Si può firmare negli uffici comunali, ma nessuno parla del referendum per togliere la diaria di 3.500 euro ai parlamentari

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Da www.linkiesta.it vi proponiamo un interessante articolo a firma di Marco Sarti a proposito di un referendum ‘nascosto’. Si tratta della consultazione popolare promossa dall’Unione Popolare col fine di ridurre l’indennità ai parlamentari tramite l’abrogazione della legge che prevede la diaria di 3.500 euro al mese, somma, paradosso dei paradossi, corrisposta anche a chi viene eletto e vive a Roma. Qui di seguito vi proponiamo il pezzo di Marco Sarti che potrete leggere anche alla fonte cliccando sul link alla fine. Una iniziativa, neanche a dirlo, che al momento non è sostenuta da alcun partito, ma ha trovato la sola adesione degli appassionati e tenaci esponenti del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

di Marco Sarti, da www.linkiesta.it

Da alcune settimane è partita la raccolta firme per tagliare gli stipendi di deputati e senatori. Un referendum abrogativo in tono minore, dato che nessuno ne parla. Promotore il partito dell’Unione popolare, che assicura di aver raggiunto quasi 200mila firme. «Abbiamo spedito i moduli a tutti i comuni italiani – spiega il segretario Di Prato – tutti i cittadini possono partecipare».

Lo sanno in pochi, eppure in questi giorni è possibile firmare per tagliare gli stipendi dei nostri parlamentari. La raccolta delle sottoscrizioni è promossa dal piccolo partito Unione popolare. Una campagna referendaria in tono minore, che rischia di rivoluzionare la politica italiana.

L’obiettivo è ambizioso. Devono essere raccolte 500mila firme entro la metà di agosto. Ma non impossibile. «Siamo quasi a metà strada. Al momento abbiamo circa 200mila adesioni» racconta Maria Di Prato, segretario del movimento. Un passato nell’Udc, dove nel 2008 Pier Ferdinando Casini la chiamò per dirigere il dipartimento del merito («ma sono andata via presto, perché il merito in quel partito non sanno nemmeno cosa vuol dire»), la leader di Unione Popolare ha già partecipato alla raccolta firme per il referendum contro il Porcellum, poi bocciato dalla Corte Costituzionale. Fornendo agli organizzatori almeno 100mila firme.

Stavolta la legge elettorale non c’entra. Si tratta di ridurre «gli stipendi d’oro dei parlamentari», come spiega il manifesto dell’iniziativa. Un referendum abrogativo per modificare la legge 1261 del 1965, che determina l’indennità spettante ai membri del Parlamento. Se il referendum fosse approvato, a saltare non sarebbero gli stipendi di deputati e senatori – previsti dalla Costituzione – ma la diaria. L’articolo 2 della legge. «Abbiamo preferito andare sul sicuro – spiega Di Prato – dopo la delusione del referendum sul Porcellum non vogliamo rischiare. Verrano tagliati i 3.500 euro mensili che ogni parlamentare riceve per il soggiorno a Roma. La cosa ridicola è che a incassare questa somma sono anche quegli eletti che nella Capitale ci vivono. Abbiamo calcolato che lo Stato potrebbe risparmiare circa 50 milioni di euro l’anno». Non si tratta di una cifra esorbitante. «Di certo non abbatterà il debito pubblico – continua il segretario – ma questa iniziativa ha un forte significato politico: in tempi di crisi chi comanda deve dare l’esempio».

Eppure sono in pochi a conoscere la campagna. «Ci stanno boicottando» denunciano dall’Unione popolare. «Poche righe sui giornali, pochissimo spazio in televisione. A darci una mano è il web: su facebook abbiamo già contattato circa 120mila cittadini». Tredicimila gli iscritti al gruppo. «È importante che tutti lo sappiano – lancia un appello Maria Di Prato – noi abbiamo inviato i moduli per la raccolta delle firme a tutti gli ottomila comuni italiani. Si può firmare ovunque, basta chiedere del referendum dell’Unione Popolare».

Nessuna adesione politica. «Ha aderito la base, diversi sindaci civici e alcuni comitati del Movimento 5 Stelle». Ma tra i parlamentari non ha ancora firmato nessuno. «Ci aspettiamo che Antonio Di Pietro e Nichi Vendola possano almeno fare qualche dichiarazione pubblica a favore di questa iniziativa».

L’iter non è comunque immediato. Le firme potranno essere consegnate in Cassazione solo a gennaio (nell’anno solare che precede le elezioni politiche è vietato presentare un referendum). Entro l’autunno del 2013 la Suprema Corte verificherà l’entità e la legittimità delle sottoscrizioni, che devono essere almeno mezzo milione. Più o meno nel gennaio 2014 la Corte Costituzionale valuterà i quesiti. Il tempo di convocare la consultazione popolare, e nella primavera del 2014 gli italiani potranno andare a votare.

Questo è il gruppo facebook dei promotori del referendum clicca qui per aprire la pagina

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Redazione Iene Siciliane

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