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Nella Storia d’Italia la spiegazione di tanti ritardi dell’oggi
Pubblicato il 29 Novembre 2020
Il Novecento italiano è stato segnato sempre da compromessi al ribasso e da accordi occulti influenti sulla scena politica che hanno disvelato una pratica assai prediletta e diffusa della mentalità peninsulare di chi stava al potere. Da ricordare a tale proposito il più celebre “inciucio” politico antelitteram e che è stato senza nessun dubbio il “patto Gentiloni”. Se proprio vogliamo nobilitarla fu un’ intesa politica informale che non venne mai sancita da nessun documento (sotto)scritto. Questo patto famoso fu realizzato dai liberali di Giovanni Giolitti(che annuì tacitamente ) con l’Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI), che fu presieduta giustappunto dal conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, antenato dell’ex presidente del consiglio Paolo Gentiloni.
Prese il nome da questa figura proprio perché ispirò i contenuti del patto/compromesso prima delle elezioni politiche italiane del 1913. Sino a quel momento nel mondo cattolico valeva l’ordine imposto da papa Pio IX che regnò fino a dopo la breccia di Porta Pia dal 1846 al 1878 e che impose in dispregio dei liberali profanatori dello Stato Vaticano la “non convenienza” definito “non expedit” che prevedeva l’indifferenza, l’esclusione e la mancata partecipazione dei cattolici alla vita pubblica e politica del Regno d’Italia. Intanto nell’universo sociale del cattolicesimo raccolta all’interno dell’Opera dei Congressi ,che fu la principale associazione cattolica italiana ,cominciò a dominare il gruppo di don Romolo Murri, che sostenne recisamente la necessità di giungere ad un accordo tattico con i socialisti.
Le posizioni di dottrina sociale di Murri consideravano preferibile questa alleanza a quella con i liberali al punto che nel 1904 il nuovo papa Pio X per annullare queste velleità sciolse l’associazione 28 luglio di Murri. Invece i cattolici vicini a Vincenzo Gentiloni si schieravano senza esitazione con la monarchia e con i liberali giolittiani per sbarrare la strada alla crescita e avanzata socialista, atea, marxista e anarchica. Vi fu una condivisione piena e pubblica da parte di Pio X, che emanò nel 1907 il decreto “Lamentabili Sane Exitu” in cui definiva eresia e condannava le 65 proposizioni moderniste comminando poco dopo la “scomunica” del modernismo nell’enciclica “Pascendi Dominici gregis”. Allora lo stesso Pio X nel 1909 favorì la creazione dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI), che fu un’associazione laicale con il compito di plasmare ,guidare e indirizzare i cattolici italiani che si volevano impegnare nella vita politica. Il pontefice pose proprio il Conte Gentiloni alla direzione dell’associazione proprio per arrivare ad una collaborazione tra UECI e moderati in modo da prepararsi alle elezioni politiche del 1909. Furono,quindi, favoriti le candidature di diversi cattolici nelle liste liberali e il risultato fu estremamente incoraggiante poichè furono eletti 21 “deputati cattolici” nelle liste di Giolitti. Dopo questa esperienza fu preparato il solco che nel 1913 introdusse una prassi che fu sancita dal cosiddetto «Patto Gentiloni».
Intanto il 25 maggio 1912 sollecitato dal movimento socialista fu approvata una riforma elettorale che introdusse introdotto il suffragio universale maschile che portò gli aventi diritto al voto dai circa tre milioni iniziali ad oltre 8.600.000. Questa importante riforma stabilì il suffragio a tutti i cittadini maschi che avevano compiuto almeno 21 anni e che fossero in grado leggere e scrivere, e con almeno 30 anni se fossero analfabeti con l’unico requisito che avessero compiuto il servizio militare. Questo allargamento del diritto di voto nei propositi di Giolitti nel 1913 alle nuove elezioni doveva portare ad una vittoria schiacciante e ad un rafforzamento della sua maggioranza. Il nuovo suffragio elettorale venne alla luce poiché Giolitti dovette assentire alla richiesta dei socialisti di Leonida Bissolati che avevano appoggiato la guerra italo-turca. Il tentativo giolittiano e della classe politica liberale fu quello di inglobare la novità del socialismo nell’ambito del trasformismo storico e non riuscendoci si rivolsero all’Unione Elettorale Cattolica Italiana cercando di concordare una fattiva e stabile collaborazione che già aveva funzionato nel 1909.
Il partito liberale offrì un numero cospicuo di seggi per i candidati cattolici. Gentiloni fece un’esame dettagliato persino dei candidati liberali anche per fare confluire i voti dei cattolici e innanzitutto verso quelli fecero promessa di difendere e di fare propri i valori affermati dalla dottrina cristiana e,quindi , di negare e rigettare il proprio sostegno a leggi anticlericali.
Il patto vene stipulato in forza del sostegno al rispetto di sette punti considerati irrinunciabili per ottenere il sostegno degli elettori cattolici. Fu definito un elenco , «Eptalogo», che ogni candidato sottoscrisse prima della candidatura e che sinteticamente pretendeva da parte dei Liberali i contenuti di una politica di rispetto dei valori cattolici e del nucleo della famiglia, con la promulgazione di leggi contro il divorzio e l’aborto, oltrechè la tutela delle scuole private, che in Italia erano per lo più proprietà della chiesa, in cambio del voto cattolico. Il patto Gentiloni proveniva dall’esigenza dei Liberali di assicurarsi sostegni elettorali maggioritari, anche se ciò entrava in conflitto con lo spirito laico della loro politica, e da quello della Chiesa di assicurarsi dei vantaggi politici e protezione su quel che restava del potere temporale, oltre che dalla comune volontà di frenare l’avanzata socialista. Anzi poi questi punti del patto furono inseriti anche nell’accordo fondativo che fu firmato nel 1913 prima della nascita del Partito Liberale Italiano.
Il patto venne sancito informalmente e Giolitti come sempre ipocritamente respinse le accuse di aver “ceduto” ai cattolici e negò persino l’esistenza del patto. Tuttavia i radicali per protesta indignati lasciarono la maggioranza giolittiana. Prima che entrasse in vigore il «Patto Gentiloni», l’alleato di Giolitti era il Partito Radicale che, con i suoi settanta deputati, aveva appoggiato sia il terzo che il quarto governo Giolitti. Naturalmente dopo il 1913 i radicali si posero all’opposizione e dopo congresso nazionale, svoltosi a Roma tra il 31 gennaio e 2 febbraio 1914, decisero di uscire dal governo .
Molti dubbi e alla fine contrarietà espresse Don Luigi Sturzo che auspicava la nascita di un partito dei cattolici condivise anche da Luigi Ferrari . Il Vaticano appoggiò con forte determinazione il Patto anche se tacitamente e alle elezioni, papa Pio X tolse il non expedit in 330 collegi su 508
I risultati delle elezioni del 1913 fecero fare un grande balzo in avanti ai liberali validando l’efficacia del Patto poiché le richieste poste alla base vennero soddisfatte. Infatti essi ebbero oltre il 47% dei voti e su 508 seggi ebbero 270 eletti. Di questi, 228 furono gli eletti che avevano sottoscritto gli accordi del Patto prima delle elezioni. I deputati del PSI e “Socialisti indipendenti e sindacalisti” divennero 52, il Partito Socialista Riformista Italiano ne elesse 19, mentre 62 furono i radicali tra cui fu eletto Romolo Murri, 20 l’Unione elettorale cattolica e 9 i cattolici conservatori che non aderirono al Partito Liberale. La vittoria elettorale non fu comunque schiacciante in quanto anche i Socialisti e i Radicali ottennero un buon numero di seggi e accrebbero enormemente il loro peso politico. Giolitti si trovò davanti a gravi difficoltà con una situazione in parlamento confusa e difficile da gestire e decise alla fine del 1913 decise di dare le dimissioni e passare la mano.
Fu formato un governo capeggiato da Antonio Salandra che venne suggerito manco a dirlo dallo stesso Giolitti. Lo statista piemontese pensava di potere manipolare e gestire il nuovo presidente del consiglio. Mentre Salandra sin da subito manifestò una forte ambizione e si slegò dal politico piemontese. Fece una scelta clamorosa e senza informare nè il parlamento nè la sua stessa parte politica, condusse l’Italia a partecipare alla prima guerra mondiale siglando il patto di Londra di cui era informato solo il suo Ministro degli Esteri e il Re. Tutto ciò nonostante fosse netta la maggioranza dei neutralisti sia in parlamento che nel Paese. Nel frattempo iniziò una violenta campagna interventista e , comunque, il governo Salandra non cadde. Anzi dovette occuparsi delle gravi tensioni sociali, dei violenti scontri e frequenti scioperi sostenuti dalle forze insurrezionaliste, anarchiche, extra-parlamentari e rivoluzionarie di nuova formazione che culminò nella “settimana rossa”. Intanto ecco una delle spiegazioni perché l’affermazione dei diritti civili in Italia ritardò e ha visto la luce soltanto dopo quasi 60 anni.
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