Carlo Majorana Gravina
Correttamente, il quotidiano economico italiano per antonomasia approccia, in questi giorni, le faccende della Grecia (e dell’Europa) da diversi punti di vista; si tratta infatti di questione complessa. La pervasività della circolazione monetaria mette al centro delle questioni la complessità, sconfiggendo nei fatti il pensiero unico, ovvero quella modalità teoretica che, in politica ed economia, ha dichiarato guerra all’umanità: il rigorismo burocratico, generato e guidato in Europa of course dalla locomotiva tedesca, contraddice e nega i principi basilari della democrazia.
Sorte vuole che il presidente della Bce sia un ex governatore della Banca d’Italia: l’istituto di emissione nazionale che per la gran parte del secondo dopoguerra ha surrogato la totale mancanza di politica economica di governi, riparati all’ombra del muro di Berlino, caduto il quale mise a nudo la prevalente pochezza della classe politica e del Parlamento italiani.
Consoliamoci: il deficit di classe dirigente oggi è globale, la moneta cattiva caccia dal mercato quella buona.
Sull’euro di oggi, l’Italia avrebbe potuto fare scuola sin dalla fine dell’Ottocento se il terzo governo Depretis avesse approvato il disegno di legge che regolava gli istituti di emissione dell’epoca sul principio del free banking. Fu una scelta scellerata quella di lasciare solo il ministro dello sviluppo economico dell’epoca, che aveva concordato il testo con tutto il Gabinetto, poiché con essa si sanciva l’abbandono del programma della sinistra e l’avvio di quella fase politica che fu chiamata trasformismo: Depretis si legò ai conservatori e ai poteri forti accogliendo la tesi monopolista della Banca Nazionale nel Regno, scaturigine della Banca d’Italia; in sostanza, il suo terzo ministero evitò di affrontare con serietà e pragmatismo la situazione bancaria dell’epoca; poco dopo scoppiò lo scandalo della Banca Romana.
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