di Carlo Majorana Gravina

Seguire l’udienza del 12 dicembre, tenuta nell’aula bunker n. 2 del carcere di Bicocca a Catania, per quello che si è potuto, con l’escussione di Danilo Toninelli e le successive dichiarazioni alla stampa, mi ha riportato al titolo del famoso articolo di Sidney Sonnino pubblicato su Nuova Antologia l’1 gennaio 1897.

L’ex ministro alle Infrastrutture e Trasporti, Toninelli, davanti al giudice ha declinato, in perfetta calata padana, “non so … non ricordo …”, equivalente al “nente sacciu, nente visti e si c’era durmeva” dei testimoni che non vogliono esporsi, dei quali ci dà una versione plastica Nino Martoglio in “I civitoti in pretura”. Insomma, Toninelli è stato Cicca Stonchiti, forse un omaggio a Catania: la città che lo ha ospitato per questa performance e quella successiva.

Di quest’ultima diamo cronaca. Fuori dall’aula, davanti alla numerosa pletora di giornalisti, si è lasciato andare a una serie di spiegazioni tecniche per le quali lui era sì il ministro dei trasporti ma praticamente non faceva nulla, a parte le frequenti gaffe che lo hanno coperto di ridicolo.

Perché queste cose non le ha dette in aula? forse ha avuto un’amnesia? oppure, più verosimilmente, temeva di essere sbugiardato dalla Sen. Giulia Bongiorno nella circostanza tornata al primo mestiere di avvocato penalista?

Perché si è premurato di abbandonare la scena prima delle dichiarazioni spontanee di Matteo Salvini?

Le giustificazioni/spiegazioni di Toninelli, tra competenze, norme e trattati internazionali che si contraddicono ed elidono a vicenda da lui confusamente snocciolati, questo processo è un guazzabuglio di cui si poteva fare a meno.

Al termine della prima udienza (3 ottobre), il magistrato Carlo Nordio commentava “comportamento impeccabile. La riprova che l’accusa è debolissima, anzi per me inesistente e non aveva senso infilarsi in questo vicolo cieco, il Gip ha finalmente messo le carte sul tavolo e vuole sentire i protagonisti di quel braccio di ferro a cominciare dal prémier. Secondo me, il tribunale dei ministri ha commesso un grave errore e il Senato ha agito con dilettantismo, pensando di consegnare la testa di Salvini su un piatto d’argento ai giudici, ma non si è accorto che così metteva a rischio pure il prémier, poiché trattasi di un presunto reato commesso dal titolare del Viminale e se c’è un reato, Conte aveva l’obbligo di impedirlo”.

Sonnino, nel “pezzo” del 1897, denunciava gli ostacoli alla guida governativa per mancata distinzione dei ruoli tra questi e il Parlamento; se Toninelli ha argomentato bene, si deve anche qua tornare allo statuto, ovvero alla Costituzione, che disegna una repubblica parlamentare, con ruoli ben definiti.

Certo, oggi, rispetto al 1946, il quadro normativo è più complesso: abbiamo leggi nazionali, regionali, europee, ma anche trattati internazionali generali, bilaterali, unitari europei.

Non sono in molti a sapere che il celebrato on. Aldo Moro, da ministro degli Esteri, ha firmato il trattato che stabiliva l’estensione delle acque territoriali sino allo zoccolo continentale causa di tanti guai per la Sicilia non capendo che l’acqua che bagna le coste italiane è il Mediterraneo e lo zoccolo continentale dell’Africa arriva al golfo di Venezia. Risultato? i pescherecci siciliani da decenni impunemente sequestrati ecc. ecc.

Abbiamo sottoscritto quasi tutti i trattati internazionali sui diritti umani che ci impegnano anche nei confronti di chi non li ha sottoscritti, mentre sarebbe stato serio e intelligente applicare il principio di reciprocità, piuttosto che continuare a ritenerci superiori e obbligati al buon esempio o ad agire sulla base dei ridicoli peace building e democrat building, che costano un sacco di soldi e la vita di migliaia di soldati, che, tra l’altro, contraddicono il principio di autodeterminazione dei popoli.

Per non parlare del soccorso in mare, preteso dalle Ong per sabotare i regimi nazionali: un pretesto umanitario per perseguire scopi sovversivi. Non si può invocare una norma e ignorare la ratio da cui discende.

Sidney Sonnino torna utile anche in quest’ottica. Chi volesse leggere “L’Intervento” di Antonio Salandra, primo ministro con Sonnino agli esteri, apprenderà del grave travaglio che afflisse questi due straordinari statisti a rompere la Triplice Alleanza e scendere in guerra contro l’Austria-Ungheria nel ’15 (la guerra era già in atto dal ’14), per scrollarsi di dosso le ambiguità tedesche (il parecchio) e le velenosità dell’impero. Due statisti che lavorarono in solitudine, pure in stretto contatto con il re, per uscire dalla ragnatela del politicamente corretto, nella consapevolezza che altri membri del governo erano stati raggiunti e lusingati da emissari “alleati”. Perché bisogna capire se è traditore chi rompe un patto o chi lavora subdolamente intrecciando relazioni di interesse con altri ministri, per non dire della vittoria mutilata per la moral suasion di Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, ovvero l’abbandono del tavolo di Versailles, lasciando mano libera alle le altre nazioni.

Se torniamo allo Statuto, oggi Costituzione, un serena analisi porterà a capire tanti passaggi.

Caduto il regime fascista, per di più in maniera tanto traumatica, la Costituente si orientò in senso opposto ai desiderata dell’articolo di Sonnino e diede all’Italia una democrazia parlamentare e un presidente del consiglio dei ministri, primus inter pares con funzioni di coordinamento e armonizzazione governativa, per evitare il ritorno dell’uomo forte; anche i vari corpi di polizia attribuiti a diversi ministeri evitavano lo strapotere che oggi abbiamo con quell’insiemistica che tradisce la ratio e la previsione costituzionale.

Il guazzabuglio denunciato/lamentato da Toninelli troverebbe qualche rimedio, se si eviterà di produrre testi di legge che ne contraddicono altri. Quando le presidenze di Camera e Senato si propongono per il coordinamento del testo di legge approvato c’è da tremare.

Anni fa fu in voga lo slogan deregulation, ma le mode, come si sa, cambiano ogni anno: è il business, ragazzo, il business. Dal quale deriva un altro business: il disorientamento del cittadino.

Il processo detto “Gregoretti”, per evitare di fare il nome di Matteo Salvini, già una prima volta chiuso con il non luogo a procedere (anche adesso con l’imputazione coatta il pm si è pronunziato in tal senso), è un diversivo, un trastullo, un contributo al disorientamento dei cittadini.

Il Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, la prima volta, secondo me, fece un ragionamento alla Giovanni Falcone: seguire la pista dei soldi. Se mettiamo i costi di armamento di una nave tra carburante, alimentazione, equipaggio, ecc. da dove l’armatore recupera le ingenti spese? qual è il suo business? Così come si presenta l’Ong è un’attività a perdere; a meno che non ci sono “ritorni” inconfessabili. Ma di questo aspetto si devono investire le nazioni delle bandiere battute da tali navigli.

Altro aspetto da capire, ed eventualmente metabolizzare, è l’attività UNHCR: possibile che l’ONU non si renda conto che non si può dare sollievo ad alcune regioni del mondo a discapito di altre? Cosa c’è dietro le espressioni suggestive umanitarie? A lume di naso, sono solo giochi di palazzo e di interessi. Se il modello occidentale piace tanto che si occidentalizzino a casa loro, ovvero si autodeterminino all’occidentalizzazione. Non ne sono capaci? Non è un problema nostro.

Sulle questioni aperte in Italia, retrostanti e sottostanti al processo “Gregoretti”, data l’incapacità del governo attuale, è bene che il garante della Costituzione per antonomasia, il Presidente della Repubblica, si attivi in tutti i sensi, in tutte le direzioni, con tutti gli strumenti in suo potere: il fair play non può far perdere di vista l’interesse del popolo italiano; ponderi, se ne renda conto e agisca di conseguenza.

 

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