Politica regionale: le forze conservatrici bloccano Crocetta e Fiumefreddo. Il “Togliatti di Acireale” ferma il processo rivoluzionario

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Che tristezza! (nella foto Raciti da giovane)

E noi gli ricordiamo due grandi del socialismo che non si posero a guardia della reazione, ma agirono per lo sviluppo della democrazia e della libertà del popolo italiano e siciliano.

di iena storica

Malgrado gli sforzi del Presidente Rosario Crocetta, il processo di cambiamento che sta vivendo la Sicilia conosce improvvisi e bruschi “stop”. Fra pali e paletti, Crocetta ne prende da tutte le parti, di “blocchi” vogliamo dire, di “no” o meglio di “niet” e altri mezzucci della politica politicante che non vuole nessuna modifica, nemmeno minima, della condizione della nostra amata terra.

L’ultimo esempio? La nomina ad assessore regionale alle attività produttive dell’avv. Antonio Fiumefreddo. Una grande risorsa per la Sicilia, sostenuto con forza da Rosario Crocetta. Ma, come già accaduto, le forze più conservatrici si sono consolidate per fermare il percorso di questa strada del cambiamento, di cui tanto ha bisogno la nostra terra. E parliamo di sviluppo, di sviluppo vero, di attività produttive, di terra, mare e soprattutto cielo.

E, guarda caso, il “niet” arriva da sinistra, da quel Fausto Raciti, segretario del Pd siculo, che pur giovane di età, mostra già tutti gli anni quando si parla di processo rivoluzionario. E di rinnovamento. E’ proprio un conservatore Raciti, con quella barba, quelle sciarpe, quel modo di parlare incomprensibile, tipico della burocrazia veterocomunista. Dentro un partito che parla di cambiamento e poi si pone a baluardo contro il vero cambiamento.

Una sorta di “Togliatti di Acireale” che si è messo di traverso sulla nomina di Fiumefreddo, accampando scuse del tipo “dobbiamo decidere collegialmente..” e altri pretesti tipici della Prima Repubblica.

Non se ne può più. E allora diciamo a Raciti di leggere questi mirabili interventi storici di due grandi del socialismo. Potrebbe imparare (o forse l’ha già fatto?) da loro.

 

L’editoriale su “L’Unità” di Palmiro Togliatti sul “L’Unità” del 2 giugno 1946:

«tutti coloro che conoscono la storia politica d’Italia degli ultimi decenni sanno che un periodo nuovo si è aperto nel 1944, quando i partiti comunista e socialista, rompendo una vecchia tradizione, sono entrati per la prima volta nel governo, portando a questo e allo Stato l’adesione della classe operaia e delle grandi masse lavoratrici.
Con questo atto sono state aperte all’Italia nuove prospettive di sviluppo democratico e di progresso sociale nell’ordine e nella libertà.
Ma è evidente che vi sono gruppi conservatori e reazionari che respingono queste prospettive, che vogliono il ritorno alla vecchia divisione in campi inconciliabili, che aspirano a ricacciare le masse lavoratrici e i loro partiti verso le posizioni del passato. Questi gruppi sono quelli che oggi, uniti attorno alla dinastia dei Savoja, si battono contro la democrazia. Ciò che li ha esasperati è la nostra politica di unità, la sola che possa portare l’Italia alla salvezza.
La fazione monarchica lavora per respingere l’Italia verso la disunione, verso la scissione, verso la discordia. Questo dimostra tutto il suo atteggiamento: dal blocco attorno ai Savoja dei gruppi testardamente fascisti e di tutte le forze retrograde e intransigentemente reazionarie, sino agli episodi minori della lotta, sino al risorgere dello squadrismo con bandiera monarchica per turbare la campagna elettorale e intimidire i cittadini, sino alle campagne vergognose di avvelenamento dell’opinione pubblica, di diffamazioni, di calunnie, di violenze contro i partiti democratici e progressivi, e prima di tutto contro gli iniziatori della politica di unità nazionale.
È chiaro! Vi è una parte delle classi possidenti, la parte più ottusa, più egoista, più reazionaria, che non vuole il progresso sociale nell’unità, nella libertà, nell’indipendenza della Nazione. Questa parte spera nella vittoria monarchica per un “ritorno all’antico”, per annullare l’impulso unitario dato da noi nel 1944 alla vita italiana.
Bisogna quindi votare per la Repubblica e contro la monarchia se si vuole la unità della Nazione.
Il bene d’Italia sta nel fatto che la feconda collaborazione politica da noi iniziata continui in un’atmosfera di rinnovamento democratico profondo. Chi vuole impedirlo, qualunque sia il pretesto di cui si serve per giustificarsi, lavora al danno del nostro Paese.
Il trionfo della Repubblica è garanzia di progresso pacifico per tutti.
Il voto per la monarchia è voto per la disunione, per la discordia, per la rovina d’Italia!»

Palmiro Togliatti.”

E questo è, invece, di Pietro Nenni su “L’Avanti”, sempre nello stesso periodo: 

«Tu parli spesso di vento del Nord. Vieni in Calabria e ti accorgerai che c’è un vento del Sud che soffia nella stessa direzione di quello del Nord».

Così, da tempo, ci scrivevano da Cosenza. Siamo stati in Calabria e abbiamo avuto la gioia di presiedere a manifestazioni popolari dove l’imponenza del numero, il calore dei consensi, l’adesione alla politica socialista, si sono manifestate in forme spettacolose e commoventi. La manifestazione di Reggio Calabria e quella travolgente di Cosenza resteranno fra i nostri più cari ricordi.  Per molto tempo serberemo memoria della passione con cui Catanzaro ha fatto eco alla parola socialista. Forse esaudiremmo il desiderio dei compagni di laggiù se scrivessimo sulla Calabria rossa. E sarebbe giustizia, poiché nel loro congresso e nelle loro manifestazioni i socialisti calabresi hanno mostrato di essere – assieme  ai compagni comunisti coi quali il loro accordo è senza screzi – la espressione vincente delle masse. Eppure abbiamo avuto l’impressione di un movimento che travalica le frontiere stesse della classe, per interpretare le esigenze di tutto un popolo. La Calabria ha compreso che l’abbandono in cui è stata lasciata, la miseria dei suoi villaggi montanari senza strade e senza luce, la desolazione del latifondo, non sono una maledizione della natura o del caso, non sono soltanto la conseguenza degli errori e delle colpe dei dirigenti locali fascisti e pre-fascisti, ma si ricollegano a tutto l’indirizzo  della politica italiana da Crispi a Mussolini. Una politica che ha sacrificato l’economia dell’Italia meridionale al nazionalismo e all’imperialismo, imponendo per scopi bellici la cultura del grano a detrimento di quelle più redditizie, l’industria pesante a detrimento delle industrie sussidiarie dell’agricoltura. Da ciò il paradosso dell’industria bellica relativamente molto sviluppata in un paese dove i contadini calabresi lavorano ancora la terra con aratri di legno e dove il latifondo attesta l’incuria e il tradimento della classe dirigente. Lenin ha rigenerato il villaggio russo applicando la formula: socialismo più elettricità; il villaggio calabrese è rimasto miserabile anche dopo l’inaugurazione dei bacini idraulici e delle centrali della Sila, perché l’energia elettrica è stata sfruttata per dare vita non al campo, non la villaggio, ma ai complessi industriali dell’Ilva sorti a fini di guerra. Tutto quindi è da riprendere al punto di partenza. Socialismo più elettricità porteranno l’Italia meridionale ad un più alto tenore di vita, non prima però il compimento di radicali riforme di struttura politica ed economica. Consce di questa esigenza, le popolazioni calabresi hanno trovato nelle tre rivendicazioni del Partito socialista: la repubblica, la riforma agraria, la socializzazione dell’industria monopolistica, le condizioni stesse del loro divenire. La repubblica, cioè la democrazia intesa come autogoverno del popolo per il popolo. La riforma agraria, cioè l’espropriazione del latifondo e della grande proprietà terriera. La socializzazione dell’industria monopolistica, e con ciò la sostituzione dei consigli degli operai, dei tecnici e degli impiegati, responsabili davanti alla nazione, ai consigli di amministrazioni, responsabili davanti al capitale privato. In termini più vasti: l’interesse generale, al posto degli interessi particolari. La proposta di affidare a delle Camere regionali dei Consigli economici il compito di fare l’inventario dei bisogni e dei mezzi e di predisporre un primo piano quinquennale della ricostruzione in funzione degli interessi locali e nazionali, ha trovato un larghissimo consenso, non solo fra i lavoratori manuali, ma fra i tecnici, gli impiegati, gli intellettuali in mezzo ai quali, finalmente, si fa strada il convincimento che il socialismo non tende ad abbassare i lavoratori intellettuali ma ad innalzare quelli manuali, non minaccia l’intelligenza, ma ad essa spalanca tutte le vie del progresso. In questo senso, ci è sembrato di cogliere in Calabria, attorno al socialismo ed ai socialisti, un fremito di simpatia che va molto al di là dei confini di classe e che interessa anche i ceti medi che subirono in buona fede il contagio delle seduzioni nazionaliste del fascismo, prima di avvertirne l’inganno. Il fatto nuovo e promettente è la coscienza largamente diffusa nel Sud come nel Nord dell’esistenza di una crisi di Stato che non si risolverà con un ritorno alle vecchie clientele elettorali, odiose quanto il fascismo, ma con  un audace balzo innanzi, verso nuove forme di democrazia diretta e di autogoverno popolare.  La lieta novella che noi rechiamo ai compagni è che il vento del Sud soffia nella direzione di quello del Nord investendo la dittatura fascista e la monarchia militare nelle loro cause politiche, sociali ed economiche.

Ça ira!

 Post-Scriptum. A proposito di «clientele» è tipico il caso di Catanzaro. C’era  a Catanzaro un prefetto del quale tutta la provincia era contenta (sono cose rare ma che succedono). Non che egli fosse un uomo di parte o anche soltanto di sinistra, ma equanime sì, e mosso dal desiderio di agire in accordo col locale Comitato di Liberazione Nazionale. Che è che non è il prefetto è mandato via. Venti province sono in agitazione contro i prefetti. Catanzaro era contenta del suo. I venti restano al loro posto malgrado le proteste dei Comitati di Liberazione; il prefetto di Catanzaro è rimosso proprio a causa dell’appoggio dato al Comitato di Liberazione e da questo ricevuto. Prima di qualificare questa politica che sa di bassa cucina, attendiamo di conoscere dal presidente del Consiglio, nonché dal ministro degli Interni e dal sottosegretario Molè (personalmente interessato ai casi di Catanzaro), le ragioni per le quali il prefetto Soldaini è stato sostituito.  tempi dei Gabinetti neri devono essere finiti. Dica il ministero degli Interni le sue ragioni.”

 

 

 

 

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Redazione Iene Siciliane

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