Il rider tipo a Palermo ha tra i 30 e 40 anni, all’81,9 per cento è maschio, di istruzione media o anche medio alta, che basa la propria sopravvivenza su un reddito proveniente, quasi esclusivamente, da questa attività.
Il 58,1 per cento va in scooter, il 23, 3 per cento in auto, il 17, 4 per cento in bici e pochissimi usano il monopattino. Quanto si sente sicuro un rider che lavora a Palermo? Il 73, 8 per cento ha risposto di sentirsi poco sicuro, il 19 per cento per niente sicuro. Le preoccupazioni maggiori sono legate alla condizione delle strade (l’86 per cento), ai furti (il 47,7 per cento), alle aggressioni fisiche (il 41,9 per cento) e a quelle verbali (il 27,9 per cento), alle condizioni meteo (il 45,3per cento). Il 32, 6 per cento delle persone intervistate dedica in una settimana da 11 a 20 ore al lavoro di rider, il 30, 2 per cento da 21 a 30 ore e il 23,3 per cento più di 40 ore.
Sono alcuni dati dell’indagine condotta dalla Cgil Palermo sul lavoro dei rider presentata all’Epyc in via Pignatelli Aragona, dove nel settembre 2023 il sindacato ha aperto la Casa dei Rider.
Le interviste, alcune su risposta multipla, hanno coinvolto circa un quinto dei rider che operano sul nostro territorio: 90 operatori su 450. Un libro bianco che nasce dall’esigenza di organizzare e rappresentare al meglio i lavoratori e le lavoratrici che operano sul territorio palermitano, fotografando le condizioni di lavoro, rendendo noto il fenomeno, fornendo analisi e strumenti e immaginando soluzioni.
“A Palermo cresce più che altrove la domanda di forza lavoro in questo settore esponenzialmente ai luoghi ristorazione moltiplicati in questi anni, da quelli classici ai fast food- spiega Dario Fazzese, segretario Cgil Palermo – I dati raccolti sconfessano la vulgata comune che vorrebbe certe forme lavorative intese come lavoretti, cioè attività finalizzate a un’utenza giovane e non dipendente esclusivamente da questo reddito. Ci raccontano una realtà più complessa, lavoratori alle prese con numerosi rischi per la propria incolumità al fine di garantirsi un reddito indispensabile alla propria sopravvivenza, seppur povero nel valore salariale”.
Il 53, 5 per cento lavora come rider già da due anni, e più di 1 su 2 anche da più di due anni, un terzo ha la partita Iva (32 su 90), il 25,9 per cento ha una collaborazione autonoma occasionale e il 24,7 per cento un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e il 12,9 a tempo determinato. In 1 caso su 3 tra i rider ci sono genitori di minori, che cercano stabilità occupazionale.
Il reddito medio mensile? Oscilla tra un minimo di 400 euro e un massimo, cifra che raggiungono in pochi, di 2.100 euro. Se ci si aspettava che la nascita delle varie piattaforme di consegna avrebbe determinato una regolarizzazione del fenomeno degli addetti alla consegna a Palermo, dall’analisi della Cgil risulta che non sia andata così.
“Purtroppo, ciò a cui frequentemente assistiamo – aggiunge Fazzese – è più una forma di legalizzazione dello sfruttamento di questi lavoratori. Un lavoro, quello dei rider, che non sempre offre grandi soddisfazioni: oltre ai problemi della sicurezza, più del 40 per cento ritiene poco o per nulla soddisfacente la retribuzione e il 60 per cento è insoddisfatto in quanto a realizzazione personale. Questo dato emerge in modo abbastanza omogeno. Se da un lato viene molto apprezzata la flessibilità degli orari, dall’altro si sottolinea la scarsa soddisfazione nel lavoro che si svolge”.
“Il modello imposto dalle piattaforme di Delivery non è attualmente compatibile con diritti tutele e sicurezza dei lavoratori – afferma il segretario Nidil Cgil Palermo Francesco Brugnone – Negli ultimi anni le proteste di rivendicazione e gli scioperi dei Rider sono stati all’ordine del giorno. Questo dimostra che queste modalità di lavoro non sono dignitose né per il rider né per nessun altro lavoratore. Per guadagnare 1000 euro netti al mese un rider deve lavorare quasi 7 giorni su 7 per almeno 8 ore al giorno”.
La rider Olga Giunta, segretaria Filt Cgil Palermo, nel libro bianco sottolinea come il modello intrapreso da Just Eat, che nel 2021, dopo anni di lotte e mobilitazioni, ha deciso di staccarsi dal gruppo Assodelivery e sperimentare l’applicazione del contratto di lavoro subordinato, “rappresenta un passo avanti per la dignità del lavoro in un settore storicamente precario. Una modello che può diventare un riferimento per l’intero comparto del food delivery”.
E per Alessandro Bellavista, docente di Diritto del Lavoro all’università di Palermo, l’inchiesta mette in luce le condizioni di estremo sfruttamento in cui si trovano a operare questi lavoratori. “E dimostra che l’azione sindacale è sempre in grado di raggiungere risultati positivi per i lavoratori – dice Bellavista – E’ necessario anche un rinnovato quadro normativo che regoli il cosiddetto management algoritmico con cui si esercitano i poteri delle piattaforme digitali. E che il legislatore attui la recente direttiva europea sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori delle piattaforme”.
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