L’esempio di Gaetano Costa

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Gaetano Costa, da ragazzo aderì al Partito Comunista e manifestò una forte dose di sensibilità sociale per le difficili condizioni di vita del popolo  a Caltanissetta dove nacque .Non si dedicò, comunque, all’impegno politico, bensì si laureò nella Facoltà di Giurisprudenza di Palermo.
Infatti vinse il concorso in Magistratura e, successivamente, fu arruolato come ufficiale nell’aviazione, ottenendo due croci di guerra. L’8 settembre del 1943 raggiunse la Val di Susa unendosi nella lotta partigiana. Fu immesso nei ruoli  della  Magistratura, inizialmente presso il Tribunale di Roma, mentre, dopo, su sua richiesta, fu trasferito alla Procura della Repubblica di Caltanissetta dove restò dal 1944 al 1978.
Svolse quasi tutta carriera in Sicilia, prima da Sostituto procuratore  e dopo da Procuratore capo poi, mostrando sempre un livello  di alta preparazione professionale, indipendenza, ed equilibrio.
Guido Costa fu un uomo che visse appartato e fu poco incline ai contatti sociali.
Tuttavia tutti riconobbero nella sua natura  una grande umanità ed attenzione  nei confronti dei  soggetti più deboli, dei poveri e dei disoccupati. Sin dai primi anni sessanta dalle sue audizioni nella Commissione Antimafia si evince chiaramente che comprese benissimo la mutazione profonda della mafia, ormai  inserita per fare affari nella  pubblica amministrazione, con un controllo degli appalti,delle  assunzioni e con una capacità di  gestione della vita amministrativa.
Si fece carico di proposte che potessero attuare un’efficace lotta alla mafia con  la predisposizione di strumenti legislativi che consentissero di indagare sui patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli. Il suo grido d’allarme rimase naturalmente inascoltato e all’inizio del 1978 fu nominato Procuratore capo di Palermo. Ci fu una reazione del “Palazzo” negativa a questi incarico a Costa al punto  che si ritardo’ la sua immissione nell’incarico sino al luglio di quell’anno. Emblematica ed esplicativa fu la dichiarazione che fece all’insediamento, in cui manifestò la piena  consapevolezza delle difficoltà e delle resistenze che avrebbe dovuto affrontare:
“Vengo in un ambiente dove non conosco nessuno, sono distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno equivoci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la discussione fosse inquinata da rapporti d’inimicizia, d’interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fatalmente alla lite». Nella sua breve permanenza alla Procura di Palermo avviò una serie di delicatissime indagini  anche se  con i limitati mezzi  e tentò di penetrare i santuari patrimoniali della mafia.Il procuratore Costa  fu assassinato dalla mafia il 6 agosto 1980 verso le 19. 30, mentre passeggiava da solo ed a piedi vicino casa sua.
Fu ucciso  da sei colpi di pistola P38 che lo colpiranno alle spalle da due killer che, poi,  forse scapparono in moto o forse su una A112 trovata poi bruciata. Il magistrato fu freddato mentre era intento a sfogliare dei libri su una bancarella. Morì su un marciapiede di via Cavour a Palermo e al suo  funerale non parteciparono autorità e persino vi furono  pochi magistrati.
Fu l’unico magistrato a Palermo, in quel momento, che ebbe a disposizione un’auto blindata ed una scorta, ma non ne fece uso poiché non volle mettere a repentaglio la vita  di altri  uomini. Disse a tal proposito che lui “aveva il dovere di avere coraggio” e in questa sue frasi ricorda Rosario Livatino, un altro giudice che dieci anni dopo venne ucciso senza scorta. La sua condanna a morte fu decisa per  il fatto di aver  firmato personalmente dei mandati di cattura nei confronti del boss Rosario Spatola e di alcuni dei suoi uomini mentre  altri suoi colleghi si rifiutarono di firmare. Il delitto fu ordinato dal clan mafioso di Salvatore Inzerillo.
Nessuno però fu condannato per questo omicidio , anche se  la Corte di assise di Catania accertò il contesto il contesto  che fu individuato nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato. L’oblio che è caduto su questo grande magistrato fu una pagina amara e triste poiché  come successe per altri servitori dello Stato fu lasciato solo e senza grandi solidarietà per il suo impegno. Il suo lavoro  fu continuato da Rocco Chinnici, che fu tra i pochi che lo capirono e ne condivisero  gli intenti e l’azione. Ma dopo pochi anno anche Chinnici morì tragicamente.

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Benanti

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