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“Lei mi parla ancora”: un’emozionante pellicola di Pupi Avati con un commovente Renato Pozzetto al suo primo ruolo drammatico
Pubblicato il 28 Febbraio 2021
di GianMaria Tesei.
Una meravigliosa e lunghissima storia d’amore è la narrazione sapientemente e delicatamente sviluppata in “Lei mi parla ancora” da Pupi Avati, gigante della nostra cinematografia che, con l’ultimo suo impegno cinematografico, ha tratteggiato il grande percorso d’unione profonda ed indelebile tra i genitori dell’editrice e regista cinematografica Elisabetta Sgarbi e del noto politico, critico e storico d’arte Vittorio e.
Al centro si staglia quanto raccontato nel romanzo di Giuseppe Sgarbi, padre dei suddetti eminenti personaggi del panorama culturale italiano, che ha esercitato assieme alla moglie, per tutta la vita, la professione di farmacista e che ha esordito nella sua carriera di scrittore a partire dai suoi novantatré anni fino a poco prima della sua morte( avvenuta nel 2018 a novantasette anni) ha prodotto quattro opere dell’arte scritta: con la prima, “Lungo l’argine del tempo: memorie di un farmacista”, del 2014, ha conseguito anche ben due premi nei segmenti “opera prima” (al Premio Martoglio ed al Premio Bancarella) e con la terza che ha fatto da base alla trasposizione cinematografica, estremamente emozionante, di Pupi Avati, con un prodotto filmico che ha veduto la sua collocazione su Sky Cinema.
A caratterizzare questa nuova pellicola del regista di Bologna v’è anche un cast d’assoluto rilievo (Lion, Musella,Isabella Ragonese, Chiara Caselli, Nicola Nocella, Serena Grandi, Alessandro Haber, Giulia Elettra Gorietti, Gioele Dix e Romano Reggiani) che vede un Renato Pozzetto pienamente immerso in una dimensione diversa da quella che tipicamente ha contraddistinto la sua carriera, informata a progetti in cui emergeva il suo lato brillante. In questo contesto l’attore lombardo fa vibrare le corde dell’emozione profonda dando luogo ad un’interpretazione perfettamente aderente al carattere dolcemente drammatico e nostalgico del film del director bolognese.
In questa storia di un grande ed eterno amore tra i due coniugi Giuseppe- “Nino”- Sgarbi e Caterina –“Rina”- Cavallini ( interpretata dalla grande Stefania Sandrelli), la mano del regista è stata candidamente emozionante ed intima, muovendo dal romanzo che Sgarbi scrisse dopo la morte della propria compagna di vita , grazie anche ad all’ausilio di un ghost writer . Nel film la figlia della coppia vuole affiancare al padre, per riuscire a fargli superare la grave perdita, uno scrittore, Amicangelo (reso sullo schermo dall’ottimo Fabrizio Gifuni), più che altro inizialmente desideroso di danaro, per organizzare tutte le memorie ed i ricordi di “Nino” e tradurre in scritto tutto il bagaglio d’emozioni e passioni che Giuseppe aveva vissuto con “Rina”.
Con lo scorrere del tempo lo stesso Amicangelo (all’inizio in parte inviso a Nino perché secondo questi incapace di comprendere appieno la sua lunga e felice storia coniugale in quanto avente alle spalle un matrimonio finito male) si farà coinvolgere dall’universo delle ricordanze e reminiscenze dell’anziano uomo che tenterà di sanare la drammaticità dell’assenza della donna della sua vita parlando ancora con lei.
E’ lo stesso Avati a sottolineare la grande capacità di commuovere offerta dalla prova attoriale di Pozzetto, con quest’ultimo che ha affermato di avere avvertito la profondità del primo ruolo drammatico recitato nella sua vita sin dalla prima lettura che ha dato del ruolo, ma già da quando gli era stato prospettato dal fratello del regista, Tommaso suo sceneggiatore ed eterno sodale artistico, durante un pranzo, mangiando un piatto di spaghetti.
La bellezza di questa storia potrebbe essere definita anacronistica rispetto alla realtà attuale, poiché si distende per un arco di tempo di sessantacinque anni, rispetto ad un mondo di oggi che spesso tende a bruciare tutto con estrema velocità. E trova un esito che, nella sua forte drammaticità, la elegge a simbolo e vessillo d’amore imperituro. Lo stesso metteur en scène di questo toccante film, vive tutt’ora, una lunghissima unione con la moglie, di ben cinquantacinque anni, ed ha asserito come nella storia si riversino i concetti di “per sempre” che , quando era ragazzo lui, così come l’autore del libro, venavano ogni cosa od ambito, nell’idea centrale, romantica e pregna di speranza, di far perdurare i momenti belli della vita, eternarli, cosi come Rina aveva promesso a Nino, tramite una lettera, quando erano ragazzi e come fecero il giorno prima della scomparsa di lei.
Lo stesso director (che per “ll cuore altrove” ha ottenuto nel 2003 un David di Donatello come miglior regista) emiliano ha sottolineato di avere adottato un accorgimento particolare ossia di avere fatto conoscere i vari interpreti tra loro solo direttamente sul set in modo da realizzare una sorta di curiosità ed un certo diffidare tra loro che si sono poi convertiti nella necessità di conoscenza in fieri dello sviluppo attoriale collettivo della storia. Questa dialettica riesce ad ottenere gli esiti voluti dal regista ed a enfatizzare bene uno dei motivi centrali di questa pellicola ossia il ricordo che, nella memoria contadina, tanto cara ad Avati, vuol dire testimonianza, rimembrare coloro che sono trapassati, tenendoli ancora in vita attraverso preghiere che sono anche costituite dal ripetere i nomi di chi ha segnato la propria vita e che così rimane eternamente nel nostro presente e futuro dopo aver popolato profondamente il nostro passato.
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