Storia e Memoria, strage di Portella della ginestra: morto a 91 anni uno degli ultimi sopravvissuti


Pubblicato il 19 Maggio 2016

Lascia un messaggio “la lotta alla mafia spetta agli studenti”

Lella Battiato

A 91 anni si è spento Mario Nicosia, la memoria storica della strage di Portella delle Ginestre del 1° Maggio 1947.

Protagonista della lotta contadina degli anni ’50, vide morire sotto i colpi degli uomini del bandito Giuliano compagni, donne e bambini che si erano riuniti a Portella per festeggiare la festa del lavoratori,davanti al “sasso” di Barbato. Nicosia è morto a Piana degli Albanesi. Durante gli innumerevoli incontri che Mario ha avuto con gli studenti dell’istituto alberghiero Karol Wojtyla di Catania, organizzati e fortemente voluti dal Prof. Alfio Maugeri, più volte ha confessato che questo era diventato l’unico e il più importante scopo della sua vita.

“Muore senza conoscere i veri mandanti di quella strage i cui documenti sono ancora secretati”, come sottolinea Maugeri. “Purtroppo ancora oggi quei mandanti restano nell’oblio di una storia ingiusta”, continua, “raccontata solo dai vincitori. I docenti che l’hanno conosciuto e gli studenti che l’hanno incontrato si uniscono al dolore dei familiari e di tutta la comunità di Piana degli albanesi, ricordando  che Mario è stato e resterà sempre il simbolo dell’impegno per la libertà e dei diritti dei lavoratori, nonché custode di quei valori spirituali e morali che non possono essere trasmessi solo sui banchi di scuola”.

Un pezzo di memoria se ne va e lascia un messaggio di fiducia nel futuro delle nuove generazioni, lui ha creduto nella politica come dimensione collettiva. Ha incontrato gli ultimi ragazzi una decina di giorni fa dal letto della clinica dove era ricoverato e amava ripetere “il 50% di lotta alla mafia l’abbiamo fatto noi, il restante 50 è compito vostro”.

 

Chi è il Sig Mario

Mario ha gli occhi azzurri.

Non sai se slavati o vivi. Non lo sai perché è classe 1930, credo, se la matematica e la memoria coincidono.

Mario è asciutto. La sua voce è forte, decisa. Sa cosa deve fare e lo fa. Secondo me ogni volta in modo nuovo.

Io avevo avvisato i ragazzi: guardate che le pietre dove vi poserete, per quegli uomini che stiamo per incontrare, sono corpi, fantasmi di sangue e voci rotte dalla morte e dallo strazio.

E lui, l’altro è più sottomesso alla commozione e non è che un merito, subito ci racconta di una mater dolorosa, che scende in paese con un corpicino straziato dalle pallottole, privo di vita, che urla e che difende quel calore che le sta sfuggendo di mano.

Penso subito alla mia bambina, sento lo strazio di quella madre e guardo i miei, i nostri ragazzi.

Chissà se hanno compreso che quel mondo su cui hanno posato il sedere è vivo come Spoon River.

Mario li agguanta e dice:

“Ragazzi, la scuola è importante, senza la scuola siete niente. Io avevo la quinta elementare ma stavo la notte con i progetti in mano per capirci qualcosa, per non farmi scalzare da nessuno.”

Mario, dopo la strage, è andato e tornato, poi si è fermato senza fermarsi.

E a tutti chiede giustizia.

Mi abbraccia e io lo abbraccio.

Io sono al capolinea, ragazzi, dice.

Ora tocca a voi.

Ecco chi è Mario.

 


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