di iena marco pitrella.
(nella foto Pierluigi Di Rosa in versione intellettuale e Michela Petrina).
Il giudice dell’udienza preliminare s’è pronunciato: “Dichiara non doversi procedere nei confronti di Petrina Michela” e “dichiara non doversi procedere nei confronti di Pierluigi Maria Di Rosa, “Pigi,” perché il fatto non costituisce reato”. A difendere Di Rosa l’avv. Emanuela Fragalà, per Michela Petrina, invece, l’avv Christian Petrina.
Prosciolta l’una e prosciolto l’altro: manco a processo sono arrivati, tanto l’accusa era infondata.
D’aver diffamato su “Sudpress” il prefetto, ormai ex, Maria Guia Federico, e di aver diffamato sua figlia Chiara Ruffolo, medico di professione, erano stati accusati; Di Rosa perché degli articoli incriminati, due articoli pubblicati il 20 e il 23 di giugno del 2017, ne era autore e la Petrina perché proprio di Sudpress ne era direttore.
Ecco il fatto, “il fatto che non costituisce reato”, che, così come testualmente riportato nell’imputazione, della Federico e della Ruffolo ne avrebbe offeso la reputazione: “La figlia di sua eccellenza il prefetto Maria Guia Federico viene assunta nell’aprile del 2016, ad appena un anno dalla laurea e per pura coincidenza naturalmente, senza alcuna selezione pubblica, guarda caso presso il servizio di primo soccorso che la Croce Rossa di Principato gestisce all’aeroporto di Catania. Proprio quello del bando annullato ed ancora in proroga di oltre 15 mesi … non solo prende servizio repentinamente il 02.04.2016 ma da alcuni documenti da noi visionati si rileva che è uno dei pochissimi medici in servizio presso la struttura ad essere pagata con una certa puntualità solo ad esempio, quando a lei viene liquidato lo stipendio di aprile agli altri medici tocca quello del precedente gennaio. Infatti nata nel 1984 si laurea solo nel 2015 a 31anni… non dovrebbe quindi essere la brillantezza del curriculum universitario ad avere orientato la scelta. E nemmeno la specializzazione atteso che sino al 13.06.2017 all’anagrafica degli ordini dei medici di Ravenna cui è iscritta non ne risulta alcuna …”
Che poi, a Catania, intellettuali (o frequentemente pseudo tali), società civile, politici e giornali o giornalisti (o frequentemente giornalai) spesso e volentieri con il “vivi e lascia vivere” hanno lisciato il potere, onore al merito a chi, “Sudpress” in questo caso, dell’allora prefetto e “della di Lei figlia” ebbero addirittura a raccontare.
Ancora, una cosa va detta. Pigi Di Rosa ha un brutto vizio: pubblicare a margine d’ogni articolo, articoli di questo tipo s’intendono, i documenti. Ora, piuttosto che arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio, qualche domanda ci si sarebbe dovuta domandare, come del resto è il ragionamento del giudice in sentenza.
È vero che la dott.ssa Ruffolo aveva stipulato con il comitato di Catania della Croce Rossa un contratto di prestazione d’opera? “è vero”, scrive il giudice.
È vero che la scelta dei medici non era avvenuta attraverso un concorso pubblico? “è vero”, scrive il giudice.
È vero che la dott.ssa Ruffolo si era laureata in medicina all’età di 31anni ? “è vero”, scrive il giudice.
È vero che non aveva conseguito alcuna specializzazione? “è vero”, scrive il giudice.
È vero e tutto questo sarebbe bastato: in fondo era tutto abbastanza chiaro.
Di che stupirsi? in conclusione, il giudice l’ha pure sottolineato: “il vaglio dibattimentale non potrebbe aggiungere nulla ad un quadro istruttorio già completo …”.
Eppure, quattro anni sono passati dal fatto; “fatto che non costituisce reato”.
Quattro anni: prosciolti! prosciolti! ci voleva tanto?
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