Politica&Personalità: De Felice Giuffrida, altri tempi, altre Altezze


Pubblicato il 09 Giugno 2016

(vignetta di Vincenzo Baiamonte)

Proponiamo un discorso del famoso personaggio della vita politica, sociale e culturale siciliana. Ad ognuno le proprie riflessioni. Chi lo difenderà dai paralleli…fuori parallelo?

Estratto del discorso di Giuseppe De Felice Giuffrida alla Camera sui rapporti tra potere politico e mafia

http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php?titolotesto=230dis

A me non spetta riprendere il discorso al punto in cui lo ha lasciato il mio amico Bissolati. Egli ha parlato del Governo che diminuisce, o nega, la libertà che, viceversa, concede alle associazioni criminose. Così rivendicherò all’Italia meridionale l’onore che l’onorevole Di Martino, Sindaco di Palermo, dice offeso da alcuni, e che l’onorevole Casale crede compromesso da altri.
L’Italia Meridionale, e la Sicilia specialmente, no, non sono regioni adatte allo sviluppo del delitto: sono piuttosto vittime di un’organizzazione politica ed economica che costringe alla formazione di azioni delittuose, volute, protette o fatte germogliare dal Governo.
Giacché si è parlato di camorra, di teppa e di altre associazioni a delinquere, io, discorrendo della Mafia, della quale in questo momento si occupa tutta l’Italia, debbo fare necessaria distinzione. E la distinzione è che mentre le altre associazioni a delinquere non sono formate che da bassi fondi sociali, dalla parte malata della società, la Mafia ha invece diversi strati che la formano e la alimentano. Lo stato più basso, che p il migliore, è quello che si raccoglie in mezzo al popolo, il quale teme e quasi sopporta l’influenza della Mafia. Sopra questo c’è uno strato assai temibile: la polizia. Viene poi l’ultimo stato: il borghese prepotente, il signore, il mafioso in guanti gialli.
In questa distinzione io scorso il motivo per il quale è stato possibile, in altre parti d’Italia, vincere parecchie delle associazioni a delinquere che vi si erano manifestate, e non è stato possibile vincere la Mafia in Sicilia. Non è stato possibile perché in Sicilia si è mirato, unicamente, in tutti i tempi, da tutti i governi, a colpire la parte più debole e meno responsabile. Mentre sono stati lasciati tranquilli, sicuri, potenti, coloro che l’alimentano e se ne servono: tranquilla la pubblica sicurezza, tranquilla la borghesi prepotente nei cui palassi si raccoglie la Mafia.
Avete cominciato col proporre in meno di sei mesi, nella sola provincia di Palermo, circa diecimila ammonizioni. Avete tentato nuovi mezzi, leggi restrittive, violenze; avete avuto dalla Camera leggi eccezionali; avete abusato di tutte le legge, anche di quelle già eccezionali; ma il risultato è sempre stato lo stesso: negativo.
Lo vedete? Il processo Notarbartolo insegna!
Guardate il contadino, quello delle due o tre province colpite dalla Mafia. Egli non ha tendenze veramente criminose, ma è costretto dalla Mafia perché non è protetto dalle leggi.
Diventa perciò una necessità per questo disgraziato, specialmente se perduto nel centro dell’isola, chinare il capo e subire le violenze del nuovo padrone. Invece il giorno in cui egli può far mostra di una certa potenza criminosa, può commettere un paio di delitti, entrare tranquillo in carcere se arrestato, uscirne impunito per la protezione del padrone mafioso o del deputato non meno mafioso, quel giorno, dicevo, egli diviene una forza, è maggiormente rispettato ed è assunto a compiere uffici meglio retribuiti. Immediatamente, il povero colono diviene campiere a stipendio fisso, segue il padrone nelle sue escursioni… protegge il deputato nelle sue elezioni…
Non è l’ambiente in cui lo costringete a vivere, che di un uomo onesto ha fatto un delinquente? Nessuno pul asserire, o signori, che il contadino siciliano si ascriva alla Mafia perché ha tendenze criminose. Tutt’altro! Io l’ho veduto questo contadino molto da vicino e l’ho apprezzato quando voi l’avete condannato.
Gran parte dei moti della Sicilia, la guerra ai cappeddi, cioè ai signori, non ha altra origine che la prepotenza contro la quale, quando può, il contadino si ribella. […]
Io vorrei chiedere ai siciliani che fanno parte della Camera, specialmente a quelli della provincia di Palermo e di Girgenti: quando, a danno vostro o di vostri si commette un furto in Sicilia, vi rivolgete voi, vi siete rivolti voi mai alla pubblica sicurezza? E, nel caso che vi siate rivolti qualche volta alla polizia, avete mai avuto la fortuna di rintracciare il reo e di recuperare la cosa rubata? […]
Ecco perché questa istituzione non è la vergogna dell’isola, ma è la vergogna vostra che la mantenete.
Il secondo strato, che costituisce la formazione di associazione criminosa, è la polizia. Di essa l’onorevole Bonfandini, che non era sospetto […] scrive così: “La Mafia ufficiale esisteva sotto i Borboni e il governo italiano non ha fatto nulla per distruggerla: al contrario, la Mafia ufficiale ha reso la polizia estremamente odiosa alla popolazione onesta che vede in essa un’associazione di malfattori protetta dal Governo.”


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