Politica&Costume: nonsolomafia


Pubblicato il 14 Aprile 2015

di Antonello Longo

Dire “nonsolomafia” comporta una doppia ovvietà, poiché nessuna persona ragionevole può credere che in Sicilia c’è solo la mafia ed i siciliani, in un modo o nell’altro, sono tutti mafiosi; e, d’altra parte, nessun siciliano può negare, né ignorare e neppure sottovalutare, la presenza, la rilevanza, l’immanenza, la pervasività del fenomeno mafioso nella società siciliana di ieri e di oggi. “Non solo” sottintende “ma anche”.

La domanda è se “anche” non possa voler dire soprattutto, essenzialmente mafia, in quella sua forma di “antropologia alimentata da marginalità secolare” di cui ha parlato, da ultimo, lo storico catanese Tino Vittorio. Rispondere che no, la mafia non è l’essenza della sicilianità, sembra un compito agevole, da assolvere con un semplice richiamo al buon senso comune. Ma non è così: chi si addentra in questo campo si accorge presto di muoversi su un terreno scivoloso, dove è facile replicare ai luoghi comuni con altri luoghi comuni. Ed appena fai cenno ad un ragionamento critico, ecco che subito vieni frainteso. Cosa voglio dire con questo? Che se, come pensa l’antimafia “di maniera”, la nostra storia, l’atavica manifestazione del potere pubblico e privato, la perenne assenza di ogni protezione dello Stato verso i deboli, le stesse asperità naturali dell’isola, hanno determinato un ordito del tessuto sociale sul quale l’unica trama che può prendere forma in modo endemico, spontaneo, istintivo, è quella mafiosa, allora i siciliani non hanno titolo per una vita “normale”.

La vita normale delle persone perbene non le riscatta dal peccato originale della mafiosità, solo le può emendare il battesimo del corteo, la litania di un’antimafia militante per la quale il silenzio, ogni silenzio, è omertosa partecipazione alla mafiosità di fondo. Ecco: in virtù di una tale visione, in un Paese in cui la criminalità, nella sua connotazione mafiosa, ha fatto i suoi martiri e richiede ancora, ahimè, molti eroi, si crea una nuova, strisciante forma di discriminazione che diventa politica nel momento in cui i contenitori di una sinistra antica, basata sui valori del riscatto sociale come presupposto di ogni libertà (a partire da quella dal giogo mafioso) e di ogni giustizia, vengono svuotati dei contenuti originari per far posto ad una nuova mono-cultura della legalità piena di pregiudizi, vuota di progetto. La legalità è intesa come “parte”, come discrimine politico.

La “società civile” è civile solo nella milizia dalla “parte” della legalità. Tutto il resto, se proprio non è mafia, è l’anticamera della mafia. Ora, io credo che la vita civile siciliana sia un patrimonio da salvaguardare nel “tutto”, rispetto al quale la mafia è un’ipoteca che si riscatta con un vero progetto di governo, con una scelta di autonomia e di sviluppo senza le ritualità dell’antimafia di maniera, senza le farsesche “rivoluzioni” di una politica ridotta a pantomima del teatrino nazionale. Per carità, non parliamo di professionisti dell’antimafia. Ma è difficile non vedere la presenza di opportunisti che, vestendo l’abito antimafioso, trovano la chiave giusta per entrare nelle stanze del potere, per esercitarlo come sempre è stato esercitato. E di utili idioti che battono le piste per le operazioni di costoro. E allora? Allora rivendico il diritto, non per me ma per ogni cittadino di questa regione, di essere onesto e progressista senza avere in tasca tessere di associazioni contro le mafie, senza mostrare entusiasmi e sventolare bandierine davanti ai treni ed ai cortei della legalità.

Aspettando e pretendendo che forze dell’ordine e magistratura facciano al meglio il proprio lavoro per arrestare, processare, e condannare quando sono riconosciuti colpevoli, i delinquenti mafiosi, politici, economici e comuni. Il vero pericolo che si corre mettendo la politica in balia degli indistinti furori è che al disprezzo per la politica clientelare (che non è monopolio di una sola parte e che non sempre è frutto di collusioni mafiose) subentri una cocente delusione per l’insipienza del governo affidato a questo modo di concepire la sinistra e l’impegno antimafia. All’odio per la mafia si rischia di far subentrare il risentimento per i teoremi dell’antimafia.

Teoremi che, quando non trovano una dimostrazione accettabile in tempi compatibili, diventano giustizia sommaria, un boomerang per la vera giustizia. Non lo dico io, ma ancora una volta lo ripete la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

 

 


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