lL 30 gennaio saremo in corteo a Catania, contro le mafie. Non in maniera generica, approssimativa, rituale, come dimostra l’appello del corteo, e nella consapevolezza che non sarà una sola iniziativa, una sola manifestazione né a sconfiggere la mafia né a lavare la coscienza.
Eppure questo corteo è un fatto nuovo, importante, costituente. Per la prima volta, dopo molti anni, fuori da commemorazioni o convegni, si porterà in strada la denuncia della presenza mafiosa nel territorio catanese. Non ci saranno in piazza solo i volti degli eroi dell’antimafia di altri luoghi. E i nomi dei mafiosi pronunciati con coraggio non saranno quelli che governano altre città o altri paesi.
Gli affari e le speculazioni denunciate non saranno quelle di trent’anni fa, i cui protagonisti sono morti, sono in carcere o troppo anziani.
Porteremo in piazza la realtà catanese, quella uscita dalle carte giudiziarie, dalle commissioni antimafia ma ancora di più dalle esperienze di socialità e mutualismo presenti nei quartieri più difficili della città. I nomi sono quelli dell’intreccio politico-affaristico di Mario Ciancio, Mimmo Costanzo, Virlinzi, dei consiglieri deferiti all’antimafia, dei consiglieri portatori di interessi clientelari, di Enzo Bianco. I nomi sono quelli dei capimafia che opprimono Catania, Mazzei, Santapaola, Ercolano, Cappello, Pillera, Puntina, i Cursoti, i loro traffici di armi, di droga, le estorsioni e poi gli investimenti per riciclare il denaro, la vita notturna, i ristoranti, le imprese, le infiltrazioni negli appalti, nella politica, nella pubblica amministrazione.
E sappiamo che sarà difficile. Il Sistema di potere che domina Catania, i suoi comitati d’affari sono al potere, indisturbati, da così tanti anni da sentirsi immuni, intoccabili. La mafia dei colletti bianchi a Catania è sempre stata coperta: brava gente, pulita, onesta. Stesse frequentazioni e stessi salotti dei signori delle Istituzioni. Figli nelle scuole migliori e impegno massimo nella legalità.
L’immagine del potere a Catania non è una bomba su un’autostrada fatta scoppiare per uccidere un giudice e la sua scorta, ma Mimmo Costanzo, amministratore delegato della Tecnis, azienda che si aggiudica tutti gli appalti pubblici più grandi in Sicilia e nel meridione, che siede accanto a giornalisti e paladini dell’antimafia nel foyer del Teatro Massimo, per parlare di legalità e lotta alla mafia, nel trentesimo anniversario dell’uccisione di Pippo Fava. Passeranno pochi mesi e Mimmo Costanzo sarà arrestato per corruzione, la Tecnis perderà la certificazione antimafia e centinaia di lavoratori saranno abbandonati senza stipendio.
E sappiamo che sarà difficile manifestare contro la mafia in una città in cui la povertà soffoca la dignità e legittima ogni entrata economica. Quando non hai cosa mangiare, quando non puoi dare risposte e futuro ai tuoi figli, quando vedi una città in cui i ricchi e le istituzioni ti lasciano ai margini allora le parole “legalità” e “antimafia” assumono nuovi significati e connotazioni. Spaccio di droga, vendita di armi, estorsioni, rapine entrano nella quotidianità di generazioni di ragazzini catanesi. Il carcere diventa una “palestra”, il boss diventa l’unica “istituzione” che ti fornisce il modo per vivere, il clan , la famiglia, diventa il punto di riferimento. E cosa volete che sia, in questo contesto, obbedire alla richiesta di un voto per qualche politico vicino al clan o che ne ha chiesto l’aiuto?
Eppure anche nella tragedia della povertà c’è chi riesce ad emanciparsi, a rifiutare il dominio mafioso, a scegliere la strada del rispetto dell’altro, della democrazia, dell’onestà, del ripudio della violenza. Umanamente non possiamo che essere dalla sua parte, rispettarne il coraggio e la forza. Ma chi agisce nella politica, chi si pone l’obiettivo di cambiare la realtà, di renderla più giusta, non può permettersi di guardare solo a chi ce la fa.
Abbiamo scelto una collocazione nella società: stare dalla parte degli ultimi, di chi resta indietro.
Un ragazzino di 14 anni, qualche mese fa, è stato sorpreso a rapinare una pompa di benzina ed è stato colpito alla testa da un proiettile. Noi non lottiamo perché questo piccolo rapinatore venga assicurato alla polizia. La nostra lotta e il nostro impegno sono perché nessun altro ragazzino di 14 anni, una sera d’estate, sia costretto a fare una rapina anziché inseguire un pallone.
“La mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari” scriveva Gesualdo Bufalino e noi siamo d’accordo. Nei quartieri in cui si vive in casermoni senza balconi con le fogne a cielo aperto, le scale pericolanti, i prati abbandonati il giorno dopo l’inaugurazione e gli ascensori che non funzionano. In questi quartieri servono scuole, servono centri di aggregazione, servono asili, centri dei servizi sociali, impianti sportivi gratuiti.
Nei quartieri della Catania Bene, nelle ville di San Gregorio e di Sant’Agata Li Battiati, della scogliera, negli attici dei corsi di Catania, la mafia si vince invece col coraggio. Il coraggio di mettersi contro la Catania che conta e possiede il potere. Il coraggio di denunciare le speculazioni edilizie, le operazioni imprenditoriali scellerate, gli intrecci con la politica e la pubblica amministrazione. Il coraggio di scoperchiare e portare alla luce il cerchio magico che governa Catania: è lì che girano i soldi, è lì che si riciclano i milioni di euro. Milioni accumulanti anche a pezzi da 10 o 50 euro, nelle piazze di San Cristoforo, San Giovanni Galermo o Librino, frutto della stecchetta di erba o di fumo, della pallina di coca, della pistola con la matricola abrasa venduta all’amico di quell’amico.
Milioni passati dalle mani di ragazzi che hanno abbandonato la scuola ma che si sentono più furbi, più “sperti” degli altri. Ma in realtà sono loro a farsi la galera, a vivere nel ghetto, nell’immondizia e nella fogna. Chi li comanda, senza muovere un dito, accumula milioni di euro, frequenta i migliori ristoranti e, chissà, va a cena pure con chi chiede legalità contro gli abusivi, contro le scritte sui muri, contro le macchine in doppia fila. Con chi si gloria nei convegni antimafia.
Sabato saremo in corteo per denunciare tutto questo. Per dimostrare che di fronte alla prova degli intrecci tra Ciancio e Bianco negli affari, di fronte alla prova delle infiltrazioni mafiose in Consiglio Comunale, la città non resta in silenzio. Per dimostrare che nella Catania che ha lasciato uccidere Pippo Fava ci sono associazioni, movimenti, donne e uomini che non lasciano da soli i giornalisti che hanno il coraggio di scrivere la verità.
Per dire, forte e chiaro, che questa amministrazione è ormai compromessa e non può più governare questa città. Per dire che questo Consiglio Comunale non è più titolato a prendere alcuna decisione dopo la relazione della Commissione Antimafia. Come si può lasciare che un Consiglio Comunale con pesanti indizi di infiltrazione mafiosa rediga il nuovo appalto per i rifiuti, il piano economico trentennale, gli affidamenti a privati, le varianti urbanistiche?
Saremo in piazza per chiedere lo scioglimento per mafia del Comune di Catania e delle Municipalità, forti di ciò che afferma la Direzione Antimafia; “lo strumento dello scioglimento delle Amministrazioni Comunali, strumento prevalentemente di natura amministrativa costituisce quindi un mezzo assai più agile della repressione penale, stante l’apparente liceità di molte delle condotte che le associazioni criminali possono mettere in atto per raggiungere i loro fini”.
Saremo in piazza mantenendo l’impegno, assunto il 5 gennaio al GAPA, di lavorare, insieme, per una Catania diversa, libera dalla mafia. Un impegno che continuerà dopo il corteo con una grande assemblea, l’11 febbraio a Palestra Lupo.
La mobilitazione di queste settimane e dei prossimi mesi non sappiamo se riuscirà a sconfiggere la mafia nella città di Catania ma siamo certi che impedirà alla mafia di continuare a comandare nel silenzio complice della città.
Catania Bene Comune
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