(HO GIA’ ALLERTATO IL MIO AVVOCATO PER LA QUERELA CHE DOVESSE SEGUIRE QUESTO ARTICOLO)
Nessuna sorpresa per il comportamento del Presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè che, anche via facebook, “mette in riga” editori e direttori “dettando” che quel titolo, quella frase non va bene. E che bisogna cambiarla, altrimenti parte la querela.
Nulla di nuovo sotto il Sole. Perché? L’on. Miccichè fa questo con naturalezza, con toni accorati. Perché? Perché è “politico cattivo”? Per colpa del “destino cinico e baro”? Per altro motivo imperscrutabile? No, lo fa perchè qualunque, dicasi qualunque notabile di questa “democrazia” può “indicare la linea”, pretendere, insolentire, semplicemente perchè non troverà alcun ostacolo. Nessuno. E perché non dovrebbe farlo?
Vero che, questa volta, ordine e sindacato sono intervenuti, ma chi ha lavorato nei media in Italia almeno negli ultimi venti anni sa benissimo che quel che ha fatto Miccichè è la NORMA, la NORMALITA’.
Ma usciamo per un attimo da questa “democrazia” (taluni buontemponi, probabilmente digiuni di libri da anni, la chiamano anche “antifascista”) e tentiamo due o tre ragionamenti (tentativo, null’altro, anche perchè chi scrive, dice e scrive queste cose da 30 anni, suscitando al massimo l’ilarità delle “anime pensose” del “diritto” postfascista).
Quel si cui si lamenta Miccichè è semplicemente un estratto di un’ordinanza: di fatto, i giornalisti che lo hanno riportato hanno esercitato il diritto di cronaca. Hanno riferito. Nulla di più: notizia vera, che ha un interesse pubblico (Miccichè è solo il Presidente dell’Ars) ed è espressa, come dicono i giurisperiti, in modo continente (è ripresa da un atto giudiziario).
In un Paese di ordinaria democrazia liberale, ove i Bonaparte sarebbero confinati a Sant’Elena, Miccichè o i Miccichè che popolano l’Italietta sarebbero stati presi a pernacchie o magari soltanto li avrebbero fatti parlare per vedere a quale livello di ignoranza e di protervia può arrivare un notabile.
Invece, in questa Italietta, è vero che ci sono state reazioni dagli organismi di categoria (bellissima espressione che suscita sempre tanto “senso dell’appartenenza”), ma è anche vero che rimane il dato di un Paese dove un qualsiasi notabile (politico, magistrato, alto funzionario di Stato etc, etc) può mostrarsi in siffatta maniera. Come se tutto fosse normale.
Del resto, questo accade non per casualità (lo ribadiremo fino alla noia): negli uffici giudiziari denunce, querele, esposti di tal fatta sono innumerevoli. Ci sono processi a dibattimento (chi scrive ne ha diversi per avere copiato comunicati stampa!). Forse che la “mitica” magistratura italiana ha qualche parte in tutto questo? Forse c’è una scarsa sensibilità? O altro?
Come scriviamo da trent’anni, non è vero che sia soltanto un problema di tecnica giuridica: insomma, secondo taluni basterebbe modificare la legislazione sulla diffamazione. E tutto si risolverebbe. Magari!
Da decenni, per un notabile o un esponente dell’ “Italia bene” irritato per qualche titolo o qualche articolo, basta avere un amico avvocato per trascinare per anni e anni carte e giornalisti da un tribunale ad un altro. A costo zero (anzi no, sicuramente l’avvocato che avrà l’incarico della querela si farà pagare l’onorario, ne siamo certi…). Invece, il querelato passerà anni e anni, in mezzo a difficoltà e problemi di ogni tipo: soprattutto in mezzo a costi che NESSUNO, NESSUNO -in caso di esito positivo del procedimento- gli riconoscerà. MAI.
Risultato finale? Chi ha ragione pagherà (tempo, compenso per il legale, patemi d’animo, attese, rinvii e altro) per non avere commesso alcun fatto, mentre il querelante quali costi sosterrà? L’avvocato? E poi? E soprattutto tutto questo in quanti anni durerà? Tecnicamente, tutto questo viene chiamata “legalità”, anzi i più spiritosi la chiamano “giustizia”.
Finale: quando -e accade spesso- il giornalista sarà assolto, o peggio prosciolto in sede di indagine preliminare, gli rimarrà la “soddisfazione morale” dei costi sostenuti. E magari un’assoluzione da incorniciare. Che cosa abbia tutto questo a che fare con la giustizia a noi sfugge, ma noi non conosciamo la “profondità del diritto” (all’italiana). Noi siamo per la superficialità dell’evidenza. Cioè dell’uso della razionalità (esiste!).
Purtroppo, finché questo Stato e la sua normativa (anche in tema di diffamazione) sarà figlia e non alternativa dello Stato fascista e della cultura, che antepone le esigenze di tutela statuale, con le sue “verità” e le sue “esigenze”, ai diritti dell’individuo, che non può essere costretto a rinunciare al suo TEMPO (che è un aspetto fondamentale della Vita e della Libertà dell’Uomo) per sentirsi dire dopo anni che non ha Commesso Nulla, non cambierà nulla.
Non resta forse che attendere, con poche speranze per la verità, il ritorno dei comunisti -quelli veri- chiamati a soppiantare una farisea e piccolo borghese sinistra, che da da decenni vive…sotto la toga dei magistrati.
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