Riprende il “Processo Lombardo”: la parola di Di Dio, un Rosario di contraddizioni?


Pubblicato il 29 Gennaio 2019

di Marco Pitrella e Marco Benanti

Ricomincia il prossimo 13 febbraio il processo per concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’ex presidente della regione Raffaele Lombardo la cui assoluzione in appello per il pesantissimo reato, dopo la condanna a sei anni e mezzo del primo grado, è stata annullata dalla Cassazione. Un processo complicato e controverso con conseguenze, anche storiche oltre che politiche, che prescindono dagli esiti giudiziari e la cui ricostruzione si presta alle più diverse letture, una diversità che proveremo ad offrire ai nostri lettori. Cominciamo con Marco Pitrella e Marco Benanti, che hanno una loro visione non aderente al mainstream e con il primo che, oltre ad essere giornalista sempre originale nel suo stile, è anche avvocato penalista con una passione per i processi…storici.

Correva l’anno 2009 quando Rosario Di Dio, boss di Castel D’Iudica, che sarà condannato nell’ambito dell’inchiesta “Iblis”, fu intercettato a discutere con certo Politino e a parlare con tale Astuti.

Si lamentava nelle intercettazioni Rosario Di Dio, si lamentava di Raffaele Lombardo: «Pi iddu rischiai vita e galera…  quando lui è salito per la prima voltaè venuto all’una e mezza di notte…, è stato qua da me, dall’una alle quattro di mattina… alle prime elezioni regionali che ci sono state… è venuto qua, si è mangiato otto sigaretteHo la sorveglianza speciale…alle 6 mi metto all’opera, chiami a tuo fratello e ce ne andiamo a Catania».

È un Di Dio irato con Raffaele Lombardo, quello intercettato: «Ho avuto bisogno di una cosa ai tempi che il commissario del consorzio era Tolomeo, mi ero comprato un terreno… c’erano un sacco di debiti…»

Ne passeranno sette di anni e Rosario Di Dio vorrà parlare con i Pm, ma solo su Raffaele Lombardo avrà da dire: da Cosa Nostra, infatti, non s’è mai dissociato, tanto che gli sarà coniato il titolo di “pentito ad personam”.

E parlerà chiamando in causa Angelo Santapaola, ammazzato nel 2007: avrebbe incontrato Lombardo per le regionali del 2006: «Lombardo mi accennò a questo discorso– racconta – di fare un appuntamento con Angelo Santapaola».

Ma come si concilia l’ira nei confronti di Lombardo – Ho avuto bisogno di una cosa ai tempi che il commissario del consorzio era Tolomeo – sentita nelle intercettazioni con la nuova rivelazione, quella appunto del supposto incontro con Santapaola?

Ed è qui che Rosario Di Dio smentirà sé stesso: quel che si è udito nelle intercettazioni – è Di Dio a sostenerlo – non va considerato.

Nessun incontro avvenne la sera prima delle votazioni: «L’ho detto per modo dire» e nessun incontro avvenne «dall’una alle quattro di mattina».

I Lombardo, è sempre Di Dio a dirlo,«stettero 15/20 minuti, mi chiesero di cercare Angelo Santapaola».

Di che stupirsi? Già l’interrogatorio dell’aprile 2015 diceva tanto, troppo, tutto:

«Nel 2006 c’erano… anzi “prima” è  successo un fatto– raccontava Di Dio –mio figlio aveva fatto un compromesso per un terreno in Contrada Palmeri… è stata fatta una causa per questocomunque passando a questo discorso, andiamo al fatto delle elezioni regionali…»

Quindi “prima” delle elezioni regionali del 2006.

«Quest’episodio dell’appuntamento al consorzio di bonifica è prima o dopo le elezioni regionali?», la domanda del suo avvocato.

«Questo prima!» la risposta tanto immediata quanto spontanea di Di Dio.

«Dopo!», la correzione del legale di Di Dio.

«Certo, dopo», la drizzata, ancora, di Di Dio.

E la correzione del legale fu talmente inusuale da suscitare persino le perplessità della Procura: «dal suo racconto – è il Pm a sostenerlo –sembrava fosse prima”». Salvo poi la stessa Procura sorvolare, quasi che il “prima o dopo” fosse un particolare qualunque: «stava raccontando come fosse diverso, va bene».

Va bene? Piuttosto che interpretare le parole bisognerebbe cercare le prove: Tolomeo, in indagini difensive, ha confermato d’esser stato cercato da di Dio nel 2004: nel 2005 gli scadrà il mandato.

È evidente quanto il prima e il dopo abbiano un valore dirimente.

A Tolomeo, come già detto, il mandato scadeva nel 2005, e, dunque, «l’episodio del consorzio di bonifica», non può che essere risalente ad almeno un anno prima (e non dopo) le elezioni regionali 2006. Quindi, come avrebbe potuto Di Dio, già iracondo con Lombardo, essersi prestato dopo a missioni, per così dire, “politico-mafiose”?

Del resto, un ulteriore conferma arriva, sempre in indagini difensive, da Zapparrata, dirigente della provincia di Catania, citato in una delle conversazioni intercettate – «Aveva appuntamento con Matteo Zapparrata» – che ha dichiarato di essere stato avvicinato da Di Dio, proprio al rifornimento Agip, mentre attendeva Raffaele Lombardo. In quel dì era prevista una manifestazione degli autonomisti: era il mese di gennaio, era il 2004.

Se a discolpa di Lombardo è stata sufficiente la cronologia, la logica a provar come l’incontro con Santapaola non sia mai avvenuto: né prima e né dopo.Due gli incontri, in pieno giorno, al mattino, al rifornimento di Anania e non all’Agip di Palagonia: eppure a detta di Di Dio «Angelo Santapaola un giorno sì e l’altro no andava a Palagonia, per le corse dei cavalli» (fatto quest’ultimo smentito dalle intercettazioni sull’utenza di Santapaola). Perché, allora, ad Anania?«Perché Anania è più vicino a Catania», la motivazione che sa tanto di improvvisazione.

Un accordo senza senso quello tra Santapaola e Lombardo, a sentire Di Dio, perché tutto fondato sul «poi»: non s’è parlato né di voti, né di appalti, né di soldi, «poi se ne parla».

In quel di Anania, quindi, si sarebbe consumato il primo accordo politico-mafioso “post-datato”.

Le celle del cellulare di Lombardo, intercettato dalla Procura di Catanzaro dal 2000 al 2007 nell’inchiesta “Why not?”, ne smentiranno qualsiasi passaggio: «Io, o almeno il mio telefonino, non mi trovavo a quel tempo nei luoghi citati –dichiarerà in udienza l’ex governatore –, I Ros determinano la presenza di Angelo Santapaola in quelle zone il 5 febbraio e poi a marzo. Io ero in piazza Duomo per Sant’Agata, mentre a marzo ero a Roma».

Nulla, in fondo, ci sarebbe stato da concludere.

Secondo il pentito D’Aquino, Santapaola avrebbe fatto votare, nel 2006, altro candidato di tutt’altro partito.

E Di Dio, comunque, non può certo definirsi un “Santapaoliano”:in un’intercettazione ambientale del 2007, il boss Vincenzo Aiello discorrendo con Carmelo Puglisi ne parla come di uno che «che è stato fatto fuori, l’abbiamo fatto fuori(dalla famiglia nda)prima Angelo(Santapaola, nda)e poi io».

Se ciò non bastasse, a rincarare Nicola Sedici, storico braccio destro di Santapaola: «Gli diamo una scutulata (“scutulata”, ovvero l’omicidio) e ce ne usciamo».

Intanto, i vent’anni di condanna in primo grado a Rosario Di Dio, a quattordici in appello sono stati ridotti: per via di una “fattiva collaborazione”, la motivazione che s’è letta sulla stampa.

Anche se, visto il singolare status, quello di pentito ad personam, ad una “fattiva collaborazione” sarebbe preferibile una collaborazione fondata.

 


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