di Gian Maria Tesei
La quindicesima edizione della Festa del cinema di Roma, svoltasi tra il 15 ed il 25 ottobre 2020, ha rappresentato con forza il tentativo di sottrarsi alle dinamiche stravolgenti di un nuovamente efflorescente riemergere della vigoria pandemica del covid 19, per significare la capacità di resistere di un settore , quello del cinema e dello spettacolo in generale, che è stato ed è tra quelli maggiormente penalizzati dalle restrizioni sanitarie imposte dalla particolare fase che viviamo.
La presidentessa della Fondazione Cinema per Roma Laura Delli Colli (nonché presidentessa del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani – Premi Nastri d’argento) insieme al direttore artistico (da più di cinque anni in carica) Antonio Monda hanno realizzato un festival di buon livello pur consapevoli delle grandi difficoltà in cui sarebbero incorsi, tra il disertare scontato di alcuni ospiti ed i red carpet che non hanno veduto il consueto défilé opimo di personalità del mondo della cinematografia mondiale pur essendo approdati, come ribadito dallo stesso Monda, al Parco della Musica 260 talents, con stelle del calibro del cantante dei Radiohead Thom Yorke o del Premio Oscar , per “ 12 anni schiavo “,Steve McQueen, senza trascurare John Waters (poliedrico attore, comico e regista americano di culto soprattutto, ma non solo, per il suo essere riferimento del cinema indipendente degli anni ’70) e Thomas Vinterberg, regista danese pregiatosi del Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1998 per il suo “Festen”. Il tutto operando un ‘importante azione di sostegno e di incentivazione alla filmografia ed al suo essere protagonista nei suoi luoghi d’eccellenza ossia le sale, come sottolineato dalla Delli Colli.
A scandire i ritmi festivalieri sono stati una grande accortezza alle direttive relative all’uso dei dispositivi di protezione individuale costituiti dalle mascherine, le dovute capienze ridotte delle sale, i distanziamenti fisici ed anche il ricorrere ad uno streaming concepito per l’evento con comunque l’idea, che traduce proprio la suddetta volontà di supportare i film nei cinema, di proiettare il film di chiusura “Cosa sarà” nelle sale appena due ore dopo la premiere per usufruire dell’intero week end.
La pellicola che ha concluso la manifestazione ha veduto come suo protagonista assoluto Kim Rossi Stuart guidato dalla sapiente mano del director e sceneggiatore romano Francesco Bruni nelle vesti di Bruno Salvati, regista che trascorre una vita abbastanza deludente in quanto, oltre ad essere un metteur en scène di commedie poco affermato, ha da poco “subito” la separazione dalla moglie Anna,madre dei suoi figli teenager, ossia la dedita agli studi, diligente e determinata ventenne Adele (interpretata da Fotinì Peluso, già nota per il film “Sotto il sole di Riccione “dei YouNuts! e per “Regno” di Francesco Fanuele) ed il consumatore di canne , approssimativo e confuso diciassettenne Tito ( personificato da Tancredi Galli, webstar che si è affermata tramite il suo canale su Youtube, al primo vero lancio sul grande schermo).
Ad angariare ulteriormente il director, impersonato dall’attore de” Il ragazzo dal kimono d’oro” ( 1987), grava la congettura per la quale la sua ex-compagna( interpretata da Lorenza indovina, che ha alle spalle la partecipazione a 39 pellicole tra cui ricordiamo “La fame e la sete” o “Qualunquemente”, film che hanno evidenziato il suo ottimo talento nelle commedie) abbia già un’altra figura sentimentalmente legata a sé, peraltro del suo stesso sesso.
A corrodere ulteriormente il particolare momento vissuto da Salvati uno strano malore(dovuto ad un trauma – ossia lo sbattere sulla porta dello sportello della sua auto- che per distrazione lo coglie mentre osserva una bellissima ragazza attraversare la strada)per il quale gli viene diagnosticata una malattia sconvolgente, la mielodisplasia che determina la necessità di avere un donatore di midollo osseo.
La notizia del suo precario stato di salute induce il protagonista del film (il cui cast si compone di altri interessanti attori quali Barbara Ronchi, Raffaella Lebboroni, Nicola Nocella, Elettra Dallimore Mallaby e Stefano Rossi Giordani) a ridare valore alle proprie traballanti relazioni familiari, compresa quella con il padre Umberto che gli rivelerà un qualcosa che fino a quel momento aveva tenuta riservato, scombinando ancor di più il regista che si metterà alla ricerca di chi potrà davvero aiutarlo.
In questo film Kim Rossi Stuart ha assunto appieno le sembianze di Salvati, vivendo momenti di sana ilarità commisti ad altri permeati da una tragedia trasfigurata sugli schermi dall’attore di “Romanzo criminale” anche tramite le conseguenze fisiche della chemio a cui è sottoposto il protagonista che perde vigoria e capelli. E questa trasformazione per Rossi Stuart è stata pienamente accettata dall’atmosfera unica che subito, sin dalla prima lettura della sceneggiatura, ha avvertito in questo film. Un’atmosfera plasmata su un personaggio che vede un abisso prospettarsi davanti a sé ed è costretto a rivedere la propria vita con Rossi Stuart che rende il protagonista agli spettatori riuscendo a rappresentarlo senza aggravarlo eccessivamente del carico della malattia ma con la dovuta leggerezza, soprattutto promanante dai momenti più lievi e segnati da un dinamismo costante di emozioni e sentimenti.
Il regista Bruni (che ha ricevuto tra i vari riconoscimenti anche il Nastro d’argento ed il David di Donatello per la migliore sceneggiatura per “La prima cosa bella” di Paolo Virzì, director con il quale ha spesso collaborato, ed il David di Donatello giovani e quello al miglior regista esordiente per “Scialla! (Stai sereno)” nel 2012) ha dato vita ad un prodotto filmico in bilico tra la commedia ed il dramma, tra il cinema d’essai e le produzioni commerciali in cui il passaggio dal momento comico a quello drammatico avviene quasi improvvisamente, dimostrando di percorrere un cammino in direzione dei grandi autori del cinema italiano.
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