“Ricatto allo Stato”: Sebastiano Ardita presenta il suo nuovo lavoro insieme a Giovanni Salvi e Lirio Abbate


Pubblicato il 21 Gennaio 2012

di Iena Antimafia

E’ un rapporto secolare, che percorre la storia d’Italia nel suo dipanarsi ambiguo: Stato e mafia –come dire- “si conoscono” da tempo immemore e il loro rapporto è controverso, spesso oltre il consentito dal codice. Ci sono, però, uomini e istituzioni che hanno fatto e fanno il loro dovere, malgrado tutto, talora …malgrado lo Stato o meglio quella politica che non tiene la “barra dritta” in tema di contrasto alla mafia. Anche questo viene fuori da “Ricatto allo Stato”, un testo appassionante scritto dal magistrato catanese Sebastiano Ardita e pubblicato da “Sperling & Kupfer”.

Il dott. Ardita è un esperto in materia, non fosse altro perché è stato fino a pochi mesi fa –prima di tornare alla Procura della Repubblica di Catania, dove aveva lasciato un ricorso straordinario per la qualità e l’intensità del lavoro svolto- uno dei più importanti dirigenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il Dap, alla guida dell’Ufficio detenuti e trattamento. Un ruolo di primo piano e di grande delicatezza, a confronto con i problemi quotidiani delle carceri e con la condizione de i capi di un’organizzazione criminale potente e pericolosa come Cosa Nostra.

Insomma, un tema delicato e con implicazioni enormi sulla vita di milioni di persone, non solo per i carcerati: magari il tema “mafia” non è più “di moda” ma gli effetti del controverso rapporto Stato-mafia ci riguardano tutti. N’è cosciente Ardita che ha messo su pagina chili di documenti, dati, considerazioni scientifiche, che smentiscono non pochi luoghi comuni sull’argomento, nell’ambito di un testo che si fa leggere capitolo dopo capitolo, con un interesse sempre più crescente.La conferma è venuta ieri sera dalla presentazione del libro, da “Feltrinelli”. Ospite, accanto ad Sebastiano Ardita, il neoprocuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi e, a moderare il giornalista, Lirio Abbate. Un interessante evento tenuto davanti ad una sala stracolma di gente, con numerosi magistrati presenti.

L’incontro, così, è servito per parlare del libro ma anche di stretta attualità, a cominciare dallo “stato dell’arte” della lotta alla mafia, delle sue evoluzioni, delle prospettive, anche a Catania, dove l’arrivo del procuratore “straniero” ha suscitato enormi attese. Salvi –con il suo stile sobrio- non si è tirato indietro e ha fatto riferimento a questioni generali, come la condizione penitenziaria, il rapporto Stato-detenuto, il senso della misura del 41/bis nata per combattere la capacità dei boss di comunicare con l’esterno, mantenendo rapporti e fornendo informazioni e indicazioni agli altri membri dell’organizzazione, approfittando di quella che un tempo era la condizione carceraria dove era possibile intrattenere rapporti molti facili con l’esterno. Ma Salvi ha parlato anche di Catania, della presenza della criminalità mafiosa, del suo volto economico, il dato più eclatante già messo in evidenza da intellettuali come Pippo Fava e sul quale l’ufficio diretto del neoprocuratore lavora con grande impegno.

Sebastiano Ardita, da parte sua, ha ricordato l’esperienza umana e professionale vissuta al Dap. Un’esperienza la cui intensità emerge anche nel suo nuovo lavoro, un’opera che partendo dall’arrivo in carcere di Bernardo Provenzano passa all’esame del terribile biennio 1992-1994 (la cosiddetta stagione delle stragi), del 41bis, degli assetti della cosiddetta Seconda Repubblica, della politica che non segue sempre un percorso coerente in tema di lotta alla mafia, sino al capitolo de “la Trattativa”, uno degli argomenti giudiziari, politici e culturali più controversi e delicati della storia d’Italia, che spesso “intossica” la vita civile del nostro Paese.

Un testo, quindi, di grande valore scientifico e documentario, lontano dai sensazionalismi che spesso prendono la mano ai cronisti che si appassionano a scrivere di questi temi. C’è un “percorso obbligato” quasi verrebbe da dire dietro le parole e le pagine del magistrato catanese: il rispetto della legalità, perseguito –lo si nota in tante momenti del libro- da chi ci crede davvero anche in favore di chi quella legalità aveva calpestato.


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