E’ la storia di un’amicizia nata nella lotta politica e poi di un’avversione proseguita nei recinti aspri e drammatici della storia del secolo scorso. Due figure del novecento che ebbero destini incrociati e alla fine diversi e opposti. Parlo di Benito Mussolini e Pietro Nenni che furono legati da un legame profondo in gioventù che non si spense mai nonostante che si ritrovarono l’uno contro l’altro. Si conobbero ragazzi e diventarono amici nel 1911 per avere partecipato insieme ad una manifestazione contro la guerra in Libia.
Due giovani che provenivano dal mondo proletario romagnolo. Benito, romagnolo di Predappio, 28 anni, socialista rivoluzionario più che massimalista, agitatore delle masse, violento e attaccabrighe ,è figlio di un fabbro; Pietro, romagnolo di Faenza, 20 anni, repubblicano antimonarchico, triste e infelice cresciuto prevalentemente in un orfanotrofio.
Due caratteri ribelli che erano pronti a mettersi contro i poteri dello Stato monarchico e a correre qualsiasi rischio pur lottare per l’affermazione delle proprie idee . I due vennero a contatto in modo ravvicinato poiché furono condannati a scontare il carcere e Mussolini dichiarò in udienza: “Se ci assolvete, ci fate piacere, se ci condannate ci fate onore!”. Nenni ribadì al termine del processo : “I giudici preferirono farci onore”.
Usciti dal carcere il rapporto si rinsaldò con una relazione di amicizia che si estese alle rispettive famiglie. Però le strade dei due si divisero dopo pochi anni appena finita la prima guerra mondiale quando Mussolini abbandonò il movimento socialista per intraprendere la strada del nazionalismo di destra , foraggiato dagli agrari e dagli industriali, mentre Nenni da repubblicano divenne socialista, divenendo ben presto una figura di primo piano del Partito prima in clandestinità e poi nel dopoguerra.
Il Duce fu un uomo notoriamente cinico e spietato, che perseguitò e represse senza pietà il dissenso politico e tuttavia salvò la vita all’amico Pietro quando Nenni esule in Francia fu catturato dai tedeschi nel 1942. Mussolini riuscì ad ottenere l’estradizione in Italia per evitargli una morte certa nei campi di concentramento in Germania dov’era destinato e pose Nenni al confino di Ponza. Nenni fu sempre un’antifascista convinto, mai indulgente con il regime di Mussolini patendo immensamente il dolore della morte della figlia Vittoria nei campi di sterminio in Germania. Nel dopoguerra la stessa Edda Mussolini si rivolse a “zio” Pietro, come veniva chiamato affettuosamente dalla famiglia del Duce, per far abbreviare il confino della madre Rachele e dei fratelli minori. “Non credo che fosse solo la politica a unire quei due – afferma Edda – li legava anche la Romagna, la povertà, la testa dura. E la galera”.
Durante quel periodo in carcere finirono nella stessa cella nel 1911, perché si scagliarono furiosamente entrambi contro l’avventura in Libia . “Con Mussolini – disse Nenni – litigai spesso, anche in prigione. Era un prepotente. Giocando alle carte, in cella, voleva vincere sempre. Una sera, sotto gli occhi delle guardie, facemmo anche a botte e io le buscai. A rimetterci in pace provvedeva ogni volta Sorel, il nostro autore preferito”. Nenni aveva, quindi, una chiara e nitida idea dell’indole di Mussolini reputandolo un uomo di smodata ambizione e desideroso solo di possedere il potere.
Il destino volle che nella qualità di direttore dell’Avanti!, si occupasse della cronaca della fucilazione del Duce, il 28 aprile del 1945. Appena ebbe la notizia della sua uccisione sul piano umano rimase commosso e si racconta che ripeteva più volte sottovoce in dialetto romagnolo “Puevrin”: “Benito, puvrein, non era mica cattivo” . Tuttavia il titolo dell’articolo del giornale sulla drammatica uccisione di Mussolini fu piuttosto esplicito e non lasciava adito a dubbi :“ Giustizia è fatta”. Furono, quindi, amici e nemici, la parabola storica li divise: l’uno il Duce del fascismo, dittatore per un ventennio e poi simbolo dello sfacelo; l’altro socialista antifascista convinto perseguitato dal regime e costretto all’esilio.