Interviste

Qualcosa di Sinistra, intervista ad Otello Marilli: dall’Etna al Piemonte, con nuovi successi. E da lì come si vede Catania, l’Università, le Regionali….

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A Catania è stato impegnato a lungo, in politica a sinistra e nell’Università. Poi, il distacco fisico, a Novi, in provincia di Alessandria. Con nuove esperienze e riconoscimenti in serie. Otello Marilli, segretario del Pd di Alessandria, come vede la Sicilia e Catania? Ma intanto cos’è successo dalle sue parti?

Otello Marilli, ad Alessandria vince il centrosinistra, a Novi, in provincia, cade l’amministrazione leghista. Ci spieghi il senso di queste novità?

Innanzitutto grazie per permettermi di raccontare queste esperienze: non voglio in alcun modo essere trionfalista, tuttavia gli ultimi anni di impegno hanno dato dei frutti. Ad Alessandria abbiamo riconquistato il comune attraverso una candidatura, quella di Giorgio Abonante, che ha saputo incarnare un forte rinnovamento senza “rottamare” nessuno e il risultato del PD come primo partito è l’esito di un lavoro complessivo di tutto il gruppo dirigente territoriale e provinciale. Inoltre, abbiamo costruito una coalizione larga che comprendeva il Movimento 5Stelle, i Moderati, i Verdi e forze civiche attorno ad un programma che parlava dei prossimi 10 anni. A Novi siamo riusciti a far cadere con 2 anni di anticipo la giunta leghista, anche in questo caso è stato necessario accompagnare al lavoro di costruzione delle relazioni politiche con le altre forze in consiglio, un’azione sulla città di proposta e attenzione alle fragilità vecchie e nuove. Probabilmente un elemento decisivo è stato nella reazione alla prima ondata della pandemia: abbiamo presentato un piano per la ripartenza della città basato su interventi che sterilizzassero aumenti dei tributi locali e che salvaguardassero la tenuta e la qualità dei servizi, con la crisi legata al conflitto in Ucraina sarà ancora più necessario muoversi in questa direzione. Lo spazio a disposizione non è molto, ma la questione si può riassumere in queste due battute: non esistono vittorie individuali, ma di gruppi dirigenti credibili e coesi; si vince se si ha il coraggio di provare a costruire qualcosa di nuovo e al contempo affrontare la questione sociale accantonando le ricette neoliberiste che hanno spopolato troppo a lungo anche nel nostro campo.

Tu vieni da una lunga esperienza politica a Catania, in particolare nella sinistra catanese, quali eventuali differenze (se ve ne sono) hai notato nel contesto piemontese dove operi da tempo? Sono passati 9 anni da quando sono arrivato in Piemonte, è indiscutibile che ci siano differenze di tessuto sociale e di storia produttiva; però ci sono anche delle somiglianze come a Catania anche nel basso Piemonte bisogna affrontare la transizione del proprio tradizionale volano di sviluppo, qui quello operaio. La sinistra ha faticato negli ultimi anni a interpretare questa transizione perdendo radicamento a Nord come a Sud, aderendo a “ricette” neoliberiste che ne hanno minato l’identità, la riconoscibilità: qui abbiamo ricominciato ad usare parole chiare, su tutte “lavoro”, abbiamo rivendicato le nostre radici valoriali, antifascismo in primis, siamo stati vicini ai lavoratori nelle crisi industriali, abbiamo posto tra le priorità la salvaguardia della dimensione pubblica del ssn. Parlando di una dimensione più di Partito, ciò che mi ha colpito sin dall’inizio è stata la presenza di un dibattito interno, alle volte molto aspro, ma fortemente imperniato sulle contrapposizioni ideali più che sulla scalabilità interna a suon di tessere. Ho vissuto qui gli anni del partito renziano, non ho controprove ovviamente, ma credo che siano stati molto diversi tra Catania e Alessandria: intendiamoci, il cambio di pelle rispetto al PD bersaniano credo che ci sia stato in modo uguale, le forme che ha assunto sono state diverse.

E’ vero che tu potresti essere indicato come esempio dei guasti della gestione familista della sinistra catanese? E’ una spiegazione semplicistica-vittimista oppure ha un fondo di verità? Non penso di essere esempio né vittima di alcunché, in questi giorni ho ricevuto molti messaggi di stima anche dalla Sicilia e non nego che mi abbiano fatto piacere. Nel mio agire politico ho sempre preteso autonomia, di essere libero nelle scelte: talvolta ho fatto bene, altre ho sbagliato. Credo di essere la stessa persona che è partita anni fa nei valori, nel modo di vedere il mondo, nel modo di fare politica. A Catania, dovremmo avere il coraggio di andare oltre, oltre le polemiche, oltre il passato, c’è bisogno di cominciare a guardare avanti: non è una questione di slogan, ma di voltare pagina e dare una speranza alla città: penso che nel PD catanese, nel suo gruppo dirigente, ci sia questa consapevolezza e gli auguro di riuscire realizzarla

Che ricordi hai dell’Università di Catania, dove tu hai lavorato a lungo? Come giudichi gli scandali emersi in questi anni? Gli anni di lavoro all’Università sono un pezzo della mia vita, prezioso, importante: forse ero troppo giovane per comprendere al meglio tutte le dinamiche. Non ho rimpianti, faccio un lavoro bellissimo, quando posso scrivo ancora dei temi di cui mi occupavo quando facevo ricerca. Quanto agli scandali, ci sono delle inchieste di cui ho letto: il mio augurio è che l’ateneo sappia venirne fuori con una credibilità rafforzata. L’Università è un pilastro per Catania, se va in crisi in un contesto già drammatico per la città ci sarà un appiglio in meno per poter uscire dal baratro in cui mi pare che ci si trovi, non credo che ce lo si possa permettere.

Vista a distanza come vedi Catania e la sua politica? Catania la vedo attraverso il filtro dei giornali on line, delle pagine dei social, del racconto di amici e parenti: ovviamente non può essere come viverla nella quotidianità. L’immagine che ho è di una città priva di aspettative, di una guida, di una speranza o di una visione che le possa permettere di scrollarsi dalla china di mediocrità e ignavia su cui si è adagiata. Senza retorica, ma Catania sembra accontentarsi di tirare a campare: la politica ha senso se decide di prendere decisioni, sciogliere i nodi e io ne vedo due enormi. Il primo è legato alla partecipazione: alle elezioni va a votare sempre meno gente perché la politica ha perso credibilità, viene intesa come incapace di risolvere i problemi della quotidianità dei cittadini, distante, una sorta di mondo a sé. Se questa tendenza non viene invertita oltre ad una delegittimazione delle istituzioni sempre meno rappresentative della società reale, il voto rischia di essere derubricato a bene di scambio. Il secondo: dopo due anni di pandemia, lo scoppio della guerra con evidenti ripercussioni sull’economia e su un territorio fragile come quello catanese (non solo quello cittadino, ma tutta l’area metropolitana) le disuguaglianze sono cresciute sempre di più; occorre, allora, non perdere l’occasione dei fondi del PNRR, perché i soldi agli enti locali, in controtendenza rispetto al rigore degli ultimi decenni, che possono servire alla realizzazione di un nuovo welfare e nuove forme di protezione sociale, sono legati alla capacità di progettazione e di visione che la politica deve mettere in campo: anche da questo passa un cambio di rotta sulla vivibilità e la civiltà della città.

Cosa dovrebbe fare la sinistra catanese per tornare ad avere un ruolo? Innanzitutto credo che esista un gruppo dirigente che sta lavorando per questo e non sono certamente nelle condizioni per suggerire ricette particolari. Dal mio osservatorio esterno, mi permetto di articolare una piccola riflessione: nell’alessandrino abbiamo scelto di aprire il partito alle relazioni con il civismo, con le altre forze politiche e sociali; stiamo cercando di costruire un gruppo dirigente nuovo che possa guidare il partito dopo il mio mandato (non ho intenzione di farne più di uno); abbiamo analizzato come la destra abbia impostato il governo del territorio per non ripetere gli errori passati. In una battuta, stiamo uscendo dalla autoreferenzialità in cui eravamo caduti e ci si riesce battendo il territorio, aggradendo le questioni materiali: per esempio, venendo a Catania , rispetto all’emergenza rifiuti che sta travolgendo la città occorre avere il coraggio di dire che il ciclo di smaltimento di rifiuti non può essere derubricato esclusivamente al pur importante decoro urbano, ma è soprattutto uno dei tasselli per costruire una dinamica di sviluppo sostenibile nell’ambito dell’economia circolare. Ricordo che uno dei mantra che ci ripetiamo è “ripartiamo dalle periferie” ovviamente era ed è giusto ma non spiega e non interpreta la situazione attuale. Credo, invece, che dovremmo cominciare a mettere a fuoco il tema delle marginalità e delle fragilità che investono la città e che non sono circoscritte alle sole zone periferiche ma che stanno travolgendo trasversalmente tutto e tutti. A giudicare da ciò che si legge e che si vede l’egoismo è cresciuto, ognuno va per sé e complessivamente è cresciuta la povertà; non si vede quale sia la vocazione della città né si percepisce alcuna visione, ma sono sicuro che ci sia una maggioranza di catanesi che non si rassegna che cerca qualcuno che la coinvolga che le dia la speranza di poter cambiare: per citare Guccini, non possiamo “dire cose vecchie con il vestito nuovo”.

Sia chiaro, non c’è alcuna critica nelle mie parole; al massimo un invito ad avere più coraggio, a chiamare all’impegno la parte migliore della città quella che non è semplicemente stufa della “munnizza”, ma che vorrebbe una Catania meno ripiegata su se stessa, meno egoista, non rassegnata, capace di essere all’altezza del cambiamento che merita e credo che sia anche l’ultima occasione, a sinistra, per una generazione tra i 35 e i 50 anni di prendere le redini di questa città. Penso che questa generazione sinora sia mancata, che sia rimasta troppo a lungo in terza o quarta fila.

In vista delle Regionali cosa auspichi? Spero che vinca le elezioni Caterina Chinnici e che non sprechi l’occasione di governare l’Isola riuscendo a limitare le ingerenze delle consorterie e gli assalti alla diligenza: errare è umano, perseverare diabolico…

Pensi che la sua esperienza catanese sia definitivamente chiusa? Sarò per sempre isolano e catanese, sono le radici forti che tengono in piedi l’albero: oggi sto bene dove sono e non penso a ritrasferirmi a Catania nel breve o nel medio periodo. Nel lungo periodo come diceva Keynes inutile fare previsioni.

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Benanti

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