Presentato stamane alla Camera di Commercio di Catania il “Report sull’economia della provincia”.
A cura di Iena AziendaleIn valori assoluti, il Pil pro capite delle province siciliane oscilla dalle € 15.548,62 di Agrigento alle € 18.661,09 di Siracusa, con una media regionale di € 17.242,91. Ma Catania, con € 16.861,24, possiede valori inferiori alla media Sicilia. La città dell’ Etna mostra un valore aggiunto di 16.117,2 milioni di euro ed un prodotto interno lordo di 18.187,0, seconda provincia siciliana per ricchezza prodotta.Lo dice il “Report sull’ economia della provincia” presentato stamattina alla Camera di Commercio in occasione della “Giornata dell’ economia” , e dunque lo dicono i numeri, frutto di studi e riflessioni di studiosi ed esperti e del fitto lavoro degli uffici camerali da mesi impegnati per la raccolta dei dati.Stamattina, il “Report” è stato presentato dal presidente della Camera di Commercio Pietro Agen, dal segretario generale Alfio Pagliaro, dal vice presidente Francesco Costanzo (nella foto), dal direttore della Banca d’Italia, Pietro Raffa, dal direttore provinciale dell’agenzia delle entrate Rosario Sciuto. Sui temi del commercio e del turismo è intervenuto l’ ordinario di economia e gestione delle imprese dell’Universitá di Catania Rosario Faraci.Al Sud, Sicilia compresa, la ricchezza netta delle famiglie si concentra maggiormente con percentuali superiori al 72% nelle attività reali, terreni e fabbricati. Mentre al Centro–Nord si destina una maggiore quota della ricchezza nelle attività finanziarie, depositi, valori mobiliari e riserve, con destinazioni dal 36 al 42% a seconda delle macro aree geografiche.Le famiglie catanesi destinano il 76% della propria ricchezza alle attività reali ed il 24% a quelle finanziarie così come a Palermo si arriva al 77% contro un 22% di destinazioni finanziarie.Ma veniamo alle imprese: al 31 dicembre 2011, il tessuto imprenditoriale catanese è costituito da 82.380 imprese attive su un totale di 100.973 imprese registrate.Considerato che l’insieme di imprese registrate è comprensivo delle imprese inattive (11.289), di quelle sottoposte a procedure concorsuali (2.410) e in stato di scioglimento o liquidazione (4.866), l’analisi viene effettuata sui dati delle imprese attive.Osservando il quadro della distribuzione per settore economico risulta di tutta evidenza una marcata concentrazione di imprese nei settori tradizionali: commercio, agricoltura, costruzioni e industria.L’anno 2011 ha fatto registrare la nascita di 7.475, imprese e la cessazione di 6.301 imprese. Il tasso di natalità è stato del 7,45%, contro un tasso di mortalità del 6,28%.La nascita di un maggior numero di imprese, nel corso dell’anno 2011, rispetto a quelle cessate, fa rilevare un tasso di sviluppo positivo pari al 1,17%.In valori assoluti lo stock di imprese che conforma il tessuto imprenditoriale catanese è cresciuto di 1.322 imprese rispetto al 2010 (99.651).Confrontando i tre parametri – natalità, mortalità e sviluppo – delle tre aree di riferimento (provinciale, regionale e nazionale), riscontriamo che Catania, con le sue 7.475 imprese nate, ha registrato un tasso di natalità del 7,45%, la Sicilia, con 29.953 imprese nate, del 6,43%, mentre, a livello nazionale, con 391.310 imprese, del 6,40%.Per quanto riguarda le imprese cessate, a Catania si è registrata la chiusura di 6.301 imprese, con il relativo tasso di mortalità del 6,28%, in ambito regionale hanno chiuso i battenti 34.393 imprese, con un corrispondente tasso di mortalità del 7,39%, mentre, in ambito nazionale, si sono avute 393.463 imprese cessate ed un tasso di mortalità del 6,44%.Anche per quanto riguarda le imprese cessate, Catania ha registrato il miglior risultato (6,28%), inferiore di un punto percentuale rispetto al dato della Sicilia (7,39%) e di 1/5 di punto rispetto al dato nazionale (6,44%).Il tasso di sviluppo imprenditoriale, a Catania, è stato di 1,17%, in Sicilia di -0,95% e, in ambito nazionale, di -0,04%.Spiega il presidente Agen: “il calo del Pil ha riguardato l’ intero territorio nazionale ma il Meridione ha registrato un crollo che supera il 2%. Catania, dunque, non fa eccezione. La crisi è palpabile e i segni negativi ora toccano anche i settori prima non colpiti. L’ anno scorso avevamo detto che anche la grande distribuzione sarebbe stata coinvolta. E così, purtroppo, è stato…”Che fare allora? ” I politici, le istituzioni e comunque tutti noi, dovremmo disporre progetti concreti e metterci in rete. I tempi delle corse solitarie sono finite”-aggiunge Agen.Ma rispetto al tasso di sviluppo registrato a livello nazionale e regionale, entrambi negativi, seppur con valori diversi, Catania è in controtendenza, con un tasso di sviluppo positivo.”Nonostante la crisi e la negatività del momento storico, la crescita del tessuto imprenditoriale è evidente. Ma bisogna saper leggere i dati e dunque la reale qualità di questa crescita che riguarda quasi esclusivamente le cosiddette ‘imprese non classificate’ – tiene a precisare il segretario generale Alfio Pagliaro- quelle, cioè, che non dichiarano la loro tipologia di attività. Si potrebbe trattare di quelle attività in cui si rifugiano i cittadini fuoriusciti dal mondo del lavoro e che sperano nell’autoimpresa. Di certo, questo è sintomo di una voglia di farcela, a tutti i costi”.Infine, ci sono le idee per uscire dalla crisi. Non a caso il “Report” quest’anno ha scelto di puntare l’attenzione su due settori in particolare, il commercio e il turismo. Il docente Faraci spiega il perché: “Il terziario è senza dubbio il settore che genera maggiore valore aggiunto, con un percentuale di oltre l’80%. Il commercio tradizionale è in crisi, mentre il turismo vede Catania ancora lontano dalla media delle altre città. Credo che se si potenziasse il turismo ne beneficerebbe prima di tutto il commercio. La chiave vincente potrebbe essere la programmazione territoriale, la creazione di centri commerciali naturali e la revisione dei modelli di business. Lo dimostrano anche i numeri elaborati dall’Università”.
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