Termovalorizzatori: l’affare maleodorante finisce in Tribunale a Palermo


Pubblicato il 03 Gennaio 2012

Significano monnezza, ma anche interessi maleodoranti, mafiosi e non. E’ la storia dei termovalorizzatori in Sicilia. Tutto nasce da un progetto ai tempi del governo regionale di Totò Cuffaro. La soluzione individuata dall’alllora giunta regionale prevedeva la costruzione di quattro termovalorizzatori. Uno a Palermo (Bellolampo), uno ad Augusta, uno a Casteltermini-Castelfranco e a Paternò. Per un giro d’affari complessivo di 6 miliardi di euro. Denaro pubblico, in parte provenienti dai fondi europei. In realtà, per il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Roberto Scarpinato, il progetto si traduce in “una cooperazione tra mafiosi, politici, professionisti e imprenditori anche non siciliani”.

Ci sono anche quattrocento pagine prodotte dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, presieduta dall’avvocato Gaetano Pecorella, parlamentare del Pdl, che rivelano come la mafia avesse già messo le mani sull’affare miliardario. Un patto denunciato dal successore di Cuffaro, Raffaele Lombardo, durante la seduta dell’assemblea regionale siciliana del 13 aprile 2010. Il governatore aveva da pochi giorni emanato la legge regionale, che di fatto esclude la costruzione di inceneritori.

Ora gli ultimi sviluppi: sarà il Tribunale di Palermo a pronunciarsi sul contenzioso avviato contro la Regione siciliana dalle società affidatarie dell’appalto per la realizzazione di quattro termovalorizzatori. Il Tribunale civile di Milano, accogliendo le tesi dell’amministrazione regionale, ha infatti dichiarato la propria incompetenza territoriale facendo venire meno anche le precedenti ordinanze con le quali, seppure sulla base di un sommario esame, aveva ritenuto la sussistenza di una responsabilità dell’amministrazione regionale in ordine all’annullamento della procedura per l’affidamento dell’appalto in questione: tale valutazione, ove confermata nel giudizio di merito, avrebbe certamente dato luogo ad una responsabilità risarcitoria della Regione stessa.

Peraltro, l’amministrazione regionale ha, nel frattempo, ancor più approfondito l’esame della procedura di affidamento dell’appalto dei termovalorizzatori, ravvisando cospicui profili di illegittimità ulteriore, tali da far ritenere che possa essere mancata una vera gara, sussistendo rilevanti indizi di collegamento fra tutti i partecipanti ammessi alla procedura. Ciò ha comportato l’adozione di un decreto da parte del presidente della Regione (D.P. Reg. 548/2010) con il quale è stata dichiarata la nullità dell’intera procedura di affidamento.

Anche tale decreto è stato impugnato in sede giurisdizionale davanti al TAR Lazio, ove la Regione siciliana è tornata ad eccepire l’eccezione di incompetenza territoriale e lo scorso 26 ottobre 2011 i ricorrenti hanno rinunciato alla tutela cautelare richiesta nei confronti della Regione confermando, seppur indirettamente, le tesi dell’amministrazione.

Inoltre, va ricordato come anche la Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti avesse definito “meritoria la scelta del governo attuale della Regione siciliana di presentare presso gli uffici della Procura della Repubblica di Palermo un dossier nel quale sono stati evidenziati gli elementi di distorsione della procedura per l’aggiudicazione della gara concernente i termovalorizzatori, sia sotto il profilo prettamente amministrativo che sotto il profilo delle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata, con conseguente nullità delle convenzioni stipulate dal commissario delegato”.

iena della monnezza


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