Strage di via D’Amelio: la Procura di Caltanissetta starebbe indagando un meccanico palermitano


Pubblicato il 06 Gennaio 2012

delle iene antimafia Fabio Cantarella e Marco Benanti

La Procura di Caltanissetta starebbe valutando la posizione di un meccanico palermitano, oggi 46enne, che a detta del pentito Gaspare Spatuzza avrebbe aggiustato le ganasce dell’autobomba Fiat 126 rubata dalla mafia per uccidere il magistrato eroe Paolo Borsellino (nella foto con un altro eroe, Giovanni Falcone).

Secondo quanto trapelato nelle ultime ore, l’uomo, pur non sapendo a cosa dovesse servire l’autovettura, sarebbe indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero dopo aver negato i fatti. Il meccanico sarebbe una vecchia conoscenza del quartiere dello Sperone con alle spalle procedimenti penali per mafia e droga.

Il nuovo indagato, a quanto pare, pur non sapendo che la Fiat 126 sarebbe divenuta l’autobomba utilizzata per uccidere il giudice Borsellino e gli uomini della sua scorta (gli eroi Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina), tuttavia sarebbe stato a disposizione del clan di Brancaccio proprio per sistemare le auto rubate.

Della volontà della Procura di Caltanissetta di avviare la fase della revisione dei processi per la strage di via D’Amelio, depistati dai falsi pentiti, vi abbiamo già parlato nei mesi scorsi, anche se allo stato attuale la Terza sezione penale della Corte d’Appello di Catania aveva escluso l’esistenza dei presupposti rigettando la richiesta avanzata lo scorso 13 ottobre dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, Roberto Scarpinato. La Corte d’Appello catanese aveva, invece, accolto l’altra istanza avanzata dal Pg di Caltanissetta, ovvero quella diretta ad ottenere la sospensione dell’esecuzione delle pene inflitte a seguito delle sentenze emesse nei processi “Borsellino Uno” e “Borsellino Bis”.

Secondo l’ordinanza emessa dai magistrati della Terza sezione penale, presidente Carolina Tafuri e consiglieri Rosa Anna Castagnola e Giuseppe Tigano, in virtù di un principio pacifico affermato in materia, non sarà possibile procedere alla revisione dei due processi sino a quando non saranno accertate in giudizio le responsabilità di quei pentiti che, a suo tempo, resero dichiarazioni non veritiere che portarono all’emissione delle due sentenze passate in giudicato. Si tratta dei collaboratori Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino che si autoaccusarono della partecipazione alla strage. Pentiti sconfessati, per l’appunto, dal più recente collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, le cui rivelazioni, rese a partire dal 26 giugno 2008 presso le Procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze, hanno trovato riscontro nel duro lavoro portato avanti nei tre anni successivi dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.

Pertanto – aveva deliberato la Corte d’Appello Etnea – se la prova sopravvenuta d’innocenza dipende dall’accertamento della responsabilità di terzi in ordine agli stessi fatti per i quali è intervenuta la condanna irrevocabile, accertamento che, come precisato non può essere effettuato incidentalmente nel processo di revisione, ma soltanto nella sua sede propria, ne consegue l’inammissibilità, allo stato, della richiesta in esame“. Principio giuridico affermato dalla Suprema Corte di Cassazione Penale, Sezione I, con la sentenza 30 giugno 2004 n. 36147.

Nello specifico Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino si attribuirono le responsabilità penali relative all’occultamento, alla sostituzione delle targhe, all’imbottitura con esplosivo e al trasporto in prossimità del luogo prescelto dell’autovettura Fiat 126 usata per compiere l’attentato. Dichiarazioni incompatibili con la nuova ricostruzione dei fatti, riscontrata dalla DDA di Caltanissetta e acclarata dalle ritrattazioni degli stessi pentiti, eseguita dal collaboratore Gaspare Spatuzza che si è attribuito la responsabilità, insieme ad altri appartenenti a “cosa nostra” (alcuni dei quali addirittura sino a questo momento rimasti estranei ai processi) del furto della Fiat 126 e delle attività successive per la predisposizione come “auto-bomba”.

La Corte d’Appello di Catania, come abbiamo anticipato, aveva invece accolto la richiesta di sospensione di esecuzione delle pene detentive inflitte con le sentenze “Borsellino Uno” e “Borsellino bis”. Per i magistrati catanesi “La sospensione dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 635 c.p.p., in pendenza di procedimento di revisione, costituisce istituto di carattere eccezionale, in quanto derogatorio al principio dell’obbligatorietà dell’esecuzione, e presuppone l’esistenza di situazioni in cui appaia verosimile l’accoglimento della domanda di revisione e la conseguente revoca della condanna (così ex plurimus Cass. Pen. sez. fer. 20 agosto 2004 n. 35744)”. La Corte, infine, aggiunge “Ed invero, nella specie non è revocabile in dubbio che la sopravvenienza degli elementi di prova, siccome indicati nella richiesta del P.G., e la loro correlazione in termini di incompatibilità (in tutto o in parte) con le acquisizioni processuali fondanti le sentenze di condanna relative ai processi “Borsellino uno” e “Borsellino bis”, valgono a profilare la probabilità di errore giudiziario, i cui effetti negativi sulla libertà personale dei condannati vanno allo stato immediatamente sospesi”.

Per tali motivi la Corte d’Appello di Catania, ai sensi degli artt. 630-633-635 c.p.p., ha ordinato la sospensione della esecuzione della pena dell’ergastolo inflitta con sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta in data 18.03.2002 (divenuta irrevocabile il 03.07.2003) nei confronti di Natale Gambino, 53 anni, Giuseppe La Mattina, 50 anni, Giuseppe Urso, 52 anni, Cosimo Vernengo, 47 anni, Gaetano Murana, 53 anni, Gaetano Scotto, 59 anni, e, con sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, resa in data 23.01.1999 (divenuta irrevocabile in data 18.12.2000) nei confronti di Salvatore Profeta, 66 anni. Ha ordinato, ancora, la sospensione della esecuzione della pena della reclusione di anni diciotto inflitta nei confronti di Vincenzo Scarantino, 46 anni, con sentenza emessa dalla Corte di Assise di Caltanissetta in data 27.01.1996 (divenuta irrevocabile l’11.12.1996).


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