L’insostenibile pesantezza del coprifuoco


Pubblicato il 19 Gennaio 2021

Scritto dal Corsaro Nero

Certo, avere un presidente del Consiglio capace di farsi beffe del Parlamento (non soltanto a suon di DPCM e attraverso meditate e plurime assenze dal dibattito all’interno dell’Aula di Montecitorio) salvo poi spacciare per “discorso alla nazione” una pantomimica richiesta di aiuto e salvaguardia della propria leadership governativa con preghiera rivolta proprio ai parlamentari fin lì “scherzati” è già programma a guisa di operetta.

 Lo è talmente tanto che ascoltandolo senza ricavare sorpresa dai miseri contenuti dell’intervento mi aspettavo ci fosse il libretto a supporto e che la sceneggiata fosse musicata in streaming e diretta televisiva da primario compositore classico nazionale.

Né libretto e neppure colonna sonora; resto deluso.

 C’è però una nutritissima e ben agguerrita claque fatta di politologi delle polpette col sugo, analisti dell’altrui ano, supporters di prima linea Maginot e pure qualche bimba di Conte sparsa qua e là (che poi sarebbe appellativo disonorevole, peggio di dare della “sardina” a un giovane senziente). E la claque ne sa tanto del valore dell’operetta nel panorama teatrale italiano tant’è che un titolo ormai classico rimanda a quel “Paese dei Campanelli” che vidi più volte e con il quale riconosco e rivedo quell’Italia così umiliata e vessata, surreale e ipocrita che abbiamo visto affermarsi nelle ultime quattro decadi di Storia patria.

 “Giuseppi, Giuseppi, Giuseppi (così lo chiamò l’uscente Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump) sei tutti noi!”, “Vada avanti, signor presidente. Avrei voluto vedere i componenti della Banda Bassotti agire al posto suo in quest’anno di pandemia.”.

Sono cose dette, per essere precisi: scritte, tanto per dire, invero lo scrivente supporter dichiara che avrebbe voluto vedere quello che, in tutta evidenza, aborra e sfugge come il più grande dei mali o alternativa impossibile.

 Neppure il voto, la calata alle urne è spesso vista come esercizio democratico non più plausibile per gli ultrà che avrebbero il piacere di continuare “ad libitum” con questa melodia dagli esiti incerti e dalle armonie neppure sfiorate.

 Pur tuttavia costoro, i sostenitori più agguerriti o semplicemente trasognanti,  restano tenaci, indefessi.

 Forse perché non ricoverati o personalmente intubati, quasi certamente perché con interessi in corso o “col culo al caldo” e un mensile ancora fisso – come il posto pubblico o garantito da essi occupato in questa società – e puntualmente presente via bonifico in data orientativa e rimandante al celeberrimo “27 di ogni mese”.

I misteri della mente.

Piacciono anche coloro che fanno del male talvolta, figuriamoci se non può piacere chi – quando vabene – non ne imbrocca mezza. Anzi, le scrive e le conia apposta com’è stato per i “ricoveri”.

Proviamo a vedere, allora, come sta la gente; quella con nome, cognome, professione operante nella comunità catanese.

 Lo faccio perché credo ancora di saperlo trasmettere bene. Giusto per poter avere un piccolissimo dato geografico locale, a campione.

 Già, non è peregrino scriverne visto che, nel frattempo, in Sicilia siamo entrati nel vivo delle prime 48 ore di “Zona Rossa” voluta, ovvero imposta, dal governatore Nello Musumeci sentito proprio Giuseppe Conte e il ministro alla Salute Roberto Speranza.

 Chiaramente il tutto nel rispetto delle normative prudenziali nazionali e attuali e con l’auspicio di arginare gli effetti devastanti della pandemia che a voler sommare i calcoli che ci riferiscono i rapporti ufficiali della stessa Regione Siciliana fisserebbero in un milione il numero di contagiati o “portatori impropriamente definiti sani ma auspicabilmente inconsapevoli e involontari” del virus del Covid-19.

Zona Rossa significa, ritornando a una limitazione che ha scatenato reazioni canzonatorie o piccate di centinaia tra i  commentatori sui social – che appaiono come una maggioranza chiaramente non conteggiata – “non poter (neppure) camminare a piedi per i centri urbani”.

 Oltre il dramma di coloro i quali versano in precarie condizioni di salute e oltremodo temono i ricoveri in ospedali e cliniche proprio per il concomitante rischio di contrarre questa particolare influenza (virus del Covid-19) che attacca le vie respiratorie anche in maniera micidiale quali sono le ricadute, psicologiche e tangibili di questa situazione locale, nazionale, mondiale a ogni modo rilevante e “pesantissima” e ormai quasi giunta a una durata annuale?

 Se un genitore anziano ancora in parte autosufficiente vive solo in una grande città come farà il figlio, anche utilizzando la mascherina e mantenendo quella che antipaticamente venne definita “distanza sociale” a portar loro conforto, anche materialmente la spesa (lo so, lo so che è un servizio offerto dai supermercati ma il senso dello scrivente per affetto e condivisione è, evidentemente, un altro).

 Sono le 18.18 e cominciamo con le nostre piccole storie di catanesi a Catania e nella regione o nel mondo.

 Giovanni Trimboli, è ristoratore e chef; rispetto alla nostra attualità specifica: “Viviamo un momento storico importante. Siamo confusi ma cerchiamo di essere propositivi come se fossimo nel dopoguerra durante le ricostruzioni che ripartono dalle macerie lasciate dal conflitto. Non mi sarei immaginato di vedere un giorno la mia città svuotata dalle auto, dal suo caos; neppure che tutto questo potesse essere conseguenza della pandemia…non ci avrei mai creduto. Suppongo sia un sentire comune. Certo il disagio è mondiale e il vaccino stesso, in tutta questa storia, è una di quelle componenti che arde il dibattito fornendo netta la sensazione di un nuovo giorno che si approssima. Non mi sono dato mai forti restrizioni e ho sempre vissuto con la massima cautela la pandemia nel rispetto delle disposizioni della presidenza del Consiglio dei Ministri e con la coscienza di vivere una situazione eccezionale e imponente che si potrà capire soltanto con il trascorrere del tempo. Non è il caso di essere complottista o di avere posizioni rigide e accidiose anti complotto. Dall’onda emozionale iniziale a oggi avevo sperato che il mondo potesse cambiare in meglio, che aumentassero rispetto, partecipazione, coesione… ma ciò non è avvenuto. Anche nel settore della ristorazione, quello più colpito, volontariamente, probabilmente per ricercare un capro espiatorio che non ha portato grossi frutti né al Comitato Tecnico Scientifico e neppure alla politica italiana che non è riuscita nell’intento di ‘dare un colpo alla botte e uno al cerchio’. Quando si affronta il problema del risanamento di un’impresa si deve essere drastici e non titubanti. In questa Italia malata non da ora ma quasi da sempre, la pandemia da Covid-19 improvvisa e con una gestione direi quasi improvvisata abbiamo chiaro che lascerà grosse problematiche, ancora maggiori di quelle che stiamo patendo in tanti, a questo Paese. Ne risentiremo a lungo dell’attuale periodo durissimo che stenteremo a dimenticare. Quello che non si è fatto lo ritroveremo domani e questo mi fa riflettere su un periodo non roseo e non per tutti, incidentalmente fatto per persone che vivono la vita con una certa filosofia perché la tragedia del rapporto sociale ed economico che ci resta come fardello sarà di drammatica evidenza. E mentre l’epidemia farà o avrà compiuto il suo corso a livello economico e sociale sarà stato rimarcato il divario. Per questo ritengo che il periodo di stare a guardare è finito. Chi può fare qualcosa lo faccia oggi e non attenda il domani. Forse esiste una buona occasione, proprio adesso, per intraprendere una nuova attività, per stabilire un nuovo cammino. Il contagio, senza volere, sta facendo dei regali sociali da poter cogliere al volo. Tutto sta andando male ma resta una buona fetta di economia che va nel verso opposto. E analizzando questo momento storico esorto chi ci legge a essere più ottimisti che pessimisti. Esiste, ed è tangibile, anche l’opportunità di nuovi orizzonti che non contemplano sussidi, ristori o quanto altro. La politica italiana sta offrendo una copertura commerciale alle imprese di circa il 7, l’8% del fatturato che sta andando in fumo… sono cifre evidentemente risibili, purtroppo.

Di questa ennesima zona rossa – sottolinea Trimboli –  dovremmo provare a non vedere solo negatività. Nel settore sanitario da una parte si contano i morti per altra parte, con dati di fatto e con ogni probabilità, conteremo inchieste della magistratura.

Siamo un Paese dai mille volti. Se si fosse anche minimamente attenti ai fatti, coinvolti concretamente da ciò che accade intorno a noi, ci renderemmo semplicemente conto di essere una nazione viva, con tante opportunità. Al contempo, per quanto vedo, ascolto, vivo, mi rendo conto che restiamo dei pasticcioni. Siamo accondiscendenti,  continuiamo a vivere di “emergenze” e “assistenzialismo”; questo è un dramma nel dramma, il DNA che si porta dietro l’italiano”.

 “Il momento non è dei migliori – rimarca Luca Di Mauro, past presidente Federhockey e Cus Catania – il nuovo anno doveva allentare la tensione se non con l’arrivo del vaccino, almeno con la consapevolezza di chi avendo conoscenza,  facesse tesoro degli insegnamenti. Ovviamente così non è stato, ci ritroviamo chiusi, fortunatamente nelle nostre case, in attesa di poter riprendere in sicurezza le nostre attività. Tra le tante, quella sportiva ha acquisito in questo periodo una rilevanza diffusa. Perché proprio grazie a queste chiusure forzate ci si è resi conto che lo sport, il contatto con i luoghi che ci circondano ,ci aiuta a stare meglio, a vivere meglio. È capitato a tutti avere voglia, anche solo, di fare una passeggiata in un parco, o in campagna, o andare verso le molteplici e differenti spiagge che nella nostra bella isola ci circondano. Vero è che si nota la mancanza di qualcosa proprio quando la stessa non è più alla nostra portata.

Essere a contatto con il sapore del mare, apprezzare il fruscio del vento, il sudore sulla pelle camminando, passeggiando o correndo è emozionale e salutare. Non solo giovani si incontrano su bici o in giro con abbigliamento comodo. Si! Il vecchio detto ” Mens sana in corpore sano” è quanto mai appropriato! Gente che cammina, corre, pedala! Ma anche gente che fa esplodere campi da paddel, bimbi che riempiono campi da tennis, campi da corsa, circoli nautici. Ci si riappropria di tutto ciò che ci consente di muoverci all’aperto.

Oggi è chiaro e necessario quanto e più di prima della pandemia. Perché faticare ci porta a rendere non solo il nostro fisico più bello, ma soprattutto ci consente di sostenere la buona salute. I due momenti fondamentali per propendere a una vita sana restano l’attività fisica costante e la reale attenzione per un’alimentazione genuina”.

 Già, il corpo e la mente, la salute che non è da sottovalutare. Anzi, che dobbiamo difendere. E che non si difende solo con il vaccino di Pfizer, multinazionale del farmaco arrivata per prima con la distribuzione in Italia che in data 18 gennaio 2021 decide unilateralmente di inviare 160.000 dosi in meno di quelle pattuite col Governo italiano mettendo a rischio i “richiami” che renderebbero inutile – quando non problematica – la prima fase della vaccinazione già effettuata da quasi un milione di italiani.

“La mente è un filo di capello e, ogni tanto, va pettinata”. Di questa frase, nella sua composizione e articolazione successiva a quella celeberrima che ne rappresenta la base rivendico paternità.

Ma, se ci si deve inoltrare nello scandagliare la sanità mentale individuale o collettiva sarà bene che la trattazione venga riservata a un professionista e non lasciata alla capacità interpretativa, di deduzione o riporto giornalistico.

Ci offre supporto Cristina Micieli, psicologa e sessuologa, la quale propone una visione da surfista per coloro i quali dovranno impegnarsi a superare le difficoltà personali e relazionali che questo lungo periodo di isolamento forzato, di perdita del lavoro e di tante altre certezze – così come di lotta a difesa della salute personale e collettiva – ci impone e imporrà.

 “Non puoi fermare le onde ma puoi imparare a cavalcarle”.  Questo è l’assunto sul quale propone di muovere i primi passi per un’analisi concreta di ciò che sta avvenendo e del supporto che potrebbe molto probabilmente rendersi necessario per tanti.

 “Non sempre è facile riuscire a trovare il modo per cavalcare le onde – afferma Micieli – Per farlo, occorre saper adattarsi in modo flessibile alle condizioni di vita a cui siamo esposti, e alle inevitabili conseguenze date dal cambiamento.

Un segnale importante di buon spirito di adattamento è la capacità di riconoscere quando siamo in grado di farcela da soli e quando invece abbiamo bisogno di aiuto.

L’esperienza traumatica del Covid ha portato con sé conseguenze psicologiche di disagio emotivo a volte anche impattanti sulla qualità delle nostre esistenze. Durante la prima ondata di contagi, l’arrivo inaspettato dell’epidemia del nuovo coronavirus ha provocato un trauma in molte persone: ha interrotto la quotidianità, ha costretto all’isolamento e alla convivenza forzata in spazi ristretti, per molti ha coinciso con l’esperienza diretta della malattia e del lutto.

 Tuttavia è la seconda ondata quella che sta mettendo più alla prova la maggior parte delle persone dal punto di vista psicologico.

Se inizialmente, allo scatenarsi della pandemia, si è affrontata l’emergenza con la speranza che se ne potesse uscire in tempi brevi, a oggi sta diventando più faticoso intravedere la possibilità di un ritorno prossimo alla normalità, a ragion di ciò stiamo iniziando ad assistere ad effetti psicologici di cronicizzazione del trauma. Per questo molti fanno fatica a dormire, c’è chi non riesce a disconnettersi dal lavoro, chi stenta a uscire di casa, chi ha sviluppato delle vere e proprie fobie, chi non vuole tornare al lavoro, coppie che sono entrate in crisi, chi riporta una stanchezza diffusa che rallenta qualsiasi attività, chi fa fatica a concentrasi, chi ha delle crisi di rabbia. E poi ci sono i sintomi più gravi: la depressione, l’ansia o la dipendenza da alcol e altre sostanze. Per quelli che hanno vissuto in prima persona la perdita di una persona cara o che sono sopravvissuti al covid, i sintomi sono ancora peggiori.

E a dieci mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria in Italia, una delle conseguenze più trascurate a livello sociale è il malessere psicologico diffuso che l’epidemia ha provocato in molta parte della popolazione.

Ma come fare a sapere e capire quando arriva il momento di chiedere aiuto?

A volte può essere difficile, ma è proprio quando si ha la l’impressione di non essere più in grado di gestire in modo soddisfacente la propria vita che bisogna fermarsi, fare un passo indietro e decidere di chiedere aiuto, rivolgendosi ad un consulto professionale.

A tal proposito è attivo in Sicilia, e si sta diffondendo in tutta italia, un servizio di assistenza psicologica immediato – Il Pronto Soccorso Psicologico Italia – PSPI, a cui è possibile rivolgersi con un numero gratuito 02-35974397 disponibile tutti i giorni 24h, con un team di professionisti appositamente formati al servizio del benessere psicologico”.

Alcuni tra noi desiderano e si impegnano, soprattutto oggi, affinché il giornalismo – scevro dagli eccessi del protagonismo di opinione spesso ridondanti in tv – torni a essere riflessione, informazione, approfondimento, servizio.

Il Corsaro Nero.

 

 


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