Giorni fa abbiamo appreso dalla cronaca che la nostra città ha raggiunto e mantenuto saldamente il primato, nella quale si paga la tassa sui rifiuti più alta d’Italia. Questo primato va opportunamente segnalato, anche grazie agli abitanti di questa città (non tutti per fortuna) ce lo siamo scientemente guadagnato e “difeso” strenuamente. Questo problema è tale, […]
Politica&(Dis)Istruzione: fenomenologia del renzismo
Pubblicato il 06 Maggio 2015
di Antonio G. Pesce
Lo sciopero dei docenti è stato un successo. A profetizzarlo, suo malgrado, proprio l’altro ieri sera sui social network era stato Davide Faraone, il renziano di ferro catapultato al governo come sottosegretario all’istruzione. Quando l’ufficio stampa di un politico, per giunta democratico e antifascista, si prende la briga di scrivere un papello più lungo di quelli a cui chi scrive ha abituato il lettore, per denigrare qualcosa che deve ancora accadere, è chiaro che quel che deve accadere è già accaduto.
Su Renzi e suoi si è detto di tutto, anche durante i cortei, che si sono snodati per le vie di molte città, anche in modo spontaneo. In queste ore, in cui perfino la spesso assente Catania ha risposto con una voce massiccia allo sciopero generale della scuola, se ne dicono anche troppe. Non è proprio segno dell’utilità dell’insegnamento, che un docente lo paragoni ai grandi personaggi del totalitarismo novecentesco. Perché per esserlo bisogna avere la possibilità di creare una massificazione di cadaveri, più che di imporre la propria volontà in qualche ormai decadente landa dell’Impero della Merkel. E, purtroppo, la nostra amata Italia questo è divenuta.
Il paragone con Berlusconi regge, ma in un senso che nessuno vuole ancora notare. Che ha fatto il Cavaliere negli ultimi anni? Ha saputo perdere con stile circa sette milioni di voti. Ché a perdere sarebbero riusciti da soli figure come Brunetta, Carfagna, Gelmini, Santanché e il mai abbastanza presente Gasparri. No, Berlusconi ha saputo trasformare una piazza chiassosa in una roccaforte di lusso. Non è un caso che lo chiamino in ballo sotto elezioni: con lui, la sconfitta è più lenta – vero – ma soprattutto è meno dolorosa, perché sa trasformarla in una grande liturgia storica.
Renzi non è il rottamatore della storica classe dirigente della sinistra, ma della sinistra tutta, che ormai si è destinata alla sconfitta (anche se al momento non si vede chi potrebbe batterla), come Berlusconi per la destra, quando questa ha smesso di avere un’idea ma non un rito. Gente del genere non sono il cancro, ma le metastasi. Il perché della nostra malattia è bene rimandarlo ad altri momenti.
Il grande sciopero della scuola ha messo in luce questo carattere decadente del renzismo, questa cupio dissolvi, questo nichilismo posticcio. Veniamo al punto. Come abbiamo cercato di spiegare proprio da queste colonne, i docenti non scioperano perché non vogliono le assunzioni. Questo sarebbe folle. Del resto, le assunzioni non sono un regalo di un cortese cabarettista mediatico. Il 26 novembre del 2014, l’ormai unico tribunale che amministra la giustizia su cinquecentomilioni di cittadini europei, la Corte di Giustizia europea, ha sancito che lo Stato italiano non può fare quello che impedisce ai privati di fare, e cioè far lavorare consecutivamente per 36 mesi dei lavoratori, senza infine stabilizzarli. E ha aggiunto: assunzione o risarcimento. Il risarcimento costerebbe allo Stato più dell’assunzione in massa dei precari. Inoltre, il problema si riproporrebbe esattamente fra trentasei mesi, perché nella scuola italiana quasi la metà delle cattedre sono assegnate con contratto a tempo determinato, e sia detto per inciso che sono molte più delle centomila stabilizzazioni previste dal governo.
Costretti a fare di necessità virtù, se Renzi fosse stato lo statista che dice di essere, avrebbe potuto trasformare una sconfitta giudiziaria in una vittoria politica, limitandosi a procedere con delle assunzioni, e a rimandare ad un secondo momento una riforma generale dell’amministrazione scolastica. Ma Renzi non è un Peter Pan come Berlusconi: è assai più scaltro, volendo fare e avendo studiato per fare soltanto il politico. Berlusconi è uscito allo scoperto non avendo più referenti. Renzi, invece, è il referente di se stesso. Un membro della burocrazia del Partito, e chi è nel Partito – quale che sia il partito – sa che i tempi sono sempre molto stretti, e che è bene mangiare poco pane azzimo, che attendere la lievitatura per una focaccia condita. Questo pane che sta per impastare, sarà ritenuto immangiabile tra qualche anno da qualche corte di giustizia, europea o italiana che sia. Il salvatore Renzi farà la fine del salvatore Monti: la riforma delle pensioni di questi ci costa, oggi, ben dieci miliardi. Ma non ha importanza: in fretta e furia, Monti ha restituito alle banche tedesche quanto ci avevano prestato. Il resto – il resto sarebbe la violazione dei diritti di milioni di pensionati – sapeva che non sarebbe stato affar suo. Qualcuno sa dire dove sia andando a finire Mario Monti, il salvatore della patria?
Renzi deve fare qualcosa. Qualunque cosa. Come Bruto con Cesare, ha pugnalato alle spalle Letta, perché aveva urgente bisogno di portare al potere il gruppo dirigente che lo appoggiava. Non è un personale arrivismo, bensì una fratricida lotta politica. Per questo, ha fatto carta straccia dei suoi inviti alla serenità, e ha mandato a casa il governo di Letta. Allo stesso modo, nonostante avesse scritto alcune cose nel progetto della “Buona scuola”, divulgato a settembre, ha dovuto correre ai ripari, usando il bianchetto. Le parole della Giannini, personaggio assai più imbarazzante della Gelmini, non fosse che per il fatto di essere un professore ordinario e un rettore, sono indicative. La signora ministro, traghettata dal partito di plastica di Monti a quello di gomma di Renzi, ha sempre rassicurato che gli idonei del concorso a cattedre del 2012 sarebbero stati assunti. Ha pure firmato un decreto per questo. Oggi, davanti centinaia di migliaia di manifestanti ha dichiarato:«Non hanno vinto un concorso. È come avere una patente, per guidare ci vuole anche la macchina». Come mai, allora, lei l’abbia regalata ad altre migliaia, già assunte grazie al suo provvedimento, non è dato sapere. Difficile prevedere che altri sarebbe rimasti appiedati?
La metafora della macchina non casca a caso. Uno sprovveduto non commette un lapsus, ma dice una verità che non dovrebbe dire. La “Buona scuola”, che decine di emendamenti parlamentari e migliaia di scioperanti non riescono a cambiare, ha mutato pelle da quando la fondazione Agnelli ha mosso le proprie critiche. C’è sempre qualcuno che fa più paura di un popolo. Perché i popoli si sfaldano, o almeno così si crede, i poteri no – sono un dio sotto cui si può sempre trovare riparo.
Potremmo ricordare che il più grande, per molti versi, estimatore della borghesia ottocentesca fu Carlo Marx. Ma sarebbe come sopravvalutare una merce contraffatta. Diciamo, invece, che si tratta di miti. E il mito ormai è Marchionne.
Lascia un commento