Palermo, Paolo Borsellino e quell’amico che l’aveva tradito: a chi si riferiva? “La Procura era un nido di vipere”


Pubblicato il 04 Maggio 2012

di iena antimafia, Fabio Cantarella

Sono ormai passati vent’anni, ma le vittime di mafia, uomini eroici come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, non hanno ancora trovato giustizia. Siamo in Italia, per questo ciò è possibile, perché in qualunque altro Stato che si annoveri tra quelli democratici questo non sarebbe mai potuto accadere. Qui in Italia, invece, accade sovente che quello Stato che dovrebbe tutelare i propri uomini valorosi posti ai vertici delle istituzioni si adoperi anche per tramare alle loro spalle. Un “film” già visto che oggi è tornato d’attualità durante la deposizione del pubblico ministero Alessandra Camassa, ascoltata come teste nel processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu imputati di favoreggiamento aggravato davanti al tribunale di Palermo.

“Borsellino mi ha sempre parlato bene del generale Subranni e dell’allora colonnello Mori facendomi capire che di loro si fidava” ha dichiarato il giudice Camassa, magistrato che lavorò con il procuratore Paolo Borsellino a in procura a Marsala, che poi ha riferito di un episodio finora sconosciuto al pubblico. Siamo nel giugno del 1992, presente anche l’allora pubblico ministero, oggi assessore regionale, Massimo Russo: “Borsellino si alzò dalla sedia, si distese a un certo punto sul divano e scoppiò a piangere, anzi direi a lacrimare in modo evidente. E ci disse: ‘Non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire’. Io e il collega Massimo Russo siamo rimasti sorpresi. E calò imbarazzo. Non ebbi la forza di chiedere a chi si riferisse e volli cambiare anzi argomento”. Camassa, che all’epoca era sostituto procuratore ha detto di aver avuto l’impressione che “avesse ricevuto una notizia poco prima”.

Nel corso dell’udienza la dottoressa Camassa ha ricordato come più volte il collaboratore di Borsellino, il maresciallo dei carabinieri Carmelo Canale l’abbia sollecitata a parlare con Borsellino “e dirgli di stare più attento e che non si doveva fidare dei Carabinieri del Ros di Palermo perché erano pericolosi. Canale era molto amico del giudice Borsellino – ha raccontato Camassa – il rapporto andava al di là di quello lavorativo”. Il teste però rispondendo al pubblico minsitero Nino Di Matteo che le chiedeva se Canale le avesse fatto i nomi del generale Subranni e del generale Mori parlando dei Ros ha subito risposto: “Forse quando lessi il nome di Subranni sui giornali – ha detto in aula discostandosi sensibilmente dalle sue dichiarazioni ai pubblici ministeri di qualche anno addietro – ricollegai il nome a Canale e feci una sovrapposizione di nomi”. E poi ha aggiunto: “E’ molto verosimile dopo una riflessione più ponderata. Il mio ricordo è di sovrapposizioni”.

La dottoressa Camusso ha anche parlato di un ex agente dei Servizi, Ninni Sinesio, amico di Borsellino. “Dopo la strage mi chiamò per chiedermi di incontrarci e nel corso di un incontro mi fece un sacco di domande sulle ultime indagini di Borsellino. Era insistente, voleva sapere se erano venuti fuori elementi sull’imprenditore agrigentino Salamone e sul ministro Mannino. Io non diedi troppo peso alla cosa – ha spiegato – ma mio marito si meravigliò di tutte quelle domande”. La teste ha poi ricordato come durante il pranzo Sinesio la avrebbe spinta a riferire le rivelazioni fatte a Borsellino dal pentito Gaspare Mutolo sull’ex numero due del Sisde Bruno Contrada. “Quando finii di parlare – ha detto – Sinesio si alzò in preda a un attacco di tosse e andò in bagno. Mio marito mi disse: ‘guarda che è andato a telefonare'”. “Poi – ha concluso il teste – seppi che Contrada era stato avvertito delle indagini a suo carico”.

Sul pretorio è poi salito l’ex pm Massimo Russo che in avvio di deposizione ha riferito lo come pochi giorni prima di essere ucciso nella strage di via D’Amelio Paolo Borsellino, parlando della Procura di Palermo disse: “qui è un nido di vipere”.

“Paolo Borsellino – ha detto Russo riferendo l’episodio già narrato da Camassa -ci disse che era stato qualche giorno prima a una cena a Roma con i vertici dell’Arma e subito dopo ha aggiunto: ‘qualcuno, un amico mi ha tradito’. Si alzò scuotendo la testa, fece il giro attorno alla scrivania, poi si accascio’ sul divanetto e iniziò a piangere. Calò un silenzio imbarazzato – ha detto ancora Russo – e io per cambiare argomento chiesi: ‘che si dice qui a Palermo?’ E lui mi rispose scuotendo la testa: ‘qui è un nido di vipere’, riferendosi alla Procura palermitana”.


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