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Leonardo Sciascia: un siciliano che sognava un’altra Italia

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Cent’anni fa nasceva il “maestro” Leonardo Sciascia che è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento e uno degli  intellettuali più importanti che influenzarono l’opinione pubblica nel dopoguerra. Si può ben capire questo grande successo poiché lo scrittore siciliano trattò sempre temi vitali della società con la sua lucida razionalità da illuminista che andava oltre le apparenze sino all’essenza delle cose. Scrisse  tantissimo fu un romanziere straordinario e redasse saggi ,racconti,poesie , collaborazioni giornalistiche e  sceneggiature. Non si sottrasse e non lesinò mai l’impegno politico e civile ricoprendo diversi incarichi rilevanti.
I suoi interventi pubblici crearono sempre querelle e accessi dibattiti. Bisogna dire che Sciascia fu il primo a scrivere  libri per far capire in tutta Italia il fenomeno della mafia, quando ancora se ne parlava pochissimo e su cui l’opinione pubblica aveva un’idea poco nota e nella migliore dell’ipotesi edulcorata e folcloristica di questa forma di criminalità organizzata. Il romanzo che lo rese celebre in tutto il mondo fu Il giorno della civetta, tradotto all’estero, quando a quei tempi nel 1961 nelle stanze del potere si taceva su questa piaga e si negava persino che esistesse .Il giorno della civetta ha la tecnica del racconto di un romanzo giallo ed si ispirò all’omicidio di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, ucciso a Sciacca nel 1947. Il romanzo narra appunto le vane indagini per scoprire un omicidio in un paese siciliano, che furono rese impossibili dall’omertà diffusa tra la popolazione che conviveva con la mafia. Il romanzo aprì uno squarcio  di luce su un fenomeno ignorato.
La vita professionale di Sciascia fu quella di un maestro delle elementari a partire dal 1949 e contemporaneamente riuscì a conciliare la sua curiosità di avido lettore cimentandosi ben presto nella scrittura di poesie e saggi.  Sciascia insegnò nelle scuole del suo paese natale Racalmuto e a tal proposito una volta rispondendo al sociologo  Danilo Dolci,magnifico attivista per la nonviolenza trapiantato in Sicilia, disse parlando  di sé: «Sono un maestro delle elementari che si è messo a scrivere libri. Forse perché non riuscivo ad essere un buon maestro delle elementari».
Su sollecitazione del pittore Renato Guttuso venne  candidato ed eletto consigliere comunale indipendente del Pci nel comune di Palermo dal 1975 al 1977 quando si dimise disincantato e deluso da un’esperienza negativa in cui conobbe il volto della mafia degli appalti e del sacco di Palermo .Nel 1979 Sciascia si candidò con i Radicali sia al Parlamento Europeo che alle elezioni politiche. Venne eletto in entrambi i casi, quindi a due soli mesi dall’inizio di mandato di europarlamentare lasciò l’incarico per diventare deputato a Roma. Fece il deputato fino al 1983 e come tale, tra le altre cose, fece parte della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. Ebbe un ruolo di primo piano nella casa editrice di Palermo Sellerio appunto poiché era  amico di Elvira Giorgianni e di suo marito Enzo Sellerio, che decisero di diventare editori parlando proprio con Sciascia  e con l’antropologo Antonino Buttitta. Sciascia diresse per anni le collane “La civiltà perfezionata” e “La memoria” e fu un suo libro a far diventare Sellerio una casa editrice nota in tutta Italia: L’affaire Moro, che venne pubblicato nel 1978, un libricino riguardo all’omicidio di Aldo Moro che fu un pamphlet critico, uno studio di documenti giudiziari e una reinterpretazione letteraria della vicenda. Sciascia ebbe il merito di presentare a  Elvira Sellerio,  Andrea Camilleri,che  poi divenne il più importante autore della casa editrice. Alla fine degli anni Ottanta Sciascia ci fu la polemica di cui ho accennato prima  a seguito di un articolo sul Corriere della Sera scritto da Sciascia il 10 gennaio 1987 in cui criticò alcuni giudici che si occupavano di mafia di aver approfittato dei processi per fare carriera.
In particolare  si citava Paolo Borsellino che aveva ottenuto un incarico da procuratore non per la sua anzianità professionale ma per le competenze che aveva acquisito indagando sulle attività mafiose. Sciascia fu criticato duramente con l’accusa di essere contro la lotta alla mafia  e il titolo rimase celebre rimase celebre anche se non fu scritto né approvato da Sciascia: «I professionisti dell’antimafia». Sciascia chiarì nel tempo con Paolo Borsellino l’equivoco che si ingenerò con questa sua presa di posizione che non era ovviamente critico nei confronti delle indagini sulla mafia, ma soltanto su alcuni eccessi  e metodi usati dalla magistratura che non condivideva e che gli sembravano in contrasto con i principi del garantismo. Era anche critico nei confronti del “pentitismo”, cioè della pratica di promettere sconti di pena a mafiosi e terroristi in cambio di informazioni che poi potevano anche rilevarsi falsi com’era avvenuto con il caso Tortora.
Rosario Sorace.

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