Sanità italiana, “divieto di curarsi”: il marito è da due anni in coma vegetativo, ma non ha finora né cure adeguate né giustizia, la moglie scrive al Pm Guariniello


Pubblicato il 27 Agosto 2012

Irene Sampognaro manda una missiva al magistrato di Torino. E gli sottopone la sua vicenda e l’impegno –gratuito- del dott. Marino Andolina. Ma per le staminali solo “no” dallo Stato.

“La macchina della giustizia –scrive Irene Sampognaro (nella foto con il marito, Giuseppe Marletta)- deve muoversi contro chi con il proprio comportamento ha mostrato un assoluto disprezzo per la vita altrui e non contro chi cerca di salvarla”.Ecco il testo della lettera, resa nota da “Sicilia Risvegli Onlus”:

“Sono Irene Sampognaro, moglie di Giuseppe Davide Marletta, il giovane architetto che l’1 giugno 2010 si è recato all’ospedale Garibaldi di Catania per farsi rimuovere due punti metallici alla mascella, (convinto che tale piccolo intervento gli avrebbe risolto definitivamente il suo problema di sinusite), e che non ha più fatto ritorno a casa. Da allora, infatti, Giuseppe si trova in coma vegetativo (ed ancora con la sinusite). Da allora aspetto giustizia e cure per mio marito, ma non sono mai arrivate.

Nonostante i miei continui appelli, infatti, le istituzioni sono rimaste indifferenti, benché siano responsabili di quanto successo. A tal proposito tengo a ribadire che il danno è stato cagionato in un ospedale pubblico e che qualora mio marito non si fosse mai sottoposto a quell’intervento inutile, adesso cresceremmo i nostri bambini insieme.

In riferimento alle vicende giudiziarie che riguardano la Stamina foundation, non posso che fare questa amara considerazione: coloro che hanno costretto mio marito ad una vita vegetativa sono stati lasciati indisturbati nel loro posto di lavoro, mentre i medici che tentano di fare l’impossibile per curare casi disperati come il suo vengono inspiegabilmente ostacolati.

Conosco il dott. Marino Andolina. È un grande uomo di scienza, il primo al mondo ad avere iniettato staminali. Non ho dubbi sulle sue capacità e sulla sua professionalità. È venuto fin qui a Catania e ha visitato mio marito Giuseppe, insieme a Salvatore Crisafulli e altri, tutto a spese sue. Sottolineo che non gli ho mai dato un centesimo, e che è lungi da lui chiedere soldi. Ce ne fossero di medici come lui che fanno del proprio mestiere una vera missione! Era disposto ad impiantare le staminali su mio marito senza chiedere nulla in cambio, ma purtroppo non è stato possibile perché evidentemente la vita umana non è considerata da tutti un bene prioritario.

In ogni caso vorrei precisare che contribuire alla ricerca con donazioni è perfettamente legale. Ma il nostro è un Paese piuttosto bizzarro: quando si contribuisce alla ricerca e si cerca di salvare vite umane si grida allo scandalo. Certo che questo è un caso di truffa piuttosto singolare, visto che i presunti truffati, anzicchè denunciare le magagne dei presunti truffatori, alzano la voce in loro difesa. Si, noi siamo coesi nel testimoniare l’assoluta correttezza del dott. Andolina e di quanti collaborano con lui e francamente è veramente assurdo costringerci a combattere per la vita dei nostri cari, letteralmente condannati a morte; sembra essere piombati nel Medio Evo.

E siccome i miglioramenti della piccola Celeste e della piccola Smeralda dovuti alla cura delle staminali sono dati inconfutabili si fa speculazione dicendo che non sono state osservate alcune procedure o protocolli, come se questi ultimi fossero più importanti della vita umana. Ebbene, premesso che la cura a base di staminali altro non è che applicazione del decreto Turco del 2006, mi preme ricordare che è vigente nel nostro diritto il principio della strumentalità della forma rispetto al risultato. In questo caso si utilizza la forma per “attaccare” il risultato.

Ma anche ammettendo per assurdo che queste forme non siano state rispettate pedissequamente, mi permetto di citare la Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale “Nel praticare la professione medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato” e per far ciò può anche discostarsi da regole e protocolli (Cass. Pen., Sez. IV, n. 8254/2011).

Concludo dicendo che certamente ognuno ha il sacrosanto diritto di avere l’opinione che vuole sulle staminali, (anche se sbagliata perché non supportata da alcuna conoscenza tecnica), ma giammai a scapito della vita altrui. La macchina della giustizia deve muoversi contro chi con il proprio comportamento ha mostrato un assoluto disprezzo per la vita altrui e non contro chi cerca di salvarla. Irene Sampognaro. Catania 24 agosto 2012″.


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