Il punto è che sono gli altri ormai a chiedere a Raffaele di fare e disfare. Così il Pd, diviso tra lombardiani ed anti lombardiani, con i primi apparentemente meno numerosi ma certamente più pesanti, ed i secondi che sembrano replicare il partito nazionale nella loro monotona richiesta di dimissioni per Berlusconi (E poi? Che si fa?). Così il Terzo Polo, che lo vorrebbe con sé alle prossime elezioni ma intanto appoggia il governo tecnico ma chiede che diventi politico, ed in definitiva dalle sue labbra pende, perché senza il suo pacchetto di voti le possibilità di essere ago della bilancia sono prossime allo zero.
Così anche il Pdl ed il mondo che ruota intorno. Tutto discende dall’errore primigenio, quello di candidarlo alla presidenza della Regione tre anni fa, non dando ascolto alla voce di Miccichè che metteva sull’avviso che a questo punto si sarebbe arrivati; e c’è da dire pure che la gestione politica del partito ha involontariamente fatto da sponda ai disegni di Raffaele Lombardo che, se a dividere puntava, ha approfittato pure degli assist di chi, nel 2009, ha soffiato sul fuoco della contrapposizione con il sottosegretario con delega al Cipe per cercare di fare il pieno dentro il partito. Risultato: consensi dimezzati e una sostanziale irrilevanza nello scacchiere attuale (ed il pericolo che la mozione di sfiducia preannunciata dallo stesso Pdl si riveli un pericoloso boomerang).
Raffaele se la ride, intanto. Sfangata la grana giudiziaria (anche se solo in Sicilia un processo per reato elettorale può essere considerato una cosa da niente), continua a tessere la sua tela. Lasciando credere, assecondando, facendo finta che, convincendo del contrario di quello che poi farà. Tanto, come si dice a Catania, sempre da lui devono passare, no?
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