di Marco Iacona
Compito ingrato parlare della Sicilia. Tra le definizioni e le frasi che nel corso dei secoli si sono sprecate sull’Isola e su ciò che, essa, per i più rappresenta, prediligo la mia (scusate). Semplice e diretta: la Sicilia è una perdita di tempo. D’altro canto, se entro il 2050 perderà un terzo dei suoi abitanti – vanno via e andranno via i migliori, come è stato detto più volte – un motivo ci sarà. Il trend è di lunga durata e a nulla valgono le lamentele di chi la butta esclusivamente in politica economica (che ha senz’altro le sue “responsabilità”, ci mancherebbe). La Sicilia è fuori da secoli da qualunque giro che conta, le ragioni sono banalissime: il mondo delle idee e delle opere è andato da tutt’altra parte, e certi occasionali “risvegli”, soprattutto culturali, son serviti solo a buttare fumo negli occhi. Ovviamente, per l’occasione, rimando per pareri illustrissimi alle eccellenze G. Gentile e L. Sciascia. Si è poetizzato ciò che non andava affatto poetizzato, dati gli esiti. Chi è che diceva che dove c’è mito non c’è storia e viceversa? Ecco, parlo di grandi numeri ovviamente.
Goethe è un apritore di brecce nel mondo allora conosciuto, ma le sue parole sulla Sicilia sono state un vero dramma, ripetute pappagallescamente (come pappagallescamente si ripete la sciocchezza della “Milano del Sud”, praticamente vecchia di un secolo) da chi pensa o fa finta di pensare che con la Sicilia ci si possa ancora fare qualcosa, qualsiasi cosa. Anche loro, pur non essendo Goethe di danni ne hanno fatti parecchi: illudono il “popolino” a caccia di élite – con e senza potere -, il messaggio è del tipo: prima o poi qualcosa cambierà. Frattanto le élite intrattengono con lo stesso popolino e col potere centrale una relazione di scambio, tipica della politica dei nostri tempi, basata sulla coppia promessa-incasso e sul conseguente “un tanto a te, un tanto a me”. Se le élite sono in buona fede, forse è ancora peggio. Ricordo tuttavia, ai distratti, che in una democrazia contemporanea tra società civile e società politica i confini sono ridottissimi. Dunque, la classe politica era è e sarà, in primo luogo, società civile. E che il fantomatico “tradimento” dei meridionali è un “tradimento” (ammesso che di questo si tratti) che ha per protagonisti – attivi e passivi – in massima parte e negli anni “amici” e consanguinei.
Non è di Goethe che voglio parlare né di altri viaggiatori che hanno detto la loro e che hanno “trasformato” la Sicilia in una donna di spettacolo (la sorte era comunque segnata), trattandola come una Milf da “usare”, finendo per minarne la soggettività allo stesso modo delle tante, troppe dominazioni che hanno fatto a pezzi la “personalità” dei suoi abitanti. Né di fantomatiche élite.
Da qualche ora, il governo Musumeci ha annunciato che il nuovo assessore ai Beni culturali e all’Identità sarà un leghista. Polemiche politiche a parte (anche questo, probabilmente era noto da tempo, il fatto che sia un leghista non significa che, da siciliano, non faccia gli “interessi” dell’Isola, anzi, peraltro in passato uno dei “papabili” fu vicino a una forza politica d’opposizione al governo regionale, ecc.) e le polemiche politiche seppur noiose sono il sale della democrazia e favoriscono la libertà di stampa, la questione si deve anche porre però in senso esclusivamente culturale
È chiaramente significativo, non nascondiamoci dietro un dito, che un leghista sia chiamato a gestire settori e comparti “identitari”, soprattutto perché la Sicilia (esagerando di molto, ma qui il discorso sarebbe lungo) è straorgogliosa della propria “storia” e della propria cultura. Eppure, mi chiedo, non potrebbe essere un’autentica occasione? Non potremmo tramutare il fatto politico in una base concreta per la quale e sulla quale imbastire un ragionamento chiaro circa l’incapacità dei siciliani di governare se stessi? Circa i necessari aiuti, anche nei termini di mutuare e implementare un modello amministrativo legandolo a personalità (qualora ci fossero, naturalmente, non mi riferisco certo al tizio improvvisamente “leghizzatosi” dopo essere stato democristiano, mezzo fascista e altro ancora) che in quanto altro-da-siciliani si suppone poco o nulla possano avere a che fare con la alajmoniana “arte di annacarsi”?
Sappiamo bene che una quantità esorbitante di meridionali emigrati al nord, nel dopoguerra, ha finito per cambiare in parte la geografia culturale e politica di alcune regioni (non tutti ricordano che i meridionali furono i protagonisti dei grandi scioperi di mezzo secolo fa). I siciliani hanno sempre rivendicato (il discorso però, se si passa ai “temi”, assume tutt’altro significato) una superiorità (ma quanto hai ragione Feltri?) in ragione della loro cultura (ed anche qui il discorso sarebbe lungo); ebbene non sarebbe ora che i siculi aprissero ufficialmente e senza infingimenti una fase di “baratto” di competenze?
Non sarebbe il caso, insomma, di urlare al mondo interno (dopo Crocetta, Lombardo, Cuffaro, il cantante Batiiato, dopo i tribunali e tutto il resto): per favore aiutateci voi? Certo ben altro occorrerebbe che non un isolano “convertito” (il termine è di moda) al verbo leghista, ma sarebbe vivaddio, in definitiva, un inizio.
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