Assoluzione sacrosanta ma che finisce nelle mani sbagliate: a Raffaele Lombardo della giustizia ingiusta non importa nulla.
Così mentre in questi minuti in tanti lo festeggiano, a noi non resta che pensare a quei poveri cristi le cui vite sono state, sono e saranno distrutte da una macchina giudiziaria infernale. Che non chiede mai davvero il conto a chi la manda avanti in questa maniera. In Italia, per la sua cultura postfascista e finta antifascista, l’individuo non conta nulla: lo Stato ne può disporre a piacimento. Soprattutto quando in questa macchina (nella maggioranza dei casi) finiscono i poveri cristi.
Questo perché della giustizia ingiusta a questa “classe dirigente” non importa nulla: a parte un nugolo di radicali e di autentici liberali (non i liberali italiani), le battaglie sulla giustizia ingiusta restano affare davvero di pochi. La “classe dirigente” di cui Lombardo fa parte (lui, insieme a tanti altri, anche a quelli che dicono di essere suoi “avversari”, in questo senso i più tragicomici sono quelli della “sinistra” catanese) non farà nulla per trasformare questa ennesima occasione di cambiamento per inaugurare una nuova stagione di riforme autentiche nella “giustizia” italiana.
Certo, si dovranno attendere le motivazioni e l’eventuale ricorso per Cassazione della
Procura Generale.
Su questa testata tante volte il processo a Lombardo è stato raccontato in modo anticorformista, insomma senza copiare la veline dei magistrati. Di questo ne andiamo orgogliosi. Anche alla luce della sentenza di oggi. Ma chi crede che la Politica sia cambiamento e non solo “amministrazione per ragionieri” o il “Potere per il Potere” non si può accontentare di questo. Ci vorrebbe appunto una “classe dirigente”. Ma non c’è.
Per il momento, intanto, ecco in un link la storia processuale di questa vicenda
Ah dimenticavamo: grandi complimenti alla Difesa di Lombardo (a noi piace ricordare anche l’impegno pregresso dell’avv. Alessandro Benedetti, un signore in tutti i sensi), con un particolare pensiero all’Avvocatessa Maria Licata, principessa del foro catanese. Una professionista perfetta, che conosce tutto quello che è necessario per vincere grandi processi, in particolare a Catania: dalle prescrizioni codicistiche a quelle mediatiche “non dette”, tradotto toni bassi con la stampa. Già perché questo processo d’appello è stato di fatto a porte chiuse per tanti giornalisti (sì, sappiamo che lo prevede il codice nel rito abbreviato, ma nel primo appello era andata diversamente….). Anche stamane, per chi scrive non è stato facile nemmeno entrare al Palazzaccio (il solito controllo di polizia, di stampo calvinista nei nostri confronti, dicono che la legge è uguale per tutti…). Insomma, Catania e le sue “regole non scritte” prevalgono sempre.
Chapeau! Viva la giustizia catanese. Ma per i poveri cristi, la solita giustizia è sempre alle porte.
Iena Marco Benanti.
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