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Politica di Trinacria: i Vicere’
Pubblicato il 19 Novembre 2012
Leanza, Pistorio e la diaspora lombardiana…
di Iena Ridens
Ci sono certi tipi, nella politica, che, comunque vadano le cose, hanno vinto. Anche quando sembra il contrario. Perché non si limitano a contribuire alla vittoria, o partecipare alla sconfitta, ma diventano elementi insostituibili della possibilità stessa della vittoria.
Prendete Lino Leanza e Giovanni Pistorio, i Gemelli Diversi dell’Età lombardiana. Il primo a Palermo, il secondo a Roma, esegeti ed attuatori del verbo di Raffaele da Grammichele, con ruoli ed ambiti geografici assegnati rigidamente, complice pure la fobia di Lino da Maletto, il paese delle fragole, per l’aereo. Hanno accompagnato la rinascita di Lombardo a partire dall’elezione regionali del 2001, quando Pistorio era la certezza del CCD e Leanza fu la sorpresa, lui che la sera prima della presentazione delle liste doveva essere candidato con Forza Italia e la mattina si svegliò sodale di Lombardo. Entrambi eletti, sono stati protagonisti dell’affermazione di un modello, quello lombardiano che, alimentatosi di cuffarismo, è poi sbocciato nella più spettacolare campagna di lottizzazione dell’amministrazione regionale che la Sicilia abbia conosciuto. Pistorio fu assessore alla sanità di Totò, nel Cuffaro I, Leanza addirittura vicepresidente e poi presidente traghettatore verso le elezioni che incoronarono Raffaele, dopo le dimissioni nel Cuffaro II.
Giovanni a Roma, a fare atto di presenza al Senato (Carlo Puca, su Panorama, tratteggiò l’inesistenza del contributo parlamentare dei deputati Mpa modificando l’acronimo in Movimento per l’Amatriciana) e soprattutto a tenere aperti i canali di dialogo con la sinistra, interlocutore privilegiato di Anna Finocchiaro e non solo. Lino a Palermo, a smazzare le tensioni di un movimento che cresceva e cresceva, grazie ai tanti accorsi al carro del vincitore, ma rimaneva quasi costretto sotto le smanie del padre padrone Lombardo. E lui, Lino, a mediare, dialogare, tranquillizzare, confortare, tutti, o quasi. Ma mentre il primo lo faceva lontano dagli occhi del padre, e comunque da esponente di quel Cerchio Magico di cui fanno parte pochi eletti, Antonio Scavone, Carmelo Galati, Pistorio, appunto, il secondo lo faceva da esterno, vedendo crescere un consenso ed una struttura che, al momento debito, cara gli sarebbe costata.
E così, puntualmente, è stato. Al netto delle motivazioni apparenti, la rottura tra Leanza e Lombardo si è consumata per quella maledizione che colpisce chiunque cresca, all’ombra dell’albero lombardiano, finendo per fare ombra allo stesso Lombardo. Epurato, o invitato ad autoepurarsi. Lino, che ha spalle larghe nonostante il fisico minuto, ha capito ed ha fatto le valigie in tempo, approdando all’Udc con la benedizione nientedimeno che di Azzurro Caltagirone in persona, venuto ad omaggiarne l’ingresso nel partito celebrato in un auditorium delle Ciminiere stracolmo. Al primo appuntamento Lino ha risposto facendo quasi triplicare i consensi Udc a Catania, con tre deputati eletti nella lista che lui ha costruito, venendo a sua volta confermato all’Ars. Ottenendo dal presidente Crocetta, subito, di essere ripagato con la destituzione dell’appena nominato da Lombardo commissario della provincia di Catania, Michelangelo Lo Monaco. Giusto per mettere in chiaro, e subito, chi è il vincitore e chi lo sconfitto in questa contesa.
Adesso dicono che il suo essersi messo in evidenza, troppo in evidenza, ha suscitato le gelosie di Giampiero D’Alia, che infatti gli preferirà il fido Ardizzone per lo scranno di presidente dell’Ars, salvo qualche “crocettata” dell’ultima ora. Così, potrebbe ripetersi la maledizione di Lino, quella di essere stoppato perché capace di crescere troppo. Ma, se queste sono le motivazioni che spiegano la fine del sodalizio tra Lombardo e Leanza, che dire di quella consumatasi a Caltanissetta, due domeniche fa, tra Pistorio, il figlio prediletto, e Raffaele? Con il primo che rassegna le dimissioni da segretario regionale del Pds-Mpa ed il secondo che snobba l’appuntamento, al punto che nè il figlio Toti nè il neofido Fiorenza partecipano? Pochi giorni dopo Nicola D’Agostino, che di Pistorio è il braccio destro, dichiara che il progetto neoautonomista non sta molto bene e che loro, certo, guardano con attenzione alle mosse del presidente Crocetta (che, del resto, lo stesso D’Agostino aveva fatto votare in massa nella sua città, Acireale).
È solo questione di autonomismo sul viale del tramonto, l’inizio del fine di un sodalizio a prova di bomba? O piuttosto, anche in questo caso, il clima d’incertezza che si respira per le politiche, con le alleanze da trovare (o da utilizzare come taxi per tornare in uno dei due rami del Parlamento), finisce con il mettere in crisi anche quei rapporti politici apparentemente inscalfibili? Comunque sia, per uno scherzo del destino, i due potrebbero ritrovarsi, seppure su posizioni diverse nella stessa coalizione che sostiene Crocetta. Così come lo erano con Cuffaro prima, e Lombardo poi. Ma si sa, la rivoluzione è già cominciata. Appunto.
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