L’aglio rosso di Nubia prodotto Slow Food

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Tra le molte guerre che si combattono ancora in diverse aree geografiche del mondo, alcune riguardano la nostra Italia. Ovviamente non mi riferisco a guerre con armi, carri armati navi ed aerei ma ad un tipo i cui effetti possono essere altrettanto devastanti: la guerra dei prodotti alimentari.

Molti di questi, come noto, sono falsificati e venduti all’estero con chiari richiami a noti marchi italiani e spacciati per originali. Altri invece, sono venduti con i propri nomi di origine ma, al contrario dei primi, entrano nel nostro Paese con costi notevolmente inferiori agli stessi prodotti italiani, invadono i nostri mercati destabilizzandoli e spesse volte, si tratta veramente di prodotti scadenti.

E’ il caso delle arance, dei carciofi, dei peperoni, dei pomodori, delle zucchine, delle fragole e cosi via, per un lungo elenco, sino ad arrivare all’aglio, uno degli ultimi baluardi delle nostre produzioni agricole ad essere minacciato.

Vi sarà senz’altro capitato, entrando al supermercato nel reparto frutta e verdura, di trovare intere cassette di aglio avvolte, tre alla volta, in piccole confezioni di reticella, perfettamente bianchi e tutti uguali, e che all’olfatto (indispensabile strumento di cui madre natura ci ha dotati), non si riesce a distinguere se si tratta di paglia, o fieno. E se vi siete avventurati ad acquistarli, una volta tagliuzzati e messi in padella, confermano le impressioni ricevute da quella prima “sniffata”. Si tratta, per la maggior parte dei casi, di aglio proveniente dalla Spagna, dall’Argentina ma soprattutto dalla Cina.

La Cina, come si sà, è il primo produttore e consumatore di aglio al mondo e grazie all’Unione Europea, che ha incluso nel suo Registro delle produzione certificate il bulbo Jinxiang Da Suan proveniente dalla regione del Jinxiang, l’aglio cinese ha ottenuto il marchio IGP.

L’allarme dei produttori è scattato in tutta Europa con in testa la Francia che, non solo teme la concorrenza spagnola ma soprattutto quella cinese le cui importazioni, a detta dell’Unione, potranno superare 12.500 tonnellate all’anno.

In Italia, dove si coltiva aglio di notevole qualità, come quello di Vessalico, Voghiera, Caraglio, Sulmona, per arrivare al sicilianissimo aglio di Paceco e soprattutto a quello rosso di Nubìa, il riconoscimento europeo rappresenta un rischio concreto per l’economia del comparto.

E proprio a Nubìa, dove la crisi è particolarmente profonda, abbiamo raccolto l’amara testimonianza di Rosalba Gallo, coltivatrice diretta, produttrice del Presidio “aglio rosso di Nubia”:

Qual’è stata la produzione di aglio rosso di Nubia (Slow Food) nel 2013?
Di circa 500 quintali.

Quanta di questa produzione rimane in Sicilia e quanta viene esportata all’estero?
Circa il 75% viene venduta in Italia, mentre il restante 25% procede per l’estero.

Quali sono i nostri mercati migliori?
Da quando è arrivata la crisi, non esistono più mercati migliori.
La concorrenza è sempre più forte e risentiamo dell’influenza della crisi sugli acquirenti finali. Evidentemente, talvolta lo stallo, spinge la gente a vendere anche a prezzi inferiori a quelli di produzione.

Il marchio Slow Food in che misura aiuta nelle vendite?
L’associazione Slow Food non si occupa di vendite, aiuta i prodotti che hanno particolari problemi di sussistenza, offrendogli visibilità. Dal 2002, anno di nascita del nostro Presidio “Aglio rosso di Nubia”, in Slow Food, abbiamo trovato un validissimo supporto per l’opera di valorizzazione che noi, fino allora, avevamo condotto senza successo.

Quali paesi europei ed exstra europei sono penetrati nei nostri mercati siciliani?
Arriva ortofrutta e in particolare aglio da diversi luoghi, principalmente da Spagna, Argentina e Cina.

La concorrenza è leale?
Non sempre.

Con quali prezzi riescono ad imporsi nei mercati?
Hanno prezzi all’ingrosso molto bassi e i commercianti, poiché riescono a spuntare maggiori ricavi, spesse volte li preferiscono a noi.

La legislazione sui controlli è altrettanto severa come in Italia?
Quando i prodotti agricoli arrivano in Italia, sono sottoposti a tutti i controlli, ma non sappiamo se nei rispettivi luoghi di produzione, vengano sottoposti a tutte le incombenze e veti legislativi a cui noi dobbiamo sottostare. Penso, per esempio, ad alcune inchieste televisive, nelle quali sono emerse pesanti denunce sull’uso di alcuni fitofarmaci banditi dai nostri elenchi ufficiali ma, regolari in altri Stati, soprattutto non Europei.

Cosa ne pensate del riconoscimento IGP, rilasciato dall’Unione Europea alla Cina sull’aglio Jinxiang Da Suan proveniente dalla regione del Jinxiang?
Non mi meraviglio più di niente. L’anno scorso abbiamo saputo che hanno aumentato la quota di prodotti ortofrutticoli provenienti dal Maghreb. E’ l’ennesimo colpo letale inferto all’agricoltura italiana, ed in particolare a quella siciliana e alle sue eccellenze.
È chiaro che alcuni Stati, componenti dell’Unione Europea, sono contrari a che l’Italia tuteli i propri prodotti preziosi.

Questo riconoscimento potrà trarre in inganno il consumatore?
E’ evidente che l’utente finale oltre ad essere frastornato dalle quotidiane difficoltà economiche, trova complicato valutare l’esatta provenienza dei prodotti e questo dell’IGP riconosciuto alla Cina non lo aiuta di certo e potrebbe indurlo a scegliere prodotti diversi da quelli italiani.

Quali azioni ha intrapreso la Regione Sicilia in merito?
Da tempo, l’Assessorato all’Agricoltura cerca di difendere i nostri prodotti, ma la lotta è piuttosto ardua poiché, il Governo Nazionale, stipula spesso accordi commerciali dai quali i prodotti siciliani non ci guadagnano nulla.

“L’agricoltura – continua ancora Rosalba – è quasi agonizzante. Non siamo presi nella giusta considerazione dai nostri politici e spesso, alla conduzione di questo dicastero, sono collocati soggetti incompetenti mentre, le Associazioni sindacali, lentamente si stanno trasformando in società di disbrigo pratiche burocratiche.
Siamo spremuti come limoni e una delle angherie più grosse è il pagamento dell’Imu sui terreni agricoli, mentre le pratiche burocratiche ci sommergono.
Credo che il contadino – continua la Gallo – rappresenti un patrimonio culturale di un paese, una sorta di operatore dell’ambiente che, con i giusti adattamenti alle attuali tecnologie, mantiene vivo un valore ambientale e sociale. Questo però si scontra con il pensiero dei nostri governanti i quali, in tutti i modi, cercano di farci stare sempre meno nelle nostre campagne per poter rispettare sino in fondo anche le ultime normative emanate, inseguendo il desiderio di fare adeguare i prezzi a quelli dell’industria agricola. Ma i ricavi – conclude amaramente Rosalba – dopo avere pagato tutte le spese, bastano appena per sopravvivere”.

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Redazione Iene Siciliane

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