Domani udienza davanti al Gip del Tribunale di Palermo
di iena giudiziaria marco benanti
Che il sindaco di Catania, Enzo Bianco, trasferisca, per così dire, il confronto politico dentro le aule di Tribunale, non è una novità. Sarà per la sua permalosità? Sarà per motivi di cultura politica (la cultura politica del centrosinistra progressista)? Chissà. Di certo, le querele da parte del notabile della sinistra catanese si ripetono. Ma stavolta com’ andata? Bianco ha querelato l’ing. Tuccio D’Urso, attualmente dirigente della Regione Siciliana, ai tempi dei fatti oggetto della querela candidato sindaco di Catania, nella tornata del giugno 2013.
Di cosa si duole S. E. Bianco? Di quanto dichiarato da D’Urso sulla testata “Sicilia Media Web” il 6 maggio 2013: il professionista, allora in corsa per Palazzo degli Elefanti con una lista civica, faceva riferimento alla vicenda cosiddetta Lusi, cioè all’utilizzo del finanziamento di partito, chiedendo chiarezza in merito.
La querela è finita per competenza territoriale alla Procura della Repubblica di Palermo. E cos’è accaduto? Che il sostituto procuratore Alessandro Clemente ha chiesto l’archiviazione. Bianco, con il professore Giovanni Grasso, si è opposto e domani si terrà l’udienza davanti al Gip Fabrizio Molinari: da una parte il sindaco di Catania dall’altra D’Urso, difeso dall’avv. Giuseppe Lipera.
Scrive il Pm nella richiesta di archiviazione:
“…ritiene questo ufficio che essi vadano annoverati in quella species della libertà di manifestazione del pensiero che è il diritto di critica: inteso come valutazione argomentata di condotte, idee ed espressioni, questo ha confini ben più ampi di quello di cronaca: in esso, il requisito della “verità” si profila in maniera ben diversa rispetto a quanto accade nel diritto di cronaca (atteso che un’opinione non può essere vera o falsa, ma vero o falso deve essere il presupposto fattuale sul quale essa poggia). “
Prosegue il sostituto procuratore:
“la critica, essendo espressione di una valutazione personale, non necessariamente deve essere obiettiva: può, anzi, essere molto aspra e rappresentata in modo suggestivo anche per catturare l’attenzione di chi ascolta. Questo, fermo restando che la critica, che deve essere sempre espressa in modo continente e mai trasformarsi in un puro attacco personale, deve poggiare su un dato fattuale vero; si vuol dire che si è liberi di interpretare un fatto o una condotta, ma il fatto e la condotta che vengono criticati debbono essere veri, altrimenti non può parlarsi di corretto esercizio del diritto di critica…” Continua il Pm:
“insomma, seppur severa e, a tratti, irriverente, la critica deve essere collegata a un oggettivo dato fattuale, dal quale prendere spunto. In altre parole, in tema di diritto di critica, secondo la giurisprudenza non si tratta dunque di valutare la veridicità di proposizioni assertive, per le quali possa configurarsi un onere di previo riscontro della loro rispondenza al vero quanto piuttosto di stimare la correttezza delle espressioni usate e cioè la loro idoneità d essere ontologicamente offensive in quanto ingiuriose e sconvenienti; orbene, in nessuno degli stralci richiamati si rinvengono elementi tipici del reato di diffamazione, che sia consumato in danno del querelante Bianco Vincenzo, all’epoca dei fatti candidato alla carica di sindaco alle elezioni comunali di Catania.”
Spiega il Pm: “nel proprio intervento on line, il D’Urso, all’epoca candidato alla stessa poltrona di sindaco e sostenuto da uno schieramento politico avverso a quello del Bianco, ha espresso le proprie preoccupazioni circa l’origine dei finanziamenti della campagna elettorale dell’avversario, alludendo –neanche velatamente, sia detto per inciso- alla vicenda ormai nota nella cronaca politica che ha visto coinvolta l’allora “Margherita”, partito politico in cui un tempo militava anche il Bianco e che avrebbe annoverato tra i suoi esponenti anche soggetti coinvolti in procedimenti penali per reati di appropriazione di denaro del partito.
Contestualizzando le dichiarazioni del D’Urso a quell’epoca, esse risultano allora scriminate come espressione di critica politica. Come è stato ben detto, “il diritto di critica politico-sindacale consente l’utilizzo di espressioni particolarmente forti e sferzanti, ma ha come presupposto sempre la verità dei fatti narrati, non costituendo una scriminante il fatto che l’autore della critica esprima un suo personale parere” (Trib. Palermo, sent. 17.03.2004).
Quelle rese dal D’Urso non sono però dichiarazioni che possono essere ricondotte a un parere, bensì vanno inserite nel contesto della lotta politica che lo ha visto protagonista insieme al Bianco nella corsa alla poltrona di sindaco, e dunque vanno lette come provocazione politica, finalizzata a sollecitare una reazione del Bianco circa una sua presa di distanze dei sospetti che, a quel tempo, aleggiavano intorno ai principali esponenti del partito politico “la Margherita”, in cui indubbiamente il Bianco occupava un posto di primo piano”.
Spiega il Pm: “a ben vedere, anzi, il D’Urso si è limitato a riportare agli onori della cronaca quanto detto dal senatore Lusi, principale indagato nel procedimento penale aperto presso altri uffici (Milano), che avrebbe dichiarato di aver finanziato lo stesso Bianco. L’intervento si colloca dunque nel contesto della lotta politica per la carica di sindaco di Catania. Pertanto, se pure questo pubblico ministero non può esimersi dal censurare l’asprezza dei toni e una certa degenerazione del costume politico –sempre meno rispettoso dell’avversario e sempre più incline all’uso di toni alusivi e sprezzanti- non ritiene di dover dare ulteriore corso alla denuncia con un’attività di indagine che non si dimostra idonea a sostenere un’accusa in giudizio nei confronti del D’Urso”.
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