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Quando c’era la Sinistra: la conquista della scuola media unificata. Grazie ai Socialisti (e non ai comunisti)
Pubblicato il 06 Ottobre 2020
(nella foto Tristano Codignola)
Alla fine del 1962 venne approvata dalla maggioranza di centrosinistra la legge n. 1859, che istituì la scuola media unificata, che in tan modo applicò un precetto della Costituzione Repubblicana prevedendo otto anni di scuola gratuita e obbligatoria per tutti. Fu un provvedimento legislativo di rilevante importanza quello dell’istituzione della scuola media unica, che, insieme alla statalizzazione dell’energia elettrica, fu posta nel programma di riforme che consentì l’appoggio al governo da parte del Partito Socialista Italiano e, così, iniziò la stagione di collaborazione ai governi con la Dc. Si superò definitivamente l’opposizione del frontismo delle sinistre (Pci e Psi) iniziata dopo il 1948 e il Psi si differenziò dalle posizioni dei comunisti già iniziata sin dal 1956 dopo l’invasione sovietica di Budapest.
Nell’anno scolastico successivo, il 1963/64, quindi, le nuove scuole medie si aprirono a ben 600 mila ragazzi e ragazze, figli di operai, contadini, artigiani, piccoli commercianti e braccianti, che fino ad allora non andavano oltre la quinta elementare o l’«avviamento professionale» in base alle norme stabilite nel lontano 1928. Da allora in poi con questa grande riforma già nell’autunno del 1963 le famiglie italiane non ebbero più un destino scolastico già segnato e entrarono a scuola studiando Italiano, Matematica, Storia, Geografia, Scienze, Arte, Inglese o Francese, Ginnastica, Musica. Naturalmente ebbero anche le porte aperte all’accesso agli studi superiori. Inoltre era reso obbligatorio almeno un anno di latino e lo studio di questa materia divenne oggetto, comunque, di una dura polemica politica.
Questa fu una delle più importanti riforme per l’epoca poiché sancì un principio costituzionale di eguaglianza sostanziale anche se oggi pare ritornato in auge un dibattito stimolante e fervido sui limiti della nostra scuola media. Gli effetti di questo provvedimento legislativo stimolò lo sviluppo economico e spinge al progresso la società. In dieci anni i quattordicenni in possesso di licenza media aumentò dal 46,8% all’82,3%. Cosicchè una vasta schiera di giovani entrarono nei licei e, soprattutto, nelle scuole tecniche e professionali con più solidi fondamenti culturali e si potenziò il la relazione tra sapere e lavoro, contribuendo alla trasformazione della vita civile e alla modernizzazione dell’agricoltura, di ogni settore manifatturiero e dei servizi pubblici.
Inoltre vi fu una crescita degli investimenti per l’edilizia scolastica e si procedette all’ammodernamento di migliaia di scuole, mettendo in moto un aumento della spesa pubblica che aumentò i livelli occupazionali e una crescita dei redditi in un processo virtuoso davvero straordinario. Non furono interessati a conseguire il titolo solo i bambini e ragazzi ma anche gli adulti, persino gli anziani, il quali in precedenza non avevano raggiunto le conoscenze più basilari e fu appunto un’onda lunga di vasti settori sociali protesi all’approdo del raggiungimento almeno della licenza elementare.
Ci furono bambini e bambine che vennero dalle campagne e dai quartieri poveri che furono finalmente mandati alle elementari. Si riempirono le scuole serali per giovani e adulti non alfabetizzati e la Rai ampliò i suoi programmi per imparare con trasmissioni celebri quali «non è mai troppo tardi» del Maestro Manzi.
Il fatto di non sapere leggere e scrivere, oppure di saper fare i conti , passò dal 13% del 1951 percentuali che finalmente furono in linea con i livelli del resto d’Europa.
La vicenda politica dell’approvazione mostrò però con chiarezza differenze politiche dei partiti che non furono dettate certamente dal merito altamente positivo del provvedimento. Nonostante che questa riforma fu fortemente innovativa e che puntò ad aprire scuola alla società, superando anche conservatorismi interni, votarono a favore della scuola media unica socialisti, socialdemocratici, democristiani, repubblicani. Mentre ci furono motivazioni di voto che apparvero sorprendenti che videro insieme contro tutte le destre: monarchici, missini, liberali e anche se, con motivazioni opposte e speculari, il Partito Comunista Italiano.
La destra si schierò compatta contro ogni messa in discussione di una scuola legata ai rigidi schemi del passato e contro un’istruzione che comprende le discipline del sapere universale. Le destre auspicarono ancora una scuola che perpetuasse il sistema di una scuola necessaria per comandare e guadagnare bene divisa da quella per le classi popolari, che doveva essere limitata nel tempo e dedicata ad allenarsi al lavoro manuale. Prevalse un intreccio di provincialismo conservatore italiano che si unificò al vecchio istinto reazionario, non volendo assolutamente muovere verso nessuna innovazione e cambiamento. Questo grumo di interessi condusse anche alla rifiuto di un ridimensionamento del latino che venne valutato come una negazione dell’idea stessa di cultura.
I conservatori di destra furono criticati dalle nuove élites italiane che ,invece, propugnarono lo sviluppo economico che in qualche modo fosse legato alla promozione della mobilità sociale. Tutto ciò fu possibile grazie all’acquisizione di conoscenze diverse nel campo umanistico, scientifico, tecnico che unite al rigore del metodo e dall’intreccio tra fare e sapere e dal laboratorio didattico fosse il fondamento dei processi di apprendimento. Mentre sia negli Stati Uniti ,nell’Inghilterra e nella Germania e per finire fino ai paesi in via di decolonizzazione in Africa e Asia questo tipo di ordinamento si fece strada,da no tardava ad affermarsi.
Fu proprio la riforma del 1962 che modificò profondamente la nostra idea di sapere e aprì al futuro. Sorprese ancor più il voto contrario alla riforma da parte del Partito Comunista Italiano che, pur dichiarandosi favorevole sull’innalzamento dell’obbligo come «fatto di conquista democratica» , si oppose proprio per quello che potrebbe essere reputato un dettaglio. I comunisti non furono d’accordo di introdurre ,soltanto in terza media, il latino come materia facoltativa ma necessaria per iscriversi al ginnasio. Il Pci ritenne che bisognasse offrire il latino a tutti, altrimenti il nuovo obbligo marcava «un problema grave di contenuti culturali». Intervenne in aula con una motivata dichiarazione di voto contrario il comunista Mario Alicata, mentre l’azionista liberalsocialista e deputato del Psi, Tristano Codignola rispose in tal modo: «un movimento popolare dell’importanza del Pci non può affermare il valore della legge e nel contempo annunciare il voto contrario…sostenendo l’equivoco discorso dei contenuti culturali… quando si sa che una legge non sostituisce mai l’uomo che deve applicarla e quindi è in questa nuova struttura di scuola che si apre il discorsi dei contenuti…».
Nel 1967, con Lettera a una professoressa , fu don Lorenzo Milani, strenuo sostenitore attivo di modelli educativi nuovi nella sua scuola ai ragazzi di Barbiana, a denunciare ciò che impedì la piena applicazione della riforma e ,infatti,affermò: «il principale difetto della scuola italiana sono i ragazzi che ancora perde». Per porre rimedio a questo grave problema dell’abbandono scolastico propose la “discriminazione positiva” che si esplicava nel dare un aiuto a chi parte con meno nella vita. In pratica si trattava di andare oltre l’eguaglianza formale cosi come recita l’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…».
Ancora oggi vi sono cifre altre dell’abbandono scolastico che si aggirano a circa il 18,2% di ragazzi e che sono sempre e solo figli dei poveri, i quali abbandonano scuola e formazione. L’Italia deve affrontare, dunque, ancora proprio questa sfida nonostante sia passato oltre mezzo secolo. La sfida contro troppi abbandoni della scuola deve diventare politica nazionale, sostenuta, finanziata, difesa dalla comunità intera. Si deve impiegare più spesa e non è più possibile pensare di tagliare i fondi per la scuola quando perdiamo per strada non solo troppi ragazzi ma tante risorse per la crescita del Paese che, oggi più che mai, è intimamente legata alle conoscenze. Questo è, per quanto complicato, un passaggio politico decisivo della nuova auspicata stagione italiana dopo il lookdown, che significa ridare vita alla società e che riveste la stessa rilevanza della restituzione dei crediti alle imprese.
Oggi mi piace rievocare il successo ottenuto della riforma voluta dai socialisti agli albori degli anni sessanta e che non a caso con i padri fondatori misero nel proprio simbolo sin dalla nascita del Partito Socialista, il libro come elemento del sapere per affrancare le classi subalterne dal dominio dei ricchi e dei nobili.
Rosario Sorace.
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