Basta che non si intoni il “Se prima eravamo sei a cantare mapin mapon / adesso siamo in ventisette a cantare mapin mapon autorefernziale
Carlo Majorana Gravina
L’Unione Politica Europea scaturì da speranze, intuizioni, emozioni. Fu un’idea avvincente, convincente, luminosa. Poi, assieme al decadimento della classe dirigente e politica, arrivarono burosauri e furbi: la luce fu spenta. La celebrazione del 60° dei Trattati di Roma è avvenuta al buio, a luci spente. Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo, ha ben focalizzato la situazione sollecitando le delegazioni, riunite in Vaticano, a mettere al centro dell’Unione l’uomo, non le regole.
In principio (CEE) furono in sei: Belgio, Francia, Germania Est, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Poi si aggiunsero Danimarca, Irlanda e Regno Unito; quindi Grecia, Portogallo e Spagna.
Il cammino era accidentato: la parziale cessione di sovranità da parte di nazioni ricche di storia avrebbe certamente scatenato perplessità, rivendicazioni, risentimenti popolari.
La recente lectio magistralis dello storico britannico Donald Sassoon, all’Académie Royale de Belgique, focalizza la lunga demoralizzante “fase due” sulla Brexit, definendola la débacle, ma la recente scelta referendaria del Regno Unito è un ulteriore scivolamento sul crinale del rifiuto del trattato costituzionale da parte di Francia e Olanda (due Stati fondatori!) del 2005. Brexit è indubitabilmente peggio: porterà annosi complessi problemi; ma bisognava intuire prima che qualcosa non andava; che si stavano soffocando speranza ed emozione; che l’Unione era distante dal sentimento popolare. In questo lungo periodo è andata scemando la tensione ideale e morale che vibrò nel discorso pronunciato da Robert Schumann nel 1950, peraltro vanificato da Charles de Gaulle col rifiuto del trattato di difesa comune del 1954.
In uno dei miei esordi giornalistici, scandalizzato dall’utilizzo della visita di stato in Canada per fomentare il separatismo in Quebec, chiosavo “de Gaulle personaggio storico, non politico”.
Sassoon spiega, peraltro, che Spagna e Portogallo sopraggiunsero al mutare dei rispettivi regimi politici, mentre Regno Unito e tutti i suoi seguaci aderirono per un calcolo di convenienza, notandone i costanti sabotaggi: rifiutati moneta e difesa unica, l’Europa non poteva crescere sul piano diplomatico e sullo scacchiere internazionale. Convenire su una nuova fase costituente dopo la recente riunione di Roma è realismo politico, ma il percorso non si fa con gli auspici e le prese di posizione: è una faccenda del massimo interesse, ma estremamente complessa.
Oggi si può e deve cogliere un’occasione straordinaria per Europa e Pianeta: “il sogno di Pietro il Grande”. Non è una passeggiata, ma squilibri e pericolosità internazionali attuali, politiche e criminali, impongono di tentare. È questa la prospettiva che mi induce a valutare positivamente Roma 25 marzo 2017.
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