di Marco Iacona
Murgia è una donna non particolarmente attraente (se mi è consentito dire), almeno secondo quei canoni estetici che ella stessa tuttavia rigetterebbe e dalla biografia, leggo, complessa; scrittrice non so davvero quanto amata, romanziere (romanziera?), autrice di un volumetto sul “fascismo” che è un’offesa all’intelligenza critica, alla storia, al buon senso e a tanto altro. Piace? Non piace? È difficile dire, ma soprattutto a chi piace? Scontato e falso dire “alle donne” perché ritengo che non tutte le donne – le cui battaglie ella peraltro intende capeggiare al fine di rendere le predette-predilette “soggetti del futuro e della storia” – si sentano “rappresentate” da una sarda di mezz’età, sfottente, aggressiva, più che parlante ma non sempre in perfetta armonia con un paniere di semantiche. Estrosa ma cattiva, dotata di qualità da ella stessa offese, e offese dalla foga con cui vuol rendere dimostrabili proposizioni e smozzicature al fine ultimo di rendere il traguardo emancipatorio sempre più a portata di mano o di lingua.
So bene di utilizzare un linguaggio oramai passato, perché di mero potere oramai si tratta. Ma non temo la Murgia, è lo stesso meccanismo del quale ella stessa è parte a produrre gli anticorpi. Se scrive posso non leggere, se va in tivù posso cambiare canale, se litiga con un ospite posso, per reazione, sposare le tesi del suo contraddittore, pur – come nel caso di Morelli – non essendone stato mai un tifoso. I “personaggi” televisivi – come già Pasolini aveva detto, per esempio – fondano il loro potere persuasivo sulla strategia della presenza, basta agire su quest’ultima – e certamente non da soli, ma attraverso un sistema di deleghe e rappresentanze – per relegare le loro chiacchiere nella soffitta delle idee. Quando la Boldrini, credo molto presto, cesserà di essere rappresentante in parlamento nessuno si ricorderà più di lei.
Ma il punto non è ancora questo. Perché la missione di Murgia, Boldrini ecc è quella di diffondere il verbo “emancipatorio” al costo, calcolato, di qualche scontro radiofonico, istituzionale o televisivo, peraltro sovente con esito mai del tutto “negativo”. I soldati vanno in guerra e combattono per un’idea (anche se mal compresa, anche se idea degli altri), non di rado muoiono ma il loro sacrificio non è vano. Murgia si batte per le sue convinzioni (nessun problema, faccia quel che vuole), ma suo traguardo razionale è anche quello ovvio di non lasciar morire l’idea, di diffonderla capillarmente e con tutti i mezzi possibili. Dunque attraverso i media, dunque attraverso modalità (con tanto di script) che possano rimanere in memoria e che allo stesso tempo smascherino l’avversario (la sua arretratezza), costringendolo a non usare accortezze dinanzi a provocazioni rozze ma ben pilotate. La sarda pugnace dunque non è sola.
Quante sono le Murgia, oggi? E quante sono le Murgia del “dopo Morelli”? il problema è essenzialmente questo, perché non è detto che l’efficacia di un messaggio trasmesso (oggi, poi, grazie ai social), con attinente capillarità sia facilmente controllabile e calcolabile. C’è un sistema di diffusione profondo – basterebbe leggere con meno superficialità i sondaggi politici – per comprendere che il paese sugli schermi non è o non è quasi mai il paese “reale”. Attenzione dunque alle Murgia in voi, attenzione alle piccole Murgia crescono, attenzione alle femministe in sedicesimo, attenzione alle skipper della doppia morale; morale un tempo tollerabile (ché la divisione dei ruoli tra maschio e femmina era ben chiara), oggi tuttavia veicolo di una forma di dominio, ancora fortunatamente immatura.
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