Appuntamento con la musica stasera alle 21 in via Pantano 42: si esibiscono i “DecaDandy” ed Elia Atahualpa. Giovani artisti emergenti che proporranno i loro ultimi lavori nel segno della sperimentazione e della diversità-unità di generi. I “Decadandy”,ovvero Elia Atahualpa (basso-voce), Andrea Busso (batteria), Diego Renda (chitarra-voce), Mara Angileri (chitarra-voce). Sulle onde del rock, la band si muove su un mix di tonalità e di generi -provati anche all’ “Holy Tape Studios” di via Tezzano 38 – che arricchiscono la proposta in termini di creatività. Una originalità che ritorna nei pezzi di Elia, basso-voce, che si esibirà anche individualmente. Sua produzione ultima è “Carne e patate marce”, realizzato a partire dall’inizio del 2019, dato che nel 2018 Elia aveva registrato e pubblicato l’ep “Carne e patate” con il suo ex-powerduo QUYAPunk, dove cantava e suonava il basso.
“Carne e patate marce” contiene molti brani scritti col duo, ma non più suonati da basso e batteria, ma dalla monoviolarra e il basso mandolincello; due strumenti inventati da Elia.
Il genere dell’album è una sorta di cross-over demenziale con echi un po’ zappiani, con delle tematiche apparentemente subdole con le quali, invece di denunciare i problemi dei giorni d’oggi, preferisco deriderli.
Per promuovere l’album, sono stati pubblicati una serie di videoclip come “Se io sarei italiano”, parodia dell’italiano medio, per passare a “Maestri dell’apocope”, che deride il linguaggio giovanile e “Nudismo Indifferente”, che beffeggia una morale che ancora oggi tiene nascosti ciò che siamo veramente.
Si distinguono “Miseria della vita” e “Yuhi”.
“La prima -spiega Elia- è una canzone che ha rabbia contro i sofisti della musica e dell’arte in generale, in cui sono riuscito a comporre un ritornello cantato da Freddie Mercury, l’uomo che mi ha iniziato alla musica.
La seconda, invece, chiude l’album -continua l’artista- ed è un brano quasi tutto strumentale che richiede anche l’utilizzo di strumenti normali come basso, chitarra, mandolino, farfisa, piano, flauti e percussioni. In questo brano ci sono parecchi ospiti, tutti loro amici musicisti, tra i quali un giovane cantante lirico, Gianni Giuga, che ha cantato una poesia in giapponese scritta da un mio amico del Sol Levante (studio questa lingua all’università), ma musicata da me. “Yuhi” in giapponese significa tramonto e la poesia lo descrive come la fine di ogni fase della propria vita e ciò potrebbe essere lo stesso nella musica e nell’arte; basti pensare alle varie fasi musicali di un Miles Davis o David Bowie; o di Pablo Picasso tra i pittori.
Per questo motivo mi è sembrato il brano più adatto per rappresentare la fine dell’album, la fine di una fase della musica.”
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