di iena assonnata marco benanti Preso dalle sue quotidiane “direttrici di vita” (il libretto degli assegni e il santino di Sant’Agata) il catanese”sperto” forse non vede alcune cose. Alcune cose evidenti, palesi, e anche un po’ ridicole. Quelle che accadono a Palazzo e nell’amministrazione pubblica. Malgrado la “visione onirica-mediatica”, Catania continua ad essere una “città […]
Poliziotti da ricordare, Ninni Cassarà
Pubblicato il 08 Agosto 2020
Ninni Cassarà, nacque a Palermo nel 1947 e fu vice-questore aggiunto e vice-capo della Squadra Mobile di Palermo a capo della sezione investigativa. Scelse la polizia a 25 anni,rinunciando all’ultimo alla carriera da magistrato. Cassarà andò a dirigere giovanissimo la Squadra Mobile di Trapani a 28 anni e si distinse immediatamente per il suo dinamismo e per la sua intelligenza investigativa nel contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa . Nel 1980 fu protagonista di una clamorosa perquisizione nel circolo Concordia della Trapani “bene” e l’allora questore Giuseppe Aiello per “ premio” lo rimosse dalla guida della Squadra Mobile su pressione dei notabili locali.
Cassarà fu a Palermo, dove, dopo un breve periodo alla Squadra omicidi,fu assegnato subito alla sezione investigativa, su impulso dell’allora capo della Squadra Mobile, Ignazio D’Antone. Cassarà trasformò la sezione in un ufficio che si occupava solamente di mafia, poi,iniziò a scegliere personalmente gli uomini che ne avrebbero dovuto far parte. Gli investigatori non furono forniti di mezzi e le auto vennero spesso fornite da parenti e amici. Cassarà, spesso si fece prestare la 127 di suo padre in modo da girare senza pericolo nelle zone di Palermo alla ricerca di latitanti. Francesco Accordino della sezione omicidi, mimetizzava le auto, con targhe di auto mandate al macero. Il metodo di lavoro che impose fu davvero innovativo per l’epoca e, infatti, ogni squadra avrebbe indagato autonomamente secondo gli incarichi ricevuti, ma tutto sarebbe stato condiviso con le altre squadre.
Si fecero delle riunioni mattutine in cui ciascuna squadra riferiva delle indagini del giorno precedente e si facevano circolare tutte le informazioni di cui si veniva in possesso fino al minimo particolare. Nulla venne tralasciato al caso e tutti gli indizi anche quelle più irrilevanti vennero seguiti nelle indagini. Dopo l’omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa giunse alla Squadra Mobile di Palermo Beppe Montana, che a Catania ,aveva arrestato alcuni pericolosi boss, e ,cosi, tra i due investigatori si stabilì una forte intesa umana e professionale. Montana sulla base della sua esperienza, fu subito convinto che i mafiosi latitanti non lasciassero mai il territorio di appartenenza. Si decise di creare una “Squadra Catturandi”, scegliendo in modo accurato gli uomini che ne avrebbero fatto parte e in questo contesto fu inserito nella suddetta squadra Roberto Antiochia. La Catturandi costituì la sesta sezione della questura di Palermo ,mentre la quinta era l’Investigativa. Gli uffici di Cassarà e Montana furono quasi vicini e questo contribuì a sviluppare una grande e intensa collaborazione tra le due sezioni. Si crearono anche solidi rapporti con il Nucleo Operativo dei Carabinieri, la sezione anticrimine guidata da Angiolo Pellegrini e,infine,con l’ufficio istruzione guidato prima da Rocco Chinnici e poi da Antonino Caponnetto.
Cassarà ebbe già modo di conoscere Giovanni Falcone a Trapani e fu al suo fianco nell’indagine Pizza Connection, che svelò l’enome traffico di stupefacenti tra gli USA e la Sicilia. In tali operazione furono arrestati diversi boss italo-americani e mafiosi siciliani. Cassarà scrisse con Angiolo Pellegrini il famoso rapporto “Michele Greco + 161”, che poi fecero dattiloscrivere da un agente, dato che da Roma non arrivavano i computer richiesti per l’immane lavoro, che durò 44 notti.
Cassarà si rassegnò all’idea di non ricevere aiuti e supporti e finì per chiedere a colleghi e cronisti di sottoscrivere una carta di credito della Diners, la quale ogni dieci iscritti regalava un computer, il primo dei quali arrivò ai primi di agosto del 1985 ,proprio qualche giorno prima del 6 agosto del 1985 quando Cassarà venne ucciso. Al processo di Caltanissetta per la morte di Rocco Chinnici, inoltre, ebbe modo di confermare, e lo stesso fece Angiolo Pellegrini la circostanza,che il capo dell’Ufficio Istruzione stesse per emettere dei mandati di cattura nei confronti dei cugini Salvo.
L’amico e collega Montana riportò notevoli successi investigativi che segnarono la sua condanna a morte e la sera di domenica 28 luglio 1985, fu freddato da quattro colpi in faccia sparati con proiettili ad espansione a Porticello, frazione marina del comune di Santa Flavia, in provincia di Palermo. Si scatenò una rabbia nei poliziotti e la scarsa lucidità portò a consumare un’altra tragedia. Un testimone vide una Peugeot 205 azzurra usata dai killer, che risultò poi essere intestata al calciatore del Pro Bagheria Salvatore Marino. Durante la perquisizione del suddetto gli agenti ritrovarono 34 milioni di lire in contanti e il Marino affermò che erano stati dati dalla sua squadra, mentre,invece, i dirigenti della squadra smentirono la la circostanza. Il calciatore si presentò con il proprio avvocato in Questura, andando però alla sezione anti-rapine e là, nel tentativo di estorcergli informazioni, venne torturato e non sopravvisse all’interrogatorio.
Sull’onda dell’indignazione popolare l’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro sollevò dall’incarico con apposito decreto il capo della Squadra Mobile Francesco Pellegrino, il Capitano dei Carabinieri Gennaro Scala e il dirigente della sezione antirapine Giuseppe Russo.
Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Montana, Cassarà fu lasciato solo. Dopo due giorni l’omicidio di Montana, Cassarà annunciò l’arrivo da Roma di Antiochia e disse che avrebbe potuto contribuire alle indagini sulla morte di Montana, poiché lo stesso Antiochia conosceva le ipotesi investigative di Montana. Ma nessuno affidò delle indagini al giovane agente e Cassarà prese consapevolezza di essere “un morto che cammina”. In quei giorni molti agenti andarono in ferie, mentre Antiochia decise di rimanere a Palermo per scortarlo, nonostante non si trovasse in servizio. Si presero mille precauzioni per uscire sempre ad orari diversi dalla Questura e per il rientro a casa con cenni da parte della moglie per dare via libera senza che ci fossero figure sospette sulla strada. Nonostante tutto ciò quel 6 agosto 1985 Cosa Nostra fece preparò tutto alla perfezione e i feroci killer si erano appostati alle finestre del palazzo di fronte. Verso le 15.30, l’Alfetta bianca blindata arrivò al civico 77 di via Croce Rossa, si scatenò il fuoco degli uomini di cosa nostra che spararono oltre 200 i colpi di kalashnikov. Natale Mondo, si salvò gettandosi sotto l’auto, mentre Giovanni Salvatore Lercara, 25 anni, riuscì a salvarsi solo perché scivolando batté la testa contro il gradino del portone. Roberto Antiochia invece fu invece ucciso e venne messa tacere una mente brillante utile alle indagini sulla morte di Montana. Il ministro Scafato venne duramente contestato ai funerali.
La protesta per l’inerzia dello Stato si estese a tutto il Paese e ad Agrigento il personale della questura si auto-consegnò in blocco, a Roma 700 agenti rifiutarono il rancio per due giorni, mentre a Palermo 200 agenti chiesero il trasferimento. Il Ministero degli Interni inviò così 800 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri per la lotta alla mafia in Sicilia e la questura di Palermo venne riorganizzata con la fusione della Mobile con le volanti.
Secondo le indagini che fece Giovanni Falcone anche per i successivi accertamenti in sede giudiziaria, Cassarà fu tradita da una o più “talpe” della questura che seppero in anticipo l’ora della sua partenza di un agguato , comunque ,preparato da mesi. Nel 1989 iniziò il processo “Michele Greco + 32”, delle indagini sulla morte di Montana, Cassarà e Antiochia. Fu emessa una sentenza di primo grado nel 1995 che condannò i principali esponenti della Commissione (Greco, Riina, Provenzano, Brusca, Madonia) all’ergastolo in qualità di mandanti, con sentenza poi confermata nel 1998 dalla Cassazione. Ninni Cassarà e Beppe Montana, insieme a Roberto Antiochia, furono legati nell’orribile sorte e i mafiosi sicuramente nel loro compito omicida furono agevolati da traditori di questi valorosi poliziotti.
Rosario Sorace.
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