“Lo Stato vuole la nostra morte”, il j’accuse del sindaco di Mineo

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(di Rossana Lo Castro) Ha scritto al capo dello Stato, Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e ai due vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. “Senza ricevere nessuna risposta”. Adesso il tempo è scaduto e lui, il sindaco di Mineo (Catania), Giuseppe Mistretta, si dice pronto a volare a Roma per consegnare la fascia tricolore. “Lo Stato ha deciso la morte del mio Comune. Se entro questa settimana non riceverò un segnale forte, non mi resta altra alternativa. Non sono nelle condizioni di poter amministrare la mia città” dice all’Adnkronos.

I vertici del Viminale sarebbero dovuti arrivare entro marzo nella cittadina del Catanese. Una visita utile a stilare un “patto” per la chiusura del Cara, il più grande centro di accoglienza per richiedenti asilo d’Europa, prevista entro l’anno. Un documento in cui scrivere nero su bianco una serie di impegni per assicurare la rinascita di un territorio a cui “in tutti questi anni è stato imposto un grande sacrificio” denuncia Mistretta.
Nell’ex residence degli Aranci, originariamente destinato a ospitare i militari statunitensi, oggi ci sono un centinaio di migranti. I rimpatri proseguono secondo il calendario prestabilito, ma i timori del primo cittadino sono diventati realtà. “Dopo l’incontro al Viminale ho registrato il silenzio più assoluto – racconta -. Tutti gli annunci sono rimasti lettera morta. Nessuno è venuto a Mineo e ai miei appelli non ho ricevuto risposta. Salvini? Non l’ho mai sentito“. Al Governo gialloverde nei giorni immediatamente successivi all’annuncio della chiusura del Cara da parte del ministro dell’Interno il primo cittadino aveva chiesto di “non lasciare le macerie”.

Tra le sue richieste la concessione di una zona franca fiscale o una zona economica speciale, ossia “la possibilità di avere agevolazioni di carattere fiscale per un quinquennio che ci consentano di recuperare sul terreno della ripresa economica e dell’occupazione. Anche perché dal 2011 l’Amministrazione comunale sostiene spese ingenti. Almeno una decina di dipendenti comunali sono dedicati proprio al Cara, anche adesso nella fase della sua dismissione”. “Non vorrei che ci si dimenticasse di Mineo, un puntino sulla cartina geografica, non lo consentiremo” aveva detto nei giorni caldi dei trasferimenti dalla struttura, quando nel suo piccolo Comune di appena 5mila anime erano arrivati giornalisti e troupe da tutta Italia. A distanza di mesi quel timore è diventato realtà.

Oggi tutti mi girano le spalle – denuncia -, siamo stati abbandonati. Dopo i tanti annunci a Mineo sono rimasti la disoccupazione, un’economia in ginocchio e i casi vulnerabili”. Tra i migranti ospiti ancora del Cara due sono stati assegnati dalla Prefettura ai Servizi sociali del Comune. Una situazione aggravata adesso da un’altra emergenza: la presenza di un centinaio di randagi dentro il Cara. L’ordinanza firmata dal suo predecessore che impediva l’ingresso di nuovi cani al Cara è stata violata. “Oggi là dentro ci sono più cani che migranti – dice -. Avvieremo una campagna di adozione o affidamento, ma se non riusciremo a trovare loro una casa resteranno a carico del Comune“. Tra le spese per il mantenimento nei rifugi, quelle veterinarie e di trasporto per le casse dell’Amministrazione la loro gestione si tradurrà in una spesa di circa 200mila euro l’anno.

“Siamo in presenza di un dissesto di Stato, voluto da chi in questi anni ha affossato il mio Comune. Già oggi a causa dei tagli ai trasferimenti statali e regionali non siamo nelle condizioni di assicurare servizi essenziali ai cittadini. Farci carico di questa nuova emergenza diventa per noi impossibile. In questi mesi il Governo Musumeci si è detto pronto a fare la propria parte, ma quello che manca è l’interlocuzione con Roma”. Ecco, perché “in assenza di risposte” e “non essendo nelle condizioni di amministrare il mio territorio” il sindaco si dice pronto ad andare a Roma. “Consegnerò la fascia tricolore perché è chiaro che allo Stato di noi non importa“, conclude.

 

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Benanti

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