Processo Appello “Garibaldi”: nell’indifferenza di una città l’avv. Cicero ricorda cosa accadde nello studio di Mario Ciancio…

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“La posizione della notizia sulle testatine del giornale la decido io”….Cantava Edoardo Bennato, in “Mangiafuoco” (nella foto): ” Non si scherza, non è un gioco sta arrivando Mangiafuocolui comanda e muove i fili fa ballare i burattini. State attenti tutti quanti non fa tanti complimenti chi non balla, o balla male lui lo manda all’ospedale. Ma se scopre che tu i fili non ce l’hai se si accorge che tu il ballo non lo fai allora sono guai – e te ne accorgerai attento a quel che fai – attento ragazzo che chiama i suoi gendarmi e ti dichiara pazzo!… “

di iena giudiziaria Marco Benanti

“Il dott. Mario Ciancio (nella foto in alto, ndr) mise una mano sulla spalla all’ing. Ursino e disse a noi di fare le cose bene, perché se le cose fossero andate male la scelta della posizione della notizia sulle testatine sul giornale l’avrebbe fatta lui”. In un’aula deserta di giornalisti e di società civile, l’avv. Giuseppe Cicero (nella foto in basso, ndr) ha raccontato un episodio di quella domenica di settembre, il 28 del 1997, a due giorni dall’aggiudicazione dell’appalto del “Garibaldi”, nello studio del direttore-editore de “La Sicilia” di Catania, al viale Odorico da Pordenone. Un fatto inedito, venuto fuori stamane.

Lo scenario è quello del processo di secondo grado –davanti ai giudici della prima sezione della Corte d’Appello (Presidente Ignazio Santangelo, a latere Giuttari e Muscarella), Pg Michelangelo Patanè- per lo “scandalo Garibaldi”, giunta ormai alle ultime battute (prossima udienza il 10 ottobre, poi probabilmente, entro fine ottobre, la sentenza). Un processo divenuto “fantasma”: non ne parla nessuno, nulla sulla stampa seria, nulla fra la “gente perbene” di Catania, che s’indigna – a modo suo- per tante altre cose.

Niente, invece, di fronte ad un processo dove gli “abissi” di malaffare e di spregiudicatezza di una “città mostro” come Catania vengono fuori. Eccome. Anche per chi non li vuole vedere.Oggi, nel “processo innominabile”, dopo gli interventi delle Difese degli imputati Mangione e Romagnoli, ha preso la parola l’avv. Cicero. In primo grado, avendo rinunciato, prima della sentenza di primo grado (13 aprile 2007) alla prescrizione, è stato condannato per turbativa d’asta (e assolto dalle altre accuse mossegli dalla Procura della Repubblica di Catania).Con le sue dichiarazioni spontanee, il legale, difeso dall’avvocato Antonio Fiumefreddo, ha confermato e integrato un quadro d’insieme che fa rabbrividire. Un quadro dove emergono personaggi e fatti che dovrebbero essere approfonditi. Personaggii che nell’inchiesta della magistratura catanese non compaiono mai come indagati.Eccoli i Poteri Forti di una città che “ingioia” tutto, presa al massimo dallo “scontro” fra fazioni e interessi di pagnotta, mascherati di moralità e ideali. E s’ “ingoia” tutto, soprattutto la verità.Come nel “Garibaldi”, l’ospedale, l’affare miliardario, l’intreccio di Poteri. Della politica, dell’imprenditoria, della mafia. E cosa ha raccontato l’avv. Cicero? Una domenica di settembre, il 28, del 1997 Cicero viene invitato con l’ing. Ignazio Sciortino nello studio dell’ing. Giuseppe Ursino, “braccio destro” di Mario Ciancio. Tutti e tre sono componenti della commissione delle anomalie, la commissione che con una firma dovrà decidere a chi andrà l’appalto dell’ospedale. Cicero e Sciortino non vogliono – e non firmeranno mai, nemmeno postuma- la declaratoria di “anomalia” della “Fratelli Costanzo”, da tempo in “Legge Prodi”. Facendolo, favorirebbero la “Cgp” di Giulio Romagnoli. E allora su di loro arriva di tutto. Pressioni su pressioni. Si arriva a questa domenica. Racconta Cicero: nello studio di Ursino spunta anche Franco Mazzone, capo settore tecnico dell’azienda ospedaliera e presidente della commissione aggiudicatrice della gara dell’appalto del “Garibaldi”. Tutto normale?Si discute dell’anomalia della “Costanzo”. Poi, la riunione finisce nello studio dell’editore Mario Ciancio. Che –nel racconto di Cicero- chiede lumi agli ingegneri del loro incontro. Non si parla –precisa Cicero- dell’anomalia della “Costanzo”, del fatto tecnico della riunione, ma è anche vero che Ciancio fa quella battuta riportato in testa a quest’articolo. Quando esce dall’incontro –racconta Cicero- l’ing. Sciortino è turbato. Il Potere si fa sentire? Cicero, invece, ha in mano un libro della “Domenico Sanfilippo Editore” (“Rinascita di una città”).Stamattina, quel libro Cicero, dopo aver citato alcuni capitoli interessati del libro -tipo “Gestione dello spazio e del Potere”– lo ha consegnato ai giudici. Il Presidente Santangelo lo ha invitato a riprenderselo. L’avvocato Fiumefreddo ha parlato di “corpo del reato” da consegnare alla magistratura. Sono state depositati anche altri atti, intercettazioni e documentazione corposa dove la figura di Mario Ciancio emerge. Con nettezza. E con un ruolo non di secondo piano. Ma sarà la giustizia, purtroppo questa giustizia, a valutare.Da parte sua l’avv. Cicero ha parlato in modo chiaro e le sue non sono sembrate le normali parole di difesa di un imputato. No, c’è dell’altro. E’ una ricostruzione razionale, che smonta una condanna assurda. La sua. Ma non solo: getta ombre non da poco sulla conduzione generale dell’inchiesta della Procura. “La sentenza di primo grado è scervellata. Questa inchiesta è stata inquinata”– dice ai giudici Cicero. Ricorda, fra l’altro, il caso della bobina scomparsa e poi ricomparsa, ma senza un passaggio –smagnetizzato- in cui si dicevano parole a suo discarico, si parlava del suo atteggiamento non sintonico con il contesto affaristico. Dal processo scompare, perché non ammessa dal giudice di primo grado, una telefonata in cui si chiamano in causa protagonisti dell’affare. E tanto altro. Non a caso, secondo la Difesa di Cicero Catania non è città in cui ci siano le condizioni di serenità per questo giudizio. Ma la Cassazione ha respinto la richiesta.E Cicero, nelle sue dichiarazioni di stamane, attacca il “dominus” dell’Accusa: il Pm Nicolò Marino. Critica aspramente i suoi metodi d’indagine. “Ha inquinato l’inchiesta, il dott. Marino. L’ho invitato anche ad un confronto pubblico, ma senza riscontro.” (al cronista dirà poi, alla fine dell’udienza: “Marino mi quereli. Voglio vedere se lo farà. Si deve andare fino in fondo a questa vicenda”. Una presa di posizione che non vuole essere assolutamente una sfida- ci pare- ma l’ennesima richiesta di verità, fino in fondo).Carte alla mano, fra cui uno schema -con le imprese e le offerte- che offre in visione ai giudici e al Pm, Cicero spiega che non ha commesso alcun reato. Non ha firmato l’anomalia “Costanzo” né prima del 30 settembre 1997 (giorno dell’aggiudicazione dell’appalto), né dopo, postuma. Nel primo caso avrebbe favorito l’imprenditore Randazzo, nell’altro Romagnoli. Invece, niente. E lo stesso è stato condannato!E anche quando ci sono documenti che provano la corretezza del suo operato, la sua “distanza” dall’ing. Ursino, vengono interpretati “in malam partem” (insomma, secondo un’intenzione doppia, malevola).“Se –spiega Cicero– avessi voluto favorire qualcuno –come prospetta l’Accusa- avrei avuto 18 giorni per firmare l’anomalia pro Randazzo. E dopo, di fronte alle insistenze e alle pressioni provenienti da più fronti, avrei potuto fare altrimenti per Romagnoli. Invece, niente.” Eppure, Cicero conferma le pressioni ricevute per firmare. “Il primo ottobre chiamato da Sciortino vengo convocato al Genio Civile di Catania (dove lavorava Sciortino, ndr). Arriva l’ing. Ursino con la declaratoria –edulcorata- di anomalia della Costanzo. Niente non firmiamo né io né l’ing. Sciortino.” E che succede? “Dalle indagini –in particolare dalla consulenza Genchi- viene fuori che Ursino chiama il numero di Firrarello (il senatore Pino Firrarello, imputato, condannato in primo grado, ndr).”Ma non solo: il quadro diventa inquietante. “Dalla perizia Genchi –dice Cicero– viene fuori che, quel giorno, a Roma, in una sorta di triangolo del centro storico, si trovano quel giorno tre antenne: quelle di Ursino, quella di Firrarello e una in uso alla Federazione italiani Editori Giornali (Ciancio era Presidente della Fieg, ndr).” Chissà che sarà accaduto…

Del resto, racconta Cicero, quando conosco Firrarello (nella foto sotto) ho elementi per dire che è una persona al di sopra di ogni sospetto.

E ricorda un primo maggio degli anni Ottanta, in una tenuta di campagna di Firrarello. Presente, come ospite, tutto o quasi l’ufficio di Procura di Catania!

E ancora: ricorda il legale che con un parere dello studio Seminara la “Gepco” di Randazzo risale le posizioni fra le imprese partecipanti all’appalto e finisce in condizione utile, in gergo “appena sotto il livello della soglia di anomalia”. Lo studio Seminara è parte civile nel processo per il “Garibaldi”.Non solo: il giorno dopo quegli eventi, il 2 ottobre –e non il 21 come riportato nella sentenza di primo grado- si tiene un incontro politico-imprenditoriale, con Giuseppe Castiglione(assolto), Pino Firrarello, Vincenzo Randazzo, Giulio Romagnoli, all’ “Hotel Nazionale”. Certo, se la data viene riportata –in modo errato- al 21 la valenza di questo incontro scema. Diventa impalpabile. Se, invece, com’è andata veramente, l’incontro è del 2 ottobre, le cose cambiano. L’attività di condizionamento dell’appalto –precisa Cicero- è ancora in atto. Per questo –continua l’avvocato- la sentenza di primo grado è scervellata. Come una persona senza testa, una sentenza senza data. Anche questo è Catania. Per il resto, prevarrà l’indifferenza o la verità? Vedremo. Noi ci saremo.

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Redazione Iene Siciliane

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