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L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario di Catania
Pubblicato il 05 Febbraio 2020
di Carlo Majorana Gravina
L’inaugurazione dell’anno giudiziario, celebrata in tutti i distretti di Corte d’Appello italiani sabato 1 febbraio 2020, è occasione e spunto di molte riflessioni e considerazioni. La forma solenne che assume, magistrati in toga cerimoniale rossa bordata di ermellino, corteo di entrata preceduto dal mazziere, vuole far risaltare la cogenza del motto ubi societas ibi ius, ovvero la pervasività, nel bene e nel male, del sistema Giustizia.
Altre considerazioni meritano i dati statistici che i Presidenti di Corte d’Appello snocciolano all’interno delle loro relazioni, mettendo in risalto l’ampiezza dei campi su cui si estendono le competenze della giurisdizione.
Da tempo assistiamo a uno stucchevole, quanto inconsistente, tentativo di riformare questo “pianeta” che, con i suoi campi gravitazionali condiziona la vita delle nazioni in tutti i sensi e mai nessuno rileva quello che è più evidente: non è un pianeta ma un sistema planetario.
Fuor di metafora, può darsi che molti miglioramenti potrebbero arrivare o meno da separazione delle carriere o dall’abolizione o correzione della prescrizione e chi più ne ha più ne metta; solo le fredde inesorabili statistiche ricordano che il sistema giustizia si compone di: giudici, avvocati, giudici onorari, consulenti tecnici e personale amministrativo, per quanto concerne l’umanità che muove; opera in campo civile, penale, minorile, amministrativo, contabile, fiscale; i suoi riti si celebrano in tribunali, sedi staccate, case di pena. Insomma, il sistema solleva questioni logistiche, strutturali, immobiliari e amministrative complesse.
Basterebbe ricordare la riforma di qualche anno fa che ha creato problemi e sperequazioni nella giustizia di prossimità sui quali la politica si è impegnata a dare risposte che ancora, a metà legislatura, non arrivano. Non c’è stata una “lettura” attenta e puntuale della complessità orografica del territorio nazionale, non sono state valutate attentamente le carenze logistiche ed infrastrutturali che lo affliggono, né si è tenuto presente che apparati e istallazioni giudiziarie (di ogni genere e tipo) creano un indotto considerevole, talora anche imprevedibile.
Se il motto è ubi societas ibi ius, sopprimere un tribunale o una casa di pena (ius) infligge una ferita, una lesione grave e significativa alla societas.
Per tutto questo, all’inaugurazione di Catania ha assunto particolare rilievo l’intervento del rappresentante del Csm Sebastiano Ardita che ha esordito “L’anno giudiziario che si apre oggi cade dopo la stagione più nefasta per l’autogoverno della magistratura. Mi riferisco allo scandalo di Maggio scorso – che sembra frettolosamente archiviato come fatto episodico e circoscritto ai protagonisti, da cui è troppo semplice adesso prendere le distanze – mentre invece meriterebbe una riflessione più profonda sul tradimento della rappresentanza dei magistrati ed una risposta radicale sotto il profilo normativo e istituzionale.
Ardita, in magistratura da 39 anni, è l’attuale presidente della Prima commissione del Csm, competente su: esposti, ricorsi, doglianze concernenti magistrati; inchieste amministrative; incompatibilità; autorizzazioni ad incarichi extragiudiziali e speciali, ha segnalato “Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il CSM, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine Giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla Magistratura”.
Il Presidente della Corte d’Appello, Giuseppe Meliadò, e il Procuratore Generale, Roberto Saieva, nelle loro relazioni, hanno dato ampio spazio a questi argomenti che, fatalmente, hanno messo in secondo piano i miglioramenti statistici che, seppure in modesta misura, nel distretto etneo ci sono stati, ricordando, però, che dentro i processi ci sono persone, vite, interessi economici e patrimoniali, storie e sentimenti cui la Giustizia tenta di dare risposte e ristori, tenendo presente che questa è la giustizia degli uomini non quella Divina; le risposte che dà sono prevalentemente quantitative, sporadicamente qualitative.
Ultima considerazione: le statistiche esposte nella relazione del Presidente della Corte d’Appello sono raccolte per annata agraria, non solare. Il sistema giudiziario deve saper discernere, nel rispetto della sua autonomia costituzionale, se nei suoi smisurati campi si stanno coltivando piante proteiche e vitaminiche oppure oppiacee e venefiche.
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