Altre pagine di crimine illustrate nell’incontro con i giornalisti…Di iena antimafia
La conferenza stampa di stamane, in Procura, è stata anche l’occasione anche per spiegare quelli che sono –secondo l’Accusa- i retroscena di due omicidi, quelli di Giovanbattista Motta, risalente al 3 giugno 2007 e quello di Sebastiano Paratore, avvenuto l’11 marzo del 2005. Oltre a parlare di come si è arrivati all’arresto di una “vecchia conoscenza” della mafia catanese, Giuseppe Alleruzzo da Paternò.
Per quanto riguarda l’omicidio di Motta, è stata data notizia di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Luciano Musumeci, 51 anni, pregiudicato, già detenuto, ritenuto responsabile di concorso in omicidio nonché detenzione e porto illegale di arma da fuoco, delitti aggravati dall’aver commesso i fatti avvelendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis, cioè l’associazione mafiosa.La misura cautelare accoglie gli esiti delle indagini di riscontro alle dichiarazioni rese a magistrati della Dda etnea da alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Santo La Causa, uomo d’onore di “Cosa Nostra” catanese, per un periodo indicato come reggente del clan Santapaola, che hanno consentito di acquisire elmenti di reità nei confronti di Musumeci, ritenuto affiliato all’organizzazione mafiosa Santapaola-Ercolano, per l’omicidio di Motta, esponente di rango apicale della cosca Mazzei.Le fasi dell’esecuzione del delitto vennero ricostruite all’epoca dei fatti grazie anche alla testimonianza di una persona che aveva assistito all’omicidio, avvenuto dopo un inseguimento e commesso in via Alogna, nel popolare quartiere di San Cristoforo, nel centro storico di Catania. Motta morì appena dopo il trasporto al pronto soccorso dell’ospedale “Vittorio Emanuele”.Secondo le dichiarazioni di La Causa e degli altri collaboratori di giustizia, Angelo Santapaola, cugino del boss Nitto –ucciso nel settembre del 2007 con il suo guardiaspalle Nicola Sedici- all’epoca del delitto Motta reggente dell’organizzazione mafiosa Santapaola-Ercolano, per contrasti insorti con il gruppo Mazzei, avrebbe deciso l’eliminazione di Giovanbattista Motta, affidando l’esecuzione materiale del delitto a Nicola Sedici e Luciano Musumeci.A dare il benestare dell’omicidio di un esponente dei Mazzei era stato Enzo Santapaola, cugino di Angelo, il quale avrebbe dato il permesso solo per creare le condizioni migliori per procedere all’uccisione di quest’ultimo; ciò, nel senso che l’omicidio di un esponente apicale dei “Carcagnusi”(come vengono chiamati i Mazzei) avrebbe potuto confondere gli investigatori e condotto gli stessi a ritenere che l’omicidio di Angelo Santapaola fosse una risposta all’omicidio di un esponente del clan Mazzei. Il motivo di tale strategia criminale era dovuto al fatto che Angelo Santapaola nel periodo antecedente la morte aveva assunto un atteggiamento tracotante che aveva ingenerato un malcontento non solo nel panorama generale della criminalità organizzata ma anche e soprattutto all’interno del clan di appartenenza.Ecco, invece, quanto emerso per l’omicidio di Sebastiano Paratore:i carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa, dal Giudice per le indagini preliminari di Catania nei confronti del quarantottenne Carmelo Puglisi e di Orazio Magrì, di anni quarantuno, entrambi ritenuti personaggi apicali in seno alla famiglia mafiosa “Santapaola-Ercolano”.
Puglisi fu arrestato dai carabinieri del comando provinciale di Catania, l’8 ottobre 2009, in una villetta situata nel territorio di Belpasso, in provincia di Catania, nel corso dell’operazione cosiddetta “Fiori Bianchi”, allorché, latitante dal 2007, fu sorpreso, insieme ad altri soggetti ritenuti esponenti di primo piano del “Gotha” di “Cosa Nostra” etnea: Santo La Causa , “reggente operativo” della “Famiglia”, all’epoca pure ricercato e di recente divenuto collaboratore di giustizia, Vincenzo Maria Aiello, “rappresentante provinciale”, Venerando Cristaldi , “capo” del “Gruppo di Picanello”, Rosario Tripoto, “vice capo” del “Gruppo di Picanello”, Ignazio Barbagallo, “capo” del “Gruppo di Belpasso”, Francesco Platania e Antonino Botta, “soldati” del “Gruppo della Civita”, nel corso di una riunione, cui prese parte anche Sebastiano Laudani – “Iano il piccolo”, “capo” dell’alleato clan dei “Muss’i Ficurinia”, indetta per decidere se muovere “guerra” o meno al clan avverso dei “Carateddi”, all’epoca guidato da Sebastiano Lo Giudice, in prepotente ascesa.Magrì, ritenuto elemento apicale e killer della famiglia Santapaola – Ercolano invece è tuttora latitante, dopo che si è reso irreperibile nel corso dell’esecuzione dell’operazione condotta dai carabinieri del comando provinciale, denominata “Stella Polare”, del 30 luglio scorso, che ha fatto luce sugli enormi interessi della famiglia mafiosa dei “Santapaola – Ercolano” nel settore degli stupefacenti. I due, che sono cugini, dovranno rispondere dell’assassinio del co-affiliato Sebastiano Paratore, il quale, l’ 11 marzo 2005, venne picchiato, ucciso a colpi di pistola, dato alle fiamme e abbandonato, tra le sterpaglie, in un terreno incolto, sito nelle campagne di Acicatena, nel catanese.
Le fonti di prova che hanno consentito al pool di magistrati della Procura di Catania, coordinato dal procuratore aggiunto Carmelo Zuccaro, di richiedere ed ottenere la misura cautelare a carico di Puglisi e di Magrì sono costituite da intercettazioni telefoniche e tra presenti, nonché dalle dichiarazioni rese da tre collaboranti, l’ultimo dei quali, Santo La Causa ha spiegato le ragioni che indussero gli indagati ad eliminare Paratore.Puglisi, che era legato all’ucciso da lontani vincoli di parentela, aveva raccolto, in virtù del suo ruolo di “responsabile” del “Gruppo della Civita”, le lamentele della moglie di un affiliato, condannato all’ergastolo e quindi all’epoca detenuto, che era stata in qualche modo insidiata da Paratore allorché quest’ultimo, mensilmente, le consegnava lo “stipendio” destinato al marito carcerato. Puglisi, allora, in concomitanza con una delle visite di Paratore, aveva fatto nascondere un suo uomo a casa della donna, scoprendo che quest’ultima le aveva detto il vero e, quindi, decretando la morte dell’affiliato, cui avrebbero personalmente provveduto Magrì ed altri soggetti, tra cui Alfio Catania, affiliato del “Gruppo di Acicatena”, già condannato per tale delitto con sentenza definitiva emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Catania.In conferenza stampa, si è parlato anche dell’arresto di Alleruzzo.All’alba di ieri, infatti, i carabinieri del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Paternò hanno arrestato lo storico boss della zona Giuseppe Alleruzzo. Le manette sono scattate al termine di diverse ore di perquisizione della sua abitazione, durata l’intera mattinata con la collaborazione del nucleo cinofili di Nicolosi. L’operazione ha portato alla scoperta di un vero arsenale composto da decine di fucili clandestini e pistole illegalmente detenute di vario genere, in ottimo stato di conservazione e pronte all’uso. Centinaia le munizioni rinvenute, oltre a diversi attrezzi e kit per la pulizia delle armi. Le armi e le munizioni erano nascoste in casa e nel giardino di pertinenza, ben posizionate in contenitori sigillati e interrati e posti nella fitta coltivazione di fichi d’india. Il lavoro dei militari ha dato modo di rinvenire, inoltre, occultata nel box auto, anche una busta contenente 400 grammi di cocaina purissima, pronta per essere tagliata per poter poi essere venduta al dettaglio, insieme ad un bilancino di precisione. I carabinieri di Paternò sono giunti all’operazione dopo una complessa attività info-investigativa diretta a monitorare i sodalizi mafiosi operanti nella zona pedemontana paternese. Il blitz è stato eseguito dopo alcuni giorni di osservazione a distanza della campagna dell’Alleruzzo a seguito della quale è sorto il sospetto che quest’ultimo potesse occultare delle armi. Alleruzzo, capo dell’omonima “famiglia”, è stato uno dei pentiti storici dei clan catanesi: iniziò la sua collaborazione l’11 agosto del 1987, dopo avere visto il cadavere della moglie Lucia Anastasi, uccisa in una faida mafiosa.Questo l’elenco delle armi rinvenute:5 pistole cal. 7,65, 1 pistola cal. 9X21, 1 pistola cal. 22, 1 pistola cal. 40 SW, 2 pistole cal. 38 special, 2 fucili cal. 12 con calcio e canne mozzate, 2 fucili da caccia cal. 12, 1 fucile da caccia cal. 28, 815 cartucce di vario calibro, 1 panetto di cocaina del peso di 400 gr., 1 bilancino di precisione e numerosi guanti in lattice.
Ecco -redatta dai carabinieri- una breve storia criminale di Alleruzzo e delle “famiglie” di alcuni comuni del catanese.Appendice: l’ascesa di ALLERUZZO Giuseppe nella storia della criminalità paternese.
Tra il 1975 e l’87 la storia criminale di Paternò, importante centro agrumicolo il cui territorio si estende fino alla cosiddetta piana di Catania, è interessato da una sanguinosa faida che, via via, si estende in altri Comuni quali Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Scordia, Palagonia.Detta faida è originata all’interno della malavita locale.Il 31 luglio 1975, in via Scala Vecchia di Paternò, vengono assassinati i fratelli Angelo e Giuseppe Catena e contestualmente viene ferito un terzo fratello, Orazio.Il delitto matura nell’ambito delle corse clandestine dei cavalli e del consistente giro di denaro che ruota attorno alle stesse. Esso è la scintilla che accende le ostilità tra due opposte fazioni, quella riconducibile, appunto, ai fratelli Catena, che poi sarà rilevata da un certo Alleruzzo Giuseppe, e quella riconducibile a Conigliello Orazio, persona che tiene contatti stretti con Rapisarda Salvatore, classe 1955, nonché Morabito Federico Antonino, detto Nino “Lima”, e Arena Vito, detto Vito “u piscaturi”, con i quali il Conigliello organizza e partecipa a dette corse in aperto contrasto coi fratelli Catena.Il 7 marzo ’79, la Corte d’Assise di Catania riconosce colpevole Rapisarda Salvatore del delitto in questione e lo condanna alla pena complessiva di anni 26 di reclusione.La pena viene confermata in Appello il 21 novembre del ’79.A seguito di tali fatti ha inizio la lunga scia di sangue, a cominciare dall’omicidio di Mazzaglia Giuseppe, avvenuto il 7 marzo 1980, cui seguirono le uccisioni di vari amici del predetto Morabito, di due componenti della famiglia di quest’ultimo e la scomparsa di Rapisarda Alfio, fratello di Salvatore, avvenuta il 16 ottobre 1980.Si registrano anche altri episodi delittuosi.Tra questi assume particolare importanza l’omicidio di Scalisi Antonino, figura autorevole del panorama criminale adranita, persona molto legata ai Laudani di Catania ed a loro volta legati a Ferlito Alfio, classe ’46, che, come noto, perirà nel corso della cosiddetta strage della circonvallazione di Palermo il 16 giugno ’82, allorché morirono anche dei Carabinieri di scorta.Lo Scalisi era entrato in aperto contrasto per questioni di predominio territoriale con gli Alleruzzo di Paternò.Nella seconda metà degli anni ’80, dunque, prende corpo a Paternò l’associazione per delinquere facente capo ad Alleruzzo Giuseppe, classe ’35, ufficialmente pastore, il quale si avvale dell’appoggio del cognato, Ferrera Francesco Augusto, il quale è sposato con Anastasi Nunzia, sorella di Anastasi Lucia moglie dell’Alleruzzo.Ferrera Francesco Augusto è il cugino di Santapaola Benedetto.L’Alleruzzo si circonda di personaggi di elevato livello criminale, di pastori e pericolosi pregiudicati della zona quali, ad esempio, gli Agnone da Scordia, Salomone Salvatore ed altri di Adrano, Gurgone Placido, Tomasello Placido, e si circonda di killer di provata abilità tra i quali, ad esempio, Salvatore Leanza, inteso “Turi Padedda”, Panebianco Luigi, detto Luigi “Baccalaru”, Franco Barcellona, detto “Lurbidda”, “Nino” Amantea, zio di Amantea Francesco (“uomo d’onore” e personaggio che si farà avanti negli anni e che attualmente ricopre un ruolo di primo piano nell’ambito della mafia paternese), e Assinnata Domenico, detto Mimmo “u catanesi”, il quale non esita a donare il sangue ad Alleruzzo allorchè questi viene fatto oggetto di un attentato.L’Alleruzzo si allea anche con i Pellegriti di Adrano.Il 16.10.80, scompare, come detto, Rapisarda Alfio, fratello di Salvatore.Il 30.10.80, vengono uccisi Nunzio e Giuseppe Morabito, stretti congiunti di Morabito Federico Antonino, detto “Nino Lima” che peraltro era stato ucciso il 29.7.80.Questi fatti determinano un’alleanza tra le famiglie Morabito, Rapisarda, Laudani e Scalisi Salvatore, figlio di Antonio, nonché genero di Tutino Gaetano, detto “Testaì”, pericoloso pregiudicato che spadroneggia in Palagonia.Questa alleanza viene costituita per contrastare l’irresistibile ascesa di Alleruzzo Giuseppe.Lo scontro si conclude con la definitiva affermazione della cosca Alleruzzo, Pellegriti, Gurgone (Paternò – Adrano – Biancavilla) e con l’incremento, soprattutto negli ’80-’82, delle attività delittuose, sia contro il patrimonio, che contro la persona e con lo svilupparsi di una intensa attività di traffico di stupefacenti verso il nord Italia ed uno spaccio al dettaglio che, purtroppo, fa aumentare il numero di giovani tossicodipendenti locali.Nel febbraio dell’86, dopo una pluriennale latitanza, Alleruzzo Giuseppe[1], ma anche Pellegriti Giuseppe, vengono assicurati alla giustizia. Gli stessi, dopo tragici luttuosi eventi che colpiscono i loro famigliari, decidono di collaborare con la giustizia, in particolare il 9.7.87 viene ucciso Alleruzzo Santo, figlio di Giuseppe, e la notte tra l’11 ed il 12 agosto dello stesso anno viene assassinata Anastasi Lucia, moglie dell’Alleruzzo, mentre si trova seduta su un gradino davanti all’uscio di casa. L’Alleruzzo, quindi, recatosi con le debite autorizzazioni al cospetto della salma della moglie, decide di collaborare con la giustizia, rendendo piena confessione dei propri misfatti dal 17.8.87 al dicembre dello stesso anno.Dopo gli avvenimenti giudiziari che hanno seguito queste vicende si è giunti, dietro l’input delle “Famiglie” di Catania, a una sorta di patto di non belligeranza, addirittura finanche di alleanza o comunque di collaborazione, a Paternò, tra le cosche contrapposte degli ALLERUZZO – PELLEGRITI – GURGONE e STIMOLI – MORABITO.
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