Dopo la tramissione di ieri sera a La7, con al centro l’intervista di Michele Santoro del collaboratore di giustizia Maurizio Avola avente ad oggetto la strage di via D’Amelio, si è scatenato sullo stesso un piccolo, grande “inferno”. Accuse di tutti i tipi per lui. E magari, con modalità e toni diversi, per Michele Santoro (notizia!).
Ma anni fa, per chi ricorda e vuole ricordare, capitò che Avola fosse forse oggetto…di un tentativo di depistaggio. Almeno così fu denunciato proprio da Claudio Fava e da “I Siciliani”.
Ricordiamo allora…ecco (mentre il “Partito della Trattativa” con le sue “scelte di vita” trova nuove occasioni per ricompattarsi).
fonte: https://www.isiciliani.it/come-simbavaglia-una-citta/#.YIrVi7UzY2w
“…Il caso Avola (1994)
Giovedì 2 giugno 1994, in prima pagina, «La Sicilia» informa che il pentito Maurizio Avola s’è accusato, in un sol colpo, di avere ucciso Pippo Fava e di avere fatto parte del commando che sparò al generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Quest’ultimo particolare, sottolinea il quotidiano cittadino, non è per nulla credibile: «all’epoca il killer santapaoliano aveva appena ventun anni, e soltanto un anno dopo venne fatto “uomo d’onore”». Conclusione: Avola – proprio per essersi autoaccusato di un delitto che mai avrebbe potuto commettere – potrebbe essere uno dei pentiti infiltrati «per delegittimare l’intero sistema dei collaboratori» di cui, qualche giorno prima, aveva parlato Roberto Maroni, ministro dell’Interno del governo Berlusconi.
La cronaca della vicenda, nelle pagine interne del giornale, è firmata da Salvatore Pernice, corrispondente da Messina. I toni dell’articolo riflettono l’impostazione della prima pagina: Avola ha parlato di Fava e ha parlato del generale dalla Chiesa; non è tuttavia probabile che abbia partecipato alla strage di via Carini; dunque c’è più d’un dubbio che sia un pentito credibile. Il messaggio insomma è chiaro: a questo signore, a conti fatti, è bene non credere.
In realtà Maurizio Avola, ai magistrati, sta dicendo molte cose. Sta ricostruendo le dinamiche criminali del commando che sparò a Fava. Sta anche fornendo elementi per incriminare per mafia il cavaliere del lavoro Gaetano Graci. E su quest’ultimo, addirittura, le indagini vanno anche oltre: Graci verrà presto iscritto nel registro degli indagati anche nell’inchiesta sull’uccisione di Giuseppe Fava. L’ipotesi che, per la prima volta, i magistrati arrivano a formulare è che possa essere stato mandante dell’omicidio. Un’ipotesi, però, che la giustizia non avrà il tempo per esplorare fino in fondo. Graci morirà infatti nel gennaio del 1996, prima che possa iniziare qualunque processo.
Tra gli episodi che Avola sta raccontando, però, non c’è nulla che riguardi la sua partecipazione alla strage di via Carini. Il pentito non si è mai accusato dell’omicidio del generale dalla Chiesa. Lo ha spiegato in Tv, poco dopo aver letto la falsa notizia su «La Sicilia», il sostituto procuratore catanese Amedeo Bertone. La sua denuncia è chiara: qualcuno ha messo in bocca ad Avola una castroneria, con l’obiettivo di screditarlo. Qualcuno vuole fermare quel pentito. E magari si vuol partire da lui per screditare tutti i pentiti.
«La Sicilia» dispone di almeno un giornalista – Tony Zermo – perfettamente in grado di seguire le vicende di mafia. Che il pezzo su Avola sia affidato a un corrispondente da Messina è perlomeno strano. Anche perché a Messina, delle dichiarazioni di Avola, sono arrivati solo alcuni stralci: quelli che riguardano le accuse rivolte ad alcuni giudici catanesi. Certamente non le dichiarazioni sul delitto Fava.
E Tony Zermo, quando «La Sicilia» mette in pagina quel pezzo, non è sicuramente in vacanza. Tant’è vero che, quello stesso giovedì, il quotidiano «Il Giorno» (di cui Zermo è corrispondente) pubblica un pezzo, a sua firma, praticamente identico a quello della Sicilia
[vedi foto 6].
Uguali le notizie, analoghe le falsità, identico perfino qualche refuso di stampa. Non si tratta di coincidenze: il pezzo comparso sulla Sicilia, a firma di Salvatore Pernice, lo ha scritto in realtà Tony Zermo. Lo confermerà lui stesso quando, diversi anni dopo, sarà sentito come teste al processo per l’uccisione di Giuseppe Fava.
«Quel giorno di cui lei parla – dice infatti Zermo rispondendo all’avvocato Fabio Tita, legale di parte civile per «I Siciliani» – di sera intorno alle 21, arrivò una telefonata di Pernice che è il nostro giudiziarista della redazione di Messina. Mi dice: “Tony, qui c’è un pentito catanese che si chiama Avola […] occupatene tu perché sono tutte vicende catanesi, più o meno, ma non messinesi”. […] Allora scrivo il pezzo dicendo, in buona sostanza, che c’è questo pentito Maurizio Avola che parla del delitto Fava, del delitto dalla Chiesa e dei cinque giudici catanesi […]. Lo stesso pezzo scritto per il giornale a firma del collega che mi aveva dato l’informativa lo diedi esattamente, non so se i refusi furono gli stessi, al “Giorno” di cui sono corrispondente».
Ma, nella redazione del giornale di Ciancio, l’inserimento di questi passaggi sul delitto dalla Chiesa non passa affatto inosservata. Secondo la ricostruzione pubblicata da «I Siciliani» – e mai da nessuno smentita – ne sarebbe anzi nato un mezzo putiferio in redazione. Già quella sera infatti si sapeva perfettamente che le dichiarazioni sul delitto dalla Chiesa non erano mai state fatte. Lo ha spiegato pochi giorni dopo, al quotidiano «L’Unità», il sostituto procuratore Mario Amato: «Abbiamo detto con grande chiarezza che non era assolutamente vero che Avola stesse parlando della vicenda dalla Chiesa. Quello che è avvenuto non è stato casuale. Chi pubblicava sapeva perfettamente, per essere stato avvertito proprio da noi, che si trattava di cose false».
A incaricarsi per «La Sicilia» delle verifiche in Tribunale sarebbe stato il cronista di giudiziaria Salvatore La Rocca. Il quale avrebbe escluso, poi, che quella notizia infondata andasse pubblicata. La Rocca, a questo punto, sarebbe venuto a contrasto con Zermo. E il capocronista, Domenico Tempio, lo avrebbe immediatamente “degradato” trasferendolo alle pagine provinciali.
Sui giornali in edicola il 2 giugno, i due articoli di Zermo (uno dei quali, abbiamo visto, è firmato da Salvatore Pernice) sono i soli in cui si sostenga che Avola si sia accusato del delitto dalla Chiesa. «Che Avola abbia parlato dell’uccisione di dalla Chiesa non viene confermato da nessuno, anzi viene smentito» scrive invece nello stesso giorno, correttamente, «La Gazzetta del Sud». Il cronista incaricato (d.c., ovvero il caposervizio di Catania Domenico Calabrò) non se la sente infatti di pubblicare una bufala già smentita dalla Procura. Ed avverte, anzi, che «occorre molta cautela prima di far trapelare una notizia di tale portata».
Ma il giorno dopo il quotidiano «La Sicilia» insiste imperterrito, in prima pagina, a ripetere che il pentito avrebbe parlato anche del generale dalla Chiesa. E «La Gazzetta» fa anche peggio: si scorda le cautele del giorno prima e attribuisce ad Avola (definito ormai «sedicente pentito») le dichiarazioni che lo screditano. Il pezzo, stavolta, non è firmato. Ma il titolo («Cosa nostra inventa i pentiti killer») lascia intendere che il quotidiano messinese – del quale Ciancio, tra l’altro, detiene una partecipazione azionaria – si è ormai allineato sulla versione Zermo [vedi foto 7]
Venerdì mattina, in una conferenza stampa, il procuratore di Catania Gabriele Alicata denuncia la manovra, sottolinea che il pentito è pienamente credibile, torna a smentire che abbia parlato del generale dalla Chiesa, conferma che le dichiarazioni su Fava ci sono e che si inseriscono nella pista già tracciata dalle precedenti indagini. L’articolo di Giuseppe Bonaccorsi, il giovane cronista incaricato da «La Sicilia» di seguire la conferenza, si intitola La delegittimazione è fallita, e dà ampio spazio, stavolta, alle denunce della Procura. Ma nel testo scivola – non è chiaro se per svista dell’autore o, più probabilmente, per mano di chi in redazione ha “passato” il pezzo – l’ennesima, provvidenziale, velenosa inesattezza. Si parla infatti di «clamorose falsità attribuite al pentito sui delitti dalla Chiesa e Fava» [vedi foto 8].
Quattro anni dopo, quando si celebrerà il processo “Orsa Maggiore 3”, si avrà conferma che la verità era molto semplice. Avola ha dato un contributo decisivo alle indagini sul delitto Fava. Del delitto dalla Chiesa, invece, non ha mai parlato. Anche un bambino, in cinque minuti, sarebbe arrivato a comprendere il concetto. «La Sicilia», in tre giorni, non ci è riuscita.
I contorni della gestione giornalistica del caso Avola non passano inosservati. Cronaca di un depistaggio, titolano «I Siciliani» nell’edizione straordinaria che esce pochi giorni dopo la campagna contro il pentito. Il numero speciale porta in copertina la foto di Pippo Fava e, nel titolo, un solo nome: quello del cavaliere Graci. Il quotidiano «La Sicilia», come di consueto, si allinea dietro Zermo. L’ordine è di sopire e di troncare, e l’assemblea dei redattori lo esegue diligentemente, pubblicando un comunicato in cui «respinge con la massima fermezza l’accusa, l’insinuazione o il semplice sospetto di prestarsi a un non meglio precisato tentativo di depistaggio delle indagini sull’omicidio di Giuseppe Fava e di delegittimazione dei collaboratori di giustizia e del loro ruolo». In calce al comunicato dell’assemblea, quattro righe che arrivano direttamente da Mario Ciancio: «La direzione de «La Sicilia» fa propria la presa di posizione dei redattori e respinge indignata il sospetto, qualunque ne sia la provenienza, sull’impegno del giornale e sulla trasparenza dei contenuti».
Non tutti, però, obbediscono all’ordine. Tra i giornalisti che lavorano per il gruppo Ciancio si registra una voce pubblica di dissenso. Una sola, ma dignitosa e nettissima. La si leggerà sul numero de «I Siciliani» di luglio ’94. Che apre così la rubrica delle lettere inviate alla redazione: «Non essendo d’accordo con il documento espresso dall’assemblea dei redattori de «La Sicilia» sulla gestione della vicenda del pentito Maurizio Avola, documento che ignora diritti calpestati di alcuni colleghi e non invita a fare l’indispensabile chiarezza su una vicenda troppo ricca di punti oscuri, credo opportuno manifestare la mia personale solidarietà ai giudici ed a quanti si battono davvero per la ricerca della verità». Firmato Enrico Escher, giornalista, Catania. A riprova che, anche sotto cattivi prìncipi, c’è sempre modo di serbarsi buoni cittadini…” “
https://www.isiciliani.it/come-simbavaglia-una-citta/#.YIrVi7UzY2w
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