto l’Etna (film già visto).
La campionaria di “gioielli” di questa “TrantinoKultura” oggi si è arricchita dello spot per la “campagna contro l’abbandono dei rifiuti” e per la “differenziata”. Una campagna “ a peso d’oro”: soltanto 150 mila euro impegnate per le casse del comune, il tutto con una procedura “più veloce della luce”, nella città ancora invasa dalla cenere dell’Etna. La campagna propagandistica è rimbalzata sugli schermi di “Telecolor” nel rituale “incontro senza contraddittorio” nel salotto dell’ex suocero del sindaco.
Tanti sono i comuni (sul web si possono rintracciare spot pregevoli provenienti da Bari, Teramo e altre città) che hanno fatto campagne di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata e hanno puntato sostanzialmente su due filoni: l’how to, ovvero come fare la raccolta, per spiegarlo anche in maniera simpatica o emozionale ai cittadini, l’appello al senso di comunità puntando su un tono di voce epico, che unisce.
E a Catania? Questo spot del Comune -e in generale la campagna di Palazzo degli Elefanti- non fa altro che confermare l’aspetto paternalistico-punitivo che più volte ha dimostrato l’amministrazione Trantino. Che ha un tratto comune, che unisce tanti episodi accaduti in questi mesi (dall’ “ordinanza antibivacco” di un anno fa alle piccole e grandi arroganze contro chi critica sui social): la destra, la destra borghese (che ha tanti tratti in comune con la cultura dominante nel centrosinistra e fra i populisti). Che significa: ordine e legge per i poveracci, disprezzo appena malcelato per chi arranca, per chi non partecipa alle sue “gare truccate” nella “corsa della vita”, al suo corporativismo e familismo da schifo, praticato e giustificato, al suo classismo violento di bravi cattolici italiani, al suo“stato etico” con i relativi “ragionamenti” da questurini con la divisa dello stato. Insomma, la “TrantinoKultura” -diciamo- così “spiega”.
la colpa è dei cittadini che sono zozzoni, sporchi e un po’ tonti come appare anche la “signora Pulvirenti”, che pulisce il pesce con i gioielli e il vestito da sera. Un personaggio fuori dal mondo, così come il sindaco e la sua “allegra brigata” di “bravi borghesi” che naturalmente non abitano a Catania, ma nella cinta pedemontana dove si è trasferita da tempo parte consistente della “città bene”.
Un “club” che ogni giorno gira un “film”: quello della “loro città”, secondo i loro parametri di gente che sta bene e pensa che il mondo sia fatto tutto così, come in un remake della società anni ’50, con le brave donne che cucinano e si occupano della casa (ma le femministe lo hanno capito il senso dello spot? Pure loro silenti?).
A parte, quindi, la solita colpevolizzazione del catanese, ripetuta ossessivamente da mesi e rimbalzata sulla “stampa di città”, nulla di nuovo, dimenticando responsabilità delle istituzioni, della politica e delle imprese. Dettagli.
Naturalmente, il quartiere della “Signora Pulvirenti” non è Librino: l’ambientazione è rassicurante (cucina a vista e coltelli da 500 euro) e a parte gli errori di linguaggio e di targeting, resta la sensazione di un ennesimo messaggio sbagliato, fatto anche di malcelata volgarità.
E’ indicativo, forse, che l’amministrazione comunale considera la stratificazione sociale a Catania in un senso: cioè che evidentemente inizia a piazza Duomo e finisce nelle pasticcerie di via Etnea, passando dal Corso Italia. Poi, il resto è periferia.
Si chiama classismo: è il messaggio divisivo che da tempo questa amministrazione ha lanciato alla “città perbene”, ovvero “ci siamo noi” e poi “quelli brutti, sporchi e cattivi”. Ma -dice il Palazzo- noi sappiamo chi è “persona perbene”, sappiamo quali sono le “esigenze giuste”, dal “B&B” da aprire in centro ai controlli di polizia che tanto piacciono a destra come a sinistra…di questa borghesia parassitaria.
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