di Emilio Brentani
Se avessimo qualcosa da nascondere, dovremmo iniziare col dire che ci dispiace, e che tragedie come queste, come quella che ha condotto alla morte la piccola neonata di Catania, non dovrebbero mai accadere, e altre cose scontate di questo tipo. Dovremmo, cioè, dar sfogo ad un fiume di parole, proprio attorno ad un evento che lascia senza parole, attoniti – una tragedia, appunto. Perché non si è un feto se non davanti ad una legge che permette di abortirti e a chi ha deciso di non amarti. Altrimenti, sei già accettato come persona sin dai primi istanti, sin dal primo ritardo, sin dal primo test di gravidanza. La tua storia s’intreccia con quella di chi ti ha generato giorno dopo giorno, calcio dopo calcio, e dopo ogni conato di vomito, dopo ogni bavetta comprata per il corredino. Dopo ogni paura di non farcela, dopo ogni ansia per il futuro di una vita che incomincia ad essere la più importante e ancora così fragile.
Signori, perché davanti a questo mondo che crolla non si tace? Perché il silenzio non è così silenzioso, e la coscienza è un tarlo che ha perfino il lupo. E come nei migliori gialli, l’assassino torna sul luogo del delitto e lì, tra la gente davvero sconvolta, si lascia andare alle ovvietà tipiche delle cattive coscienze, ed invita alla crocifissione chi ha parole di verità, proprio per occultare la verità.
Non c’è stato politico che non abbia gridato la propria indignazione. Più ci si avvicina al luogo del delitto, più l’indignazione cresce, perché il sale della verità sulla ferita della colpa è più abbondante e brucia di più.
Siamo una regione che ha delle priorità, e per quelle priorità sa spendere. Abbiamo il problema della democrazia e della partecipazione alla politica di cinque milioni di persone, e per questo abbiamo il parlamento più antico d’Europa e anche, in proporzione, tra i più costosi. Coccoliamo quelli che ‘entrano in politica’, permettendo loro di comprarsi perfino le mutande con i soldi pubblici, perché – non si sa mai – potrebbe altrimenti pentirsene del loro sacrificio per il bene comune. Abbiamo il problema del fuoco che devasta ettari di bosco, e per questo abbiamo chiamato a raccolta una esercito di 28.000 forestali stagionali.
Siamo una regione che abbisogna di formazione, e per questo abbiamo migliaia di enti e centinai di milioni di euro erogati. Siamo una regione che ha il problema della disoccupazione giovanile e per questo bandisce, uno dietro l’altro, concorsi per finanziare progetti imprenditoriali e per collocare nel mondo del lavoro gli ultimi ragazzi rimasti in questa maledetta terra. Ma già qui si vede che non siamo più tra le priorità: il Piano Giovani e il Creazione Giovani sono miseramente falliti, mentre i deputati e gli adepti della maggioranza pubblicano altri avvisi di bandi sui social.
E la sanità? La sanità non è una nostra priorità, ma un nostro business: l’ultima grande azienda pubblica. Abbiamo assunto autisti di autoambulanze senza avere le autoambulanze, e abbiamo collocato qualche direttore della sanità che s’era speso più in campagna elettorale che in sala operatoria. Poi, solo tagli. Di posti letto. Ma anche di ore di volo: se di rompi il collo prima del tramonto, pare si possa usufruire dell’elisoccorso. Dopo il tramonto, puoi crepare tra i gorghi dei centri urbani e le mulattiere per arrivarci.
Troppo facile indignarsi per la morte della piccola Noemi. Se vogliamo fare qualcosa di utile, dovremmo porre le giuste domande. Per esempio, sarebbe giusto domandare chi sceglie i direttori delle Asp – delle aziende sanitarie provinciali. Sarebbe necessario, anzi. Perché anni addietro, quando venne abolita la relativa trafila per accedervi, già di suo alquanto discutibile, si disse che, divenendo di nomina politica, si sarebbe individuato immediatamente il responsabile del cattivo funzionamento di un ente sanitario. Ora, il fatto è questo: non c’erano posti, nell’Asp catanese, per ricoverare la neonata. Non c’erano, perché già impegnati da altri neonati altrettanto bisogni di cure. E allora due sono le opzioni: o non si poteva fare nulla – e allora perché ne stiamo discutendo? e perché il politico s’indigna e si straccia le vesti? – o non si è predisposto un piano per intervenire in caso di necessità. E in questo caso, la domanda è d’uopo (come mai non la si fa?): chi doveva predisporlo? E conseguentemente: chi ha nominato colui che non lo ha predisposto?
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