Politica giudiziaria, Catania: la Camera Penale risponde all’ennesima violazione della magistratura onnipotente


Pubblicato il 05 Marzo 2019

(nella foto brano di “in prigrione, in prigione” di E. Bennato.)

Avevamo titolato come ricorda questo link https://www.ienesiciliane.it/articolo.php?aid=9037

dopo fatti, a nostro avviso, gravi. Abbiamo assistito anche stavolta al connubio Procura-media con modalità plateali. Ci attendevamo una risposta adeguata dell’Avvocatura. Pubblichiamo quanto ha deliberato la Camera Penale di Catania.

Dal nostro punto di vista, è una prima risposta, che dovrebbe essere solo l’avvio di un nuovo corso di fronte allo strapotere della magistratura, che nella pratica quotidiana ha assunto ormai il ruolo persino di “moralizzatore” degli uomini. Restiamo in attesa. Fiduciosi (ienesicule, marco benanti)

ecco il testo:

“Il Consiglio Direttivo della Camera Penale “Serafino Famà” di Catania, 

in esecuzione al deliberato dell’Assemblea degli iscritti riunitasi in data 20 febbraio 2019, con la partecipazione dell’avv. Carmelo Occhiuto, membro della Giunta dell’UCPI, e dei presidenti della Camera Penale “Pier Luigi Romano” di Siracusa, Avv. Silvestre Costanzo, della Camera Penale degli Iblei di Ragusa e Modica, avv. Michele Sbezzi, della Camera Penale “Giorgio Arcoleo” di Caltagirone, avv. Massimo Alì e della Camera Civile di Catania, avv. Giovanni Perrotta, intende rappresentare quanto segue.  

Appare in premessa doveroso ribadire con forza che nessun “privilegio di categoria”, né alcuna “immunità assoluta” si pretende sia riconosciuta all’Avvocatura, il cui operato non gode di alcuna presunzione di legittimità. Allo stesso tempo, tuttavia, l’Avvocatura non deve mai essere privata delle necessarie prerogative di autonomia e riservatezza nell’esercizio della funzione, che rappresentano il naturale corollario del diritto costituzionale alla Difesa, affinché ogni difensore possa essere “libero” nello svolgimento della propria attività. Diversamente opinando si corre il serio rischio di comprimere ingiustamente un diritto, quello di Difesa, tanto più importante in quanto caratterizzante il rapporto tra il cittadino e l’Autorità statale.

La libertà del difensore equivale a garanzia di legittimità del processo.

La pubblicazione sulle principali testate online locali di ampi stralci dell’ordinanza di custodia cautelare relativa all’operazione denominata “Pupi di pezza” e, in particolare, del contenuto di conversazioni tra presenti intercettate nel corso di riunioni alle quali, oltre ad alcuni indagati, erano presenti per ragioni oggettivamente professionali anche un avvocato penalista e un avvocato civilista, ha certamente offerto, al di là del merito del caso concreto, più di un prezioso spunto di riflessione sul tema generale della possibilità di captare colloqui con difensori e sulla loro utilizzabilità.

Sul punto, s’intende in questa sede riaffermare con forza il divieto normativo sancito dal codice di rito, chiaro nella lettera, in forza al quale le intercettazioni di cui all’art. 103 c.p.p. “non sono consentite”, divieto che, al contrario, appare vulnerato dall’interpretazione giurisprudenziale che consente la valutazione dell’utilizzabilità secondo un giudizio ex post, successivo dunque alla captazione, così consentendone un recupero istruttorio, con evidente pregiudizio all’effettività del diritto di difesa. 

La vicenda concreta consente di affrontare anche il tema dell’individuazione del momento genetico del rapporto difensivo. 

Sul punto, appare peraltro doveroso ribadire quanto già espresso dalla giurisprudenza di legittimità correttamente citata dalla medesima ordinanza e cioè l’assoluta irrilevanza della mancata comunicazione all’Autorità procedente, ex art. 96 c.p.p., della nomina a difensore, «in quanto ciò che rileva ai fini della garanzia di cui all’art. 103 è la natura del colloquio e non la formalizzazione del ruolo del difensore». 

Nella medesima direzione, tradirebbe la logica e l’effettività della tutela prevista dall’art. 103 c.p.p., una interpretazione restrittiva della norma che consentisse di invocarne l’applicazione soltanto laddove il Difensore e il suo assistito fossero a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a carico del secondo e non già allorquando il legale si trovi ad esercitare la funzione difensiva, anche in chiave di mera consulenza, in vista della possibile successiva iscrizione di una notizia di reato.

Di rilievo è il tema del luogo ove il colloquio avviene, al fine di individuare la natura dell’oggetto dell’intercettazione: è chiaro che l’attività difensiva ha, come primo luogo deputato lo studio del professionista, ma non può essere posto in discussione il fatto che connotato principale del colloquio sia il contenuto dello stesso, a prescindere dal luogo in cui esso avviene, quindi anche al di fuori degli studi professionali. 

Forte perplessità suscita una valutazione “parcellizzata” delle conversazioni captate, nell’ipotesi in cui esse intercorrano all’interno dello stesso spazio fisico e nello stesso contesto temporale. Pretendere di stabilire quale sia il dialogo pertinente all’attività professionale di difesa e cosa, invece, non possa avere tale natura, pur nella oggettiva contestualità spazio temporale, innalza il rischio di una visione ingiustamente restrittiva degli spazi di libertà ed autonomia dei difensori.

Tanto più ove non si specifichi in qual modo siffatte conversazioni possano integrare esse stesse fattispecie di rilevanza penale o non s’individui in concreto una specifica violazione di regole deontologiche. 

La vicenda in esame offre poi, ancora una volta, la necessità di riflettere sulla pubblicazione del contenuto di atti da parte di alcuni organi di stampa, spesso parziale, distorta o strumentale, che rischia seriamente di anticipare, se non addirittura di fuorviare, in una fase del tutto embrionale del procedimento e al di fuori dunque delle opportune sedi processuali, la valutazione di elementi di giudizio che si connotano, per definizione, per la loro provvisorietà.

Per le medesime ragioni, non pare cogliere nel segno e suscita meraviglia il richiamo avanzato a questa Camera Penale in ordine alla mancata attenzione al «merito della vicenda che coinvolge soggetti di primo piano del mondo professionale catanese».

Sul punto, appare fin troppo ovvio osservare che, nel rispetto della giurisdizione e del principio di non colpevolezza sino a sentenza definitiva, il giudizio sul merito delle condotte oggetto dell’indagine non compete certamente alla Camera Penale, alla quale spetta, invece, esclusivamente vigilare sul rispetto dei diritti e della libertà della Funzione difensiva. 

L’occasione pone ancora una volta il tema della necessità di evitare che nell’opinione pubblica si formi o si solleciti un “giudizio anticipato” di colpevolezza, compito questo demandato unicamente alla competenza dell’Autorità Giudiziaria Decidente nelle opportuna sedi processuali.

Con riferimento, infine, all’intercettazione di una conversazione tra presenti, riguardante un avvocato penalista del nostro Foro, anch’essa oggetto di un articolo apparso su una testata online, la Camera Penale “Serafino Famà” di Catania intende evidenziare che è preciso dovere di ogni avvocato utilizzare un linguaggio che esprima rispetto verso le Istituzioni ed i suoi rappresentanti, presupposto indefettibile per pretendere rispetto per la propria attività e, in quest’ottica, di aver apprezzato le dichiarazioni rilasciate pubblicamente dall’interessato a chiarimento del significato e dell’intento delle espressioni oggetto della captazione.

L’occasione è propizia per ribadire, ancora una volta, la sincera stima, professionale e umana, nutrita nei confronti del dott. Fabio Regolo.

La Camera Penale “Serafino Famà” di Catania è convinta che il tema delle intercettazioni dei colloqui tra difensore e assistito e, più in generale, la definizione dei confini dell’attività difensiva sia di centrale rilevanza e richiede notevole e contiguo impegno e, a tal fine, auspica che la vicenda in esame e il dibattito che ne è conseguito possano stimolare un sereno confronto pubblico su questi argomenti tra tutti gli operatori del diritto interessati – Avvocatura, Magistratura ed Accademia,  alla ricerca di una condivisa lettura delle norme di diritto.

                                                                                                     Il Direttivo.”


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