Salvini, i contestatori e le reazioni in Sicilia


Pubblicato il 15 Agosto 2019

Hanno suscitato tanto entusiasmo, soprattutto telematico, le manifestazioni di piazza contro il ministro degli Interni, Matteo Salvini, in visita in Sicilia tra Catania e Siracusa. Non era la prima volta che qualcuno lo contestasse, ma questa volta, considerato l’esiguo numero della controparte, l’evento ha assunto proporzioni diverse.

Le contestazioni sono già una buona dimostrazione che il fascismo è ancora abbastanza lontano da venire, e che la resistenza può limitarsi per ora a qualche urlo, conquistando tuttavia l’agognata granita sicula, pare ultima roccaforte non espugnata dal leghismo, che in tempi più freddi aveva però fatto proprio l’arancino, simbolo di libertà e fratellanza dopo i ben noti eventi della Diciotti.

Fare sentire ad un ministro, e a quel ministro che dovrebbe rappresentare la forza dello Stato, che la piazza non è solo plaudente; che la reductio ad unum, sogno proibito di ogni politico, non è che una illusione; che la seduzione ha dei limiti, quale che sia la musica che passa tra un mojito e il balneare deretano di qualche formosa cubista; fare sentire tutto questo è un bene anche per chi, entrando nello specifico, quella contestazione potrebbe non approvarla. Liberale è semplicemente un altro modo di dirsi della persona prudente, e in politica la prudenza è virtù cardine. E, poi, essere contestati infastidisce tutti – è naturale, ma se innervosisce l’incapace, può fungere da sprone a chi ha qualcosa da dire sulla scena nazionale.

Quell’entusiasmo che n’è scaturito e le successivi analisi dicono che non vi è molto da sperare: la politica è morta, e non l’ha resuscitata neppure l’armata pentastellata, che protesta con lo stesso livore di un’amante sedotta e poi abbandonata. E non fa sperare neppure la schiera di salvinisti, mai gruppo politico e più fan club con la speranza di seguire in prima fila le vittorie della squadra.

Partiamo da un punto. Il vento non è cambiato. Se ci limitiamo ai dati, le urne delle ultime elezioni, quelle europee, hanno decretato un sostanzioso 34,3 % della Lega a livello nazionale, che nella Catania contestaiola ha fatto registrate un tondo 19 %, terzo partito dopo M5S al 33 % e Pd al 19,4 %. Se, invece, ci facciamo guidare dalle sensazioni – ormai, a destra e a sinistra la politica è questo: emozione – allora è vero che la Lega viaggia verso un cospicuo aumento di quel dato. Ce lo segnalano, giorno dopo giorno, i sondaggisti. Ma, sensazione per sensazione, da dove si evincerebbe che cinquecento contestatori rappresentino un mutato sentire? Forse, cinque mesi, un anno fa queste persone non avrebbero fatto altrettanto?

È la politica mediatica, senza più alcun calcolo, senza mai alcuna strategia, senza un luogo che non sia un etereo post. Uno sfogo personale, un divertimento collettivo, un rito esoterico di iniziazione – per pochi, per quelli che condividono un link. E se le cose poi non vanno come nel sogno – una tornata elettorale persa, una legge non approvata, un compromesso accettato – ci si ritrae delusi nel proprio cantuccio privato, a sputare bile contro il fantomatico ‘italiano medio’. Morto il Pci, non più uno straccio di analisi della società, e la piattaforma programmatica è stata sostituita dall’entusiasmo individualista: nostalgia di tempi non vissuti, magari perché troppo giovani, o perché si stava già abbastanza comodi in poltrona. E ancora era di là da venire la tastiera come campo di battaglia.

È la politica a cui manca la vera partecipazione, che non può essere fatta da individualità che si danno appuntamento, ma da gruppi che si danno degli obiettivi. Ma gli obiettivi non sono protesta, sono proposta. E la proposta, senza la discussione, non ha la forza per farsi progetto, base ideale che, pian piano (a volte nel corso di decenni) si radica nel reale. È, insomma, il partito che manca, con i suoi riti collettivi, la sua gerarchia, i suoi tempi. E se Atene piange, Sparta non ride. Quanti erano i leghisti in piazza? Meno dei cinquecento. Dei diciassettemila votanti la Lega a Catania, neppure il dici per cento si poteva mobilitare per accogliere il leader?

Piazze telematiche come panchine: tutti pronti a scendere in campo, ma per sporcarsi i tacchetti con l’erba del Bernabeu. Una volta si cominciava dall’oratorio, raccattando palloni e passando borracce.

Antonio Giovanni Pesce.

 


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